Anita Di Giuseppe |
Anita Di Giuseppe siede in parlamento per l'Italia dei Valori, iscritta alla commissione infanzia e adolescenza è stata tanto gentile da incontrarmi per un'intervista. Ha risposto a tre corpose domande che fanno riflettere.
In 40 anni di attività lo Stato ha
sempre investito pochissimo nei servizi educativi rivolti
all'infanzia. Nel 1966 nel piano di sviluppo economico del paese
(piano Pieraccini) si ritenevano necessari 10mila asilo nido.
Oggi se ne contano poco più di 3800. In 40 c'è stato un unico piano straordinario d'investimento (detto piano Bindi 2007-09). Siamo arrivati ad una copertura dei servizi del 23% mentre la comunità Europea ci chiedeva di raggiungere entro il 2010 almeno il 33% L' investimento del Pil è pari allo 0,15% mentre molti altri paesi si attesta attorno al 2%. Insomma risorse insufficienti per un servizio ritenuto essenziale da molti studiosi, anche tra gli economisti, non ultimo il premio Nobel Heckman. Crede che attualmente ci sia la volontà politica d'investire rispetto a questo servizio? Se si, quali sono le forze a favore e come stanno portando avanti la causa?
Oggi se ne contano poco più di 3800. In 40 c'è stato un unico piano straordinario d'investimento (detto piano Bindi 2007-09). Siamo arrivati ad una copertura dei servizi del 23% mentre la comunità Europea ci chiedeva di raggiungere entro il 2010 almeno il 33% L' investimento del Pil è pari allo 0,15% mentre molti altri paesi si attesta attorno al 2%. Insomma risorse insufficienti per un servizio ritenuto essenziale da molti studiosi, anche tra gli economisti, non ultimo il premio Nobel Heckman. Crede che attualmente ci sia la volontà politica d'investire rispetto a questo servizio? Se si, quali sono le forze a favore e come stanno portando avanti la causa?
Premetto che io posso esporre solo la
posizione dell'Italia dei valori. In ogni caso, fino ad ora, non mi
pare che si parli molto di questo tema. Partiamo da un punto: a me
piacerebbe chiamare i nidi non più servizio ma scuola. Sono un ex
dirigente scolastico e un ex sindaco. Quando sono arrivata ad
amministrare il mio paese nel Molise, mi sono resa conto che i
servizi erano fortemente voluti. Quello che chiedevano i cittadini
era un asilo nido. Molte delle mie ex alunne, che nel frattempo erano
diventate mamme, erano nella necessità di avere un posto dove poter
lasciare i figli quando erano al lavoro. Anche in quel paese di 7000
mila abitanti, la necessità era di avere un asilo nido. Non possiamo
intendere però l'asilo come un luogo di custodia. E' importante per
una madre che lavora poter accedere ad una struttura con personale
qualificato, ben formato e lasciare il figlio serena. Sottolineo la
parola lavoro perché oggi, sempre più spesso, c'è bisogno in
famiglia del doppio stipendio. Dobbiamo considerare il lavoro,
sopratutto per le donne, come sviluppo della propria personalità. E'
giusto che la donna abbia il suo lavoro e che ne sia gratificata. Le
problematiche che mi ha esposto sono molto serie. E se consideriamo
l'asilo come luogo di formazione, allora è fondamentale, che ogni
centro piccolo o grande, abbia un suo nido ed è questo su cui punta
l'Italia dei valori.
La scuola dell'infanzia soprattutto
nel nord del paese ha tre macro gestori: Stato, privati e comuni. In
alcune città, sopratutto al nord, i comuni, hanno una massiccia
gestione con percentuali che superano anche il 50%. Ciò determina
una situazione insostenibile rispetto alla gestione comunale che è
impossibilitato a spendere e assumere (mi riferisco apatto di
stabilità e vincoli all'assunzione). Valuta delle possibilità per
uscire da questa situazione? E come accorciare le liste d'attesa
sempre più lunghe di esclusi, ad esempio Bologna, oltre 400 o nella
piccola Ferrara 600 tra nidi e scuole dell'infanzia?
E' lo Stato che deve intervenire, poi
spiego come, ma prima ho io una domanda: è possibile che non ci
siano stabili in disuso che possano servire ad offrire posti nuovi? E
nella malaugurata ipotesi che non ci fossero, una via d'uscita ci
sarebbe: costruirne di nuove. Ed è qui che lo Stato dovrebbe
intervenire, esonerando queste spese dai vincoli del patto di
stabilità. Il vero problema per gli enti è questo. Lo dico come ex
sindaco, il comune, bene o male, i fondi per fare una struttura li
trova, ma accendere un mutuo, fa sforare dal patto di stabilità. La
risposta la deve dare lo Stato che dovrebbe far uscire dai vincoli,
sia la scuola dell'infanzia a gestione comunale che gli asili nido.
L'Italia dei Valori ha fatto emendamenti e ordini del giorno, per
poter ristrutturare alcuni edifici scolastici, che sono sotto la
direzione dei comuni o delle province, senza avere i vincoli del
patto di stabilità. Sono sempre stati respinti. Nel contesto attuale
poi, in cui si va avanti a colpi di fiducia, è tutto davvero molto
complesso. L'ente locale si trova in grandissima difficoltà. Oggi si
pensa che l'Imu possa fare la differenza, ma la maggior parte degli
incassi, rientra ancora nelle casse delle Stato. Il comune potrebbe
mettere una tasso di scopo, quindi una tassa che viene imposta per
coprire un costo specifico. Ma come si fa oggi, in una situazione in
cui i cittadini sono già oberati da tagli e tasse, aggiungere una
nuova tassa? Credo che nella possibilità qualunque sindaco
accenderebbe un mutuo per offrire una scuola ai suoi cittadini, e con
la scuola dell'infanzia parte l'orientamento e la scuola a tutti gli
effetti e il futuro.
I nidi e in generale i servizi
dell'infanzia 0-3 anni, da tempo e da molto in alcuni contesti, si
appaltano a privati sociali. Il comune eroga un servizio che poi
viene gestito da un privato, il quale risponde a criteri stabiliti a
priori. Questa soluzione fa risparmiare la spesa di gestione agli
enti e aggira i limiti d'assunzione. Il risparmio è ricavato dal
minor costo del personale che è peggio retribuito, secondo i dati
dei sindacati, un buon 25% in meno in busta paga e con contratti
peggiorativi. Come crede si possa articolare una risposta a questa
differenza, che crea una diversa qualità in ultima istanza nel
servizio (il privato registra una maggiore turnazione del personale,
venendo così a mancare uno dei punti di qualità rispetto
all'educazione). E ancora non crede che se il privato ha sempre più
servizi in gestione, debba avere dei limiti di accesso sia sul
pubblico presente, sia rispetto agli altri privati?
L'Italia dei Valori è per la scuola e
i asili nido pubblici. I contratti in questo scenario sono un tema
molto importante. Se le scuole che offrono servizi similari hanno
contratti diversi, a volte profondamente diversi, capiamo tutti che
si creano situazioni difficili da gestire. E questo è un piano.
L'altro piano sono le difficoltà sotto cui gli enti si muovono e che
abbiamo appena detto. Se facessimo rientrare i nidi sotto il profilo
e la competenza della scuola, il problema si risolverebbe da sé, sia
per la questione dei contratti che per la gestione. In una nostra
proposta di legge, abbiamo inserito l'ultimo anno della scuola
dell'infanzia, come obbligatorio. Personalmente partirei dal primo anno
del nido, ma bisogna fare un passo per volta.Invece per la questione che mi pone sui
privati, penso ci sarebbe bisogno di pari opportunità, per tutti
quelli che partecipano alle gare d'appalto. Certo bisogna indagare di
volta in volta cosa offrono i partecipanti. Ma la soluzione rimane
la stessa che ho detto fino ad ora, con nidi e scuole pubbliche. La
gestione data in affido ai privati deve essere controllata in modo
serio e garantisca qualità e regolari contratti. Ed è questo che
spesso non offrono i gestori, e ancora torniamo sulla questione degli
contratti e degli stipendi. I privati spesso danno salari inadeguati,
da babysitter. Quando c'è la garanzia di controllo del pubblico con
contratti forti e controlli efficaci, le cose funzionano. Quando ero
dirigente avevo la responsabilità di tutta la gestione dalla scuola
dell'infanzia anche di scuole gestite da privati e convenzionate. Lo
Stato dovrebbe riconoscesse il nido come scuola e i problema
cadrebbero di conseguenza. Non è un percorso facile ma lo vedo
l'unico possibile.