Alleanze educative: sono ancora possibili? Parola alla Dottoressa Silva Iaccarino


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Intervista a… Oggi torno a dialogare con la dottoressa Silvia Iaccarino, formatrice e psicomotricista, ha una grande esperienza in fatto d'infanzia e di servizi educativi ZeroSei. L’abbiamo già incontrata tempo fa per farci raccontare come affrontare il lutto al nido (leggi qui) Oggi affrontiamo insieme un tema altrettanto difficile e spinoso:  le alleanze educative tra genitori e servizi educativi/scuole. Le domande sono tante e il tema è davvero complesso. Con puntualità ed estrema chiarezza la dottoressa Iaccarino riesce a restituirci un quadro della situazione e individuare possibili risposte educative.


 
In un clima di conflitto continuo possiamo dire che le alleanze educative che un tempo si creavano al nido o a scuola tra famiglie e insegnanti oggi si stiano sfaldando?
Personalmente credo che il discorso sia molto complesso. Forse potremmo dire che si sta sfaldando un modo “vecchio” di pensare e approcciare la relazione con le famiglie all’interno dei servizi educativi. Il mondo è cambiato negli ultimi decenni in modo epocale e la società sta continuando a modificarsi a ritmi mai visti in precedenza.

Le relazioni cambiano e...?
E troppo spesso, per quella che è la mia esperienza, i servizi continuano invece a porsi nei confronti delle famiglie come “si è sempre fatto” da decenni a questa parte, ovvero pensando che il proprio lavoro sia focalizzato sui bambini e lasciando fuori i genitori.

Quindi dentro i bambini e fuori i genitori?
Non è sempre e solo così. Ma non è un caso che generalmente, mamme e papà si fermano al cancelletto dove consegnano il bambino. Questa è anche una metafora, che ci fa comprendere come l’impostazione media dei servizi sia ancora quella del lavoro coi piccoli e dove i genitori sono visti come degli “utenti” o al più dei “clienti”. Ma con le famiglie di oggi, se non ci si rinnova e non si cercano altre strade e nuove forme di collaborazione, tutto diventa sempre più difficile.

Vecchi schemi per nuove relazioni?
Credo che la grande fatica che oggi educatori e insegnanti riscontrano nel rapportarsi alle famiglie sia dovuta anche al fatto che è più facile lasciare fuori i genitori, giudicarli come inadeguati e oppositivi piuttosto che provare a ripensare il proprio modo di relazionarsi ad essi. Lo dico senza giudizio verso i professionisti i quali, come tutti noi, sono compressi in ritmi sempre più serrati e richieste di “prestazione” sempre più alte. Inoltre, a volte manca una formazione adeguata rispetto al rapporto con le famiglie di oggi, che consenta loro di aggiornare le proprie competenze e di progettare nuovi modi per incontrare i genitori.

E i genitori?
I genitori, del resto, da un lato, non accettano più di essere esclusi dai servizi e, dall’altro, a causa del poco tempo a disposizione e dello stress e stanchezza che li sovrasta, tendono alla delega, come ben sanno le educatrici. Così, sia educatori che famiglie si trovano in una condizione di disorientamento e di fatica nel far fronte ai repentini cambiamenti sociali ed a trovare nuovi punti di incontro.

Possiamo dire che c’è una crisi in atto?
Si, credo che ci sia una forte crisi dei rapporti scuola-famiglia, che sia lo specchio dei nostri tempi e che ci mostri come solo un cambiamento significativo di sguardo possa modificare le cose. E questo cambiamento di sguardo compete ai professionisti dell’educazione e non certo ai genitori, i quali fanno altri mestieri nella vita. Ritengo che i professionisti dovrebbero avere una visione ampia e complessiva della società di oggi e della genitorialità, che tenga conto della fatica del vivere e del conciliare casa e lavoro, soprattutto per le donne, imparando a sospendere il giudizio ed a ricercare nuovi modi per ri-contattare i genitori, mettendosi in discussione e ri-progettando il proprio modus operandi.

Se il genitore protesta di continuo, mostra paure immotivate lamentando graffi sui ginocchi, mostrando vestiti sporchi, insinuando disattenzione da parte del personale...come possono intervenire educatori e maestri a scuola?
Innanzitutto credo che se un genitore ha timore di qualcosa, ciò non sia “immotivato”…

E’ sempre motivata: in che senso?
Magari quella paura può sembrare tale a noi, ma è chiaro che per una mamma, per un papà, soprattutto in caso di bambini 0-3 anni, e ancora di più se al primo figlio, la preoccupazione deriva in parte dalla sfiducia generata dalle notizie che apprendiamo dai mass-media sui maltrattamenti e, dall’altro, dalla normale fatica di gestire le emozioni derivanti dal non avere il figlio sotto il proprio sguardo. 
 
Le paure arrivano solo dai media?
No, Daniel Stern, per esempio, ha ben delineato quella che egli ha chiamato “costellazione materna” mettendo in evidenza come la madre sia naturalmente portata a preoccuparsi del cosiddetto tema “vita-crescita”, che la porta a chiedersi se è in grado di garantire la sopravvivenza e il benessere del proprio bambino.

Quali altre paure o pressioni “minacciano” i genitori?
Oggi la società pone sui genitori una pressione enorme, chiedendo loro continuamente di dimostrare di essere “perfetti” e di avere dei bambini altrettanto “perfetti”. E se ciò non viene riflettuto con consapevolezza da mamme e papà, rendendosi conto che la perfezione è impossibile, è facile cadere preda di tali pressioni e riversare sensi di colpa, di inadeguatezza e fatiche personali nella relazione con le educatrici/insegnanti, proiettando su di loro ciò che genera fatica nel proprio mondo interno.

Come cambiare?
Per invertire la rotta, come accennavo prima, è necessario che i professionisti prendano atto dei cambiamenti nella società e nella genitorialità e si attivino con nuove modalità.

Ci sono modi pratici?
Per esempio, da un paio di anni, attraverso i percorsi formativi che organizzo, sto promuovendo l’ambientamento in 3 giorni o “guidato dal genitore” o “svedese”, grazie alla collaborazione con due colleghe e stiamo diffondendo un nuovo modo di introdurre nei servizi i bambini e le loro famiglie. Questo nuovo approccio sta permettendo ai nidi che lo utilizzano di modificare fin da subito, e in meglio, le relazioni con i genitori, in quanto essi possono entrare nei servizi, abitarvi per molte ore e verificare coi propri occhi la qualità del lavoro delle educatrici. Si smontano così da sole paure e ostilità in quanto i genitori si sentono parte del servizio educativo ed è possibile costruire, educatori e famiglie insieme, una reale comunità educante. Il momento dell’ambientamento, infatti, è centrale per l’imprinting della relazione e per avviare, fin da subito, un modo diverso di rapportarsi: più aperto, collaborativo, coinvolgente….

E se capovolgiamo la situazione: se è l’educatore e/o la maestra ad essere esasperata dal comportamento dei genitori? Che arrivano a tutte le ore, portano i piccoli a scuola nonostante la febbre, non ascoltano. Cosa possiamo suggerire loro?

La risposta a questa domanda è già in quanto detto in precedenza, fino a qui. Ciò che accade normalmente oggi nei servizi, con le situazioni da lei esemplificate, a mio avviso è il sintomo della “malattia” causata da un modo cristallizzato di impostare il rapporto con le famiglie nei servizi. Non intendo dire che è “colpa” degli educatori, sia chiaro. Intendo dire che è responsabilità (intesa come abilità di risposta) dei professionisti interrogarsi, formarsi, cambiare sguardo e approccio.

Quindi sono i servizi a “dover” cambiare?
Non possiamo aspettare che le famiglie cambino. Sta a noi avviare e favorire un cambiamento, ripensando le nostre pratiche. E’ necessario che amministratori, gestori e coordinatori rivedano anche l’organizzazione dei servizi per andare incontro alle nuove esigenze professionali dei genitori.

Ci fa esempi pratici?
Per esempio, in alcuni servizi sono state eliminate le fasce orarie di entrata e di uscita, consentendo ai genitori di muoversi autonomamente, e ciò ha favorito enormemente le relazioni tra educatori e genitori, anche scaricando gli educatori dalla frustrazione per il mancato rispetto degli orari. Ovviamente il discorso andrebbe approfondito e qui non ne abbiamo l’opportunità. Mi interessa però dare degli spunti di riflessione e lanciare alcune “provocazioni” per dire che, forse, possiamo davvero immaginare percorsi altri, uscendo dall’ “abbiamo sempre fatto così”. Oggi è necessario un cambio di passo, altrimenti le relazioni scuola-famiglia saranno sempre più tese…


Per lavoro si muovein tante diverse scuole e/o servizi educativi. Dal suo punto di vista come crede che si possano prevenire i maltrattamenti?
Il lavoro educativo è molto gratificante ma anche molto impegnativo. La formazione costante è un punto fondamentale per aggiornare le proprie conoscenze e le proprie pratiche, per confrontarsi e rivedere il proprio modo di lavorare, per condividere con altri le proprie fatiche e scaricare il fardello. Oltre a ciò, la supervisione è un altro strumento assolutamente necessario affinché gli educatori possano confrontarsi con un professionista esterno e avere un appoggio alla propria fatica quotidiana. E ancora, lavorare sull’organizzazione interna del servizio e sulle dinamiche del gruppo di lavoro è un altro elemento significativo: servirebbero dei coordinatori in grado non solo di stabilire turni e mansioni, ma di gestire tanto organizzazione che relazioni tra colleghe per prevenire situazioni di burnout.