Vita da precari












Il mio primo lavoro in un nido è stato tre anni fa.
La titolare aveva un'idea molto vecchia e molto rigida del nido.
Il bambino piange? Ha sonno, mettiamolo a dormire. Il bambino fa i capricci? E' stanco, mettiamolo a dormire. Il bambino fa le bizze? E' viziato, mettiamolo a dormire.
Se il bambino stava male, o aveva sonno, o aveva il pannolino sporco, o era viziato.
Semplicemente non era contemplata la complessità e la personalità, la bellissima individualità di ogni bambino.
Diversi sono stati i motivi per cui me ne sono andata: venivo pagata meno di cinque euro all'ora, quest'idea vecchia di nido alla lunga mi avrebbe impedito di crescere, la mancanza di un progetto pedagogico. E poi: i bambini non potevano tenere i giochi in mano! Non tutti i giochi, solo alcuni, i più belli. Questo divieto frustrante era dovuto al fatto che i bambini di oggi, troppo viziati, dovevano imparare a non rompere i giochi. E per insegnarglielo non gli si davano mai! Geniale.
E ancora: quando si cambiavano i bambini non si potevano usare i guanti. O meglio, si potevano usare, ma non si buttavano. Si dovevano sciacquare e riusare per i cambi successivi.
Perché? Bhè, perché la titolare era la persona più tirchia che io abbia mai conosciuto!
E inoltre: il nido aveva il servizio di cucina interno, era la titolare a preparare il pranzo per i bimbi, ma le educatrici dovevano portarsi il pranzo da casa. Quello che rimaneva del pranzo dei bambini la titolare lo portava via. Probabilmente ci teneva a non viziare neanche le sue dipendenti.
Quello che ho capito dalla mia prima esperienza di lavoro è stato che questo lavoro lo amavo davvero, che per lavorare bene bisogna essere messi nelle condizioni di farlo e che il privato ottiene un profitto, che cerca di razionalizzare al massimo.