La competizione fa bene

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"Quando due bambini si incontrano uno chiede all'altro: vieni a giocare con me? Così inizia il gioco. In genere il bambino che perde chiede la rivincita e il gioco continua. ciò che si innesca è la competizione, una sana competizione che sta alla base della crescita e dell'individuo."
Queste sono le prime parole che mi rivolge il professor Roberto Farnè, uno studioso dall'ampio curriculum. Ha iniziato la sua attività "dal basso" o meglio dall'esperienza diretta con i bambini come educatore, poi si è occupato d'infanzia come pedagogista, come docente all'Università di Bologna. Oggi è vice direttore del dipartimento di scienza della qualità della vita. Tra le molte attività è anche direttore della rivista infanzia "...che quest'anno compie ben 40 anni..." ci ricorda con soddisfazione. Il suo intervento alla recente istruttoria sull'infanzia è stato politico e polemico e tra interlocutori pacati e concilianti si è fatto notare.
Ha fatto una dura critica al documento conclusivo del percorso partecipato e punto di partenza all'istruttoria. Perché?
Ho letto il documento con attenzione e nel complesso l'ho trovato poco utile, buonista. Molto semplicemente in questa situazione tanto complessa e delicata non ne abbiamo bisogno. In città ci sono molti conflitti sul tema infanzia. Bene i conflitti vanno riconosciuti e accolti, non evasi. Se vogliamo progettare qualcosa di reale, che possa incidere in modo significativo, dobbiamo guardare la realtà nuda e cruda.
Quali sono i maggiori problemi del tratto 0-6 a livello nazionale?"
Intanto dobbiamo precisare che lo scenario nazionale si divide in due. Il nord, da una parte, con un confine che porrei sulle Marche e il sud dall'altra. Al nord abbiamo introiettato ideologicamente e socialmente i servizi. In caso non ci siano come capita, li pretendiamo, mi riferisco sopratutto allo 0-3, le scuole d'infanzia  sono diffuse in modo adeguato. Al sud le cose sono molto diverse; Magari abbiamo realtà ottime anche innovative, ma a macchia di leopardo...sporadiche
E' una questione politica o sociale? O meglio: non ci sono stati investimenti o sono le famiglie a non richiederli?
Non c'è una cultura dei servizi educativi nelle politiche che da sempre hanno investito altrove. In più al sud ci si è cullati sulle risorse della famiglia. E' la famiglia a farsi carico dell'educazione, sopratutto per i piccolissimi.
Più che famiglia possiamo tranquillamente dire le donna!
Si, la cura della famiglia in tutte le sue complessità è da sempre a carico della donna e della madre. Detto questo, non vorrei che passasse il concetto che al sud c'è il deserto. Ci sono realtà anche eccellenti. Quest'anno ad esempio il premio che la rivista infanzia assegna tutti gli anni al miglior progetto educativo, l'ha vinto una realtà di Palermo.
Verso quali modifiche dovrebbe puntare lo 0-6 per migliorare in qualità educativa?
Una delle mancanze che la fa soffrire maggiormente è la mancanza dei criteri di valutazione che stimolino la competizione. La competizione è spesso letta in senso negativo, a fine arrivistico, invece competere significa confrontarsi per migliorare, misurare e riconoscere le differenze... una sana competizione che i bambini adottano spontaneamente quando giocano: competono, si confrontano e si stimolano vicendevolmente al miglioramento. Purtroppo tra le insegnati e le educatrici ci sono grandi resistenze.
Di che tipo?
Vivono le valutazioni come giudizi. La conseguenza è la paura. La cosa perversa è che si preferisce una valutazione perenne dettata da bizzarri criteri, casuali che una valutazione con regole chiare. Sappiamo tutti che i genitori iscrivono i figli in questa, o in quella struttura, sul passaparola, sulle dicerie. Mi pare folle questo modo di procedere.
Come si dovrebbe strutturare la valutazione? Su quali principi?
Intanto ci dovrebbe essere un terzo soggetto preposto a valutare. Un soggetto esterno che osserva e stima in base a dei principi trasparenti, fissati in modo coeso. I principi non possono certo essere molti, cinque, massimo sei punti. Ma questo non deve essere il fine ma lo stimolo per pianificare nel tempo, magari nell'arco di un paio d'anni, per avviare le operazioni che permettano di cambiare, migliorare. Il tutto inteso in senso mobile, si va per sperimentazione, per tentativi, per sfide e non per arrivare a delle risposte statiche.
I tentativi aiutano l'educazione?
Si. Credo che il primo compito di chi educa, sia esso genitore o educatore, debba essere quello di dare la possibilità al bambino di sperimentare, di fallire e continuare verso risultati soddisfacenti. All'educante spetta il compito di valutare i rischi. Tutto questo comporta fallimenti, conflitti...a volte sbucciature sulla ginocchia. Spesso mi capita di ascoltare maestre atterrite dal giudizio del genitore in caso il bambino si faccia male. Non dovrebbe essere così! I bambini si possono farsi male, fa parte del gioco. 
Quindi uno dei problemi è il conflitto tra scuola e genitore?
Si, un conflitto patologico. Purtroppo la scuola ha perduta la capacità di essere un referente. La scuola è invasa e si fa invadere da giudizi e interventi di ogni genere. Così si è creata una distanza che si traduce in paura e chiusa. Chiusura anche negli spazi. Tempo fa mi è capitato di passeggiare nel mio quartiere in una bella mattina d'inverno. Non ho trovato un bambino in giardino. D'inverno si sta al chiuso per il freddo, si sta al chiuso per paura dell'incidente...questo crea degli svantaggi nell'apprendimento delle capacità motorie. Troppo spesso si da la colpa ai giochi elettronici o alla televisione, non sono loro i nemici da combattere.
Tornando alla chiusura, cosa è successo nei servizi e nelle scuole bolognesi famosi per l'apertura, il confronto, il dialogo e in ultimo per la qualità?
Credo che Bologna abbia sofferto di un oblio politico durato almeno vent'anni e anche i servizi e le scuole ne hanno sofferto. Giunte come quelle di Guazzzaloca, Cofferati, Del Bono e forse potremmo spostarci ancora più indietro, hanno impoverito la qualità. La politica dovrebbe trovate strade per far crescere, per sviluppare. L'educazione non può permettersi di star ferma e le buone scuole, i buoni servizi, si fanno con una politica solida attenta alle prospettive e alla progettazione.