Mai più bambini in carcere























Cronaca Bambina. E' certo una tragedia che ha dell’incredibile quella successa 
ieri al carcere di Rebibbia, dove una detenuta ha lanciato dalle scale i due figli. L’intento era quello di uccidere o, come ha affermato oggi la donna, “farli volare in cielo”. Una storia straziante, difficile sia da narrare che da immaginare. Ma ancora più complicato capire le ragioni per cui non si sia trovata una migliore collocazione per i 60 bambini che oggi risiedono in carcere. Cerchiamo di fare una breve analisi. 

I bimbi in carcere 
I bambini oggi detenuti in carceri sono 62, o meglio 60, dopo gli eventi di ieri. La tragica notizia riporta all’attenzione sulle difficilissime situazioni  delle nostri carceri. Dal 2011 è stata approvata la legge n 62 che avrebbe dovuto “vuotare” le carceri dai minori. La legge è una delle più avanzate a livello europeo ma è stata attuata solo parzialmente. Dei 60 bambini, circa la metà, risiedono nelle Icam, ovvero Istituti a custodia attenuata per detenute madri. Gli Icam in Italia però sono solo 5 e si trovano a Milano, Venezia, Senorbì (in provincia di Cagliari), Lauro (Avellino) e Torino. 

I nidi nelle carceri e gli Icam 
 Secondo la legge 354 del 1975 alle madri detenute è consentito tenere con sé i figli fino all’età di tre anni. Nelle carceri dovrebbe essere previsto l’inserimento di personale specializzato come ostetriche, ginecologi e pediatri con lo scopo di tutelare la salute psico-fisica dei bambini e delle loro madri. Sono istituiti di appositi asili-nido presso le strutture penitenziarie. Nel 2011, con l’approvazione della legge n. 62, è stato poi innalzato da tre a sei anni il limite di età dei bambini che possono vivere con le madri, e salvo casi di eccezionali, la possibilità di scontare la pena in una Casa famiglia protetta fino a 10 anni. Le carenze della legge italiana Nell’ultimo rapporto l’associazione Antigone ha sottolinea “Da un lato si occupa di donne solo in quanto gestanti o madri, dall’altro prevede genericamente che ‘le donne sono ospitate in istituti separati o in apposite sezioni di istituto’”. Il Garante dei detenuti Mauro Palma commentando la notizia ha sottolineato come “il fatto sia stato imprevedibile” e come il personale del carcere di Rebibbia lavori in modo altamente professionale.

La storia della madre assassina
La donna Georgiana di origine con passaporto tedesco, era in carcere dalla fine di Agosto e aveva partorito da poco tempo la seconda bambina aveva solo qualche mese. Era “dentro” per spaccio di stupefacenti e pare fosse lei stessa tossicodipendente. Possiamo solo immaginare le condizioni psicologiche con cui questa donna abbia affrontato la detenzione e la maternità. Stando alle fonti stampa, la madre aveva manifestato alcuni disagi psichici, prontamente indicati all’area sanitaria del carcere. E dimenticati? Al momento sono avviate due inchieste una dal ministero della Giustizia. Cosa succede ad un bambino che cresce in carcere? A rispondere anche se parzialmente a questa difficile domanda è stato interpellato oggi a Tutta la città ne parla di Radio Tre il neuropsichiatra Carlo Di Brina che ha lavorato nel nido del carcere di Rebibbia. Crescere in un luogo poco appropriato, come può essere un carcere, crea più difficoltà nello sviluppo del bambino e non solo difficoltà emotive ma anche rispetto alle funzioni linguistiche e espressiva. Semplificando molto il discorso potremmo attribuire questa difficoltà alla ridotto contatto e relazione con altre persone al di fuori della madre. 


Una donna che racconta il carcere 
Durante la puntata di radio tre andata in onda questa mattina, è intervenuta una madre, che vent’anni fa, ha scontato la pena con un figlio al carcere di Milano. In vent’anni le cose sono certe cambiate, ma la donna ha narrato con semplicità ed estrema precisione la tensione continua che si vive in carcere. Tensione che i bambini inevitabilmente assorbono, così come la assorbono anche le donne-madri a cui si aggiunge il senso di colpa ad aver obbligato a questa vita i loro bambini.