Sandra
Benedetti
La
nascita e lo sviluppo di servizi per l'infanzia nella nostra regione
ha sempre considerato fondamenti tre aspetti interconnessi:
- la qualità dello stato sociale inteso come ambito in cui costruire politiche di benessere e di tutela per i più deboli.
la
centralità del bambino
nelle politiche rivolte ai servizi educativi;
la
partecipazione delle famiglie come strumento di costruzione di una
comunità educante
nella quale i genitori sono soggetti attivi con i quali condividere
gli obiettivi di cura educativa;
La
centralità del bambino
nelle politiche
rivolte ai servizi e educativi significa riconoscere le potenzialità
dei bb fin dalla loro nascita, l'importanza
di sollecitarle per
tradurle in buone opportunità in grado di facilitare gli
apprendimenti, ma anche il
dovere di tutelarle dagli
eccessivi
precocismi o da una incuria educativa
che invece di facilitare la crescita armonica dei talenti, potrebbe
inibirli o provocare danni che sappiamo essere indelebili nei primi
anni di vita. Per questo qualsiasi innovazione che si desidera
apportare deve sempre essere accompagnata da una riflessione sugli
effetti che essa determina nella salute psicofisica dei bambini.
Questa è anche la ragione per cui chi si occupa dei bambini, come
sostituiti temporanei di madri e padri, non possono non essere figure
qualificate, sorrette da una qualificazione permanente, siano esse
le educatrici e le collaboratrici, oppure i coordinatori pedagogici.
Il
coinvolgimento e la partecipazione delle famiglie è
un punto altrettanto delicato che non va trascurato: è
indubbio infatti che la serenità dei genitori, ed in primis la madre
nei primi tre anni di vita quando la reciproca dipendenza della
coppia biologica è ancora molto pervasiva, sia
un fattore importante e
dunque le politiche rivolte ai servizi devono anche risultare
facilitanti per le famiglie che vi ricorrono. I bisogni
dei bambini non possono essere posti in competizione con quelli dei
genitori lavoratori, anche
se è dovere delle politiche favorire
la massima conciliazione tra impegni di cura e di lavoro,
soprattutto revisionando di tanto in tanto i modelli gestionali
organizzativi sui quali si basa il funzionamento dei servizi.
la
qualità dello stato sociale per
costruire
politiche di benessere e di tutela per i più deboli; è la terza
dimensione che consente di non
isolare la politiche educative
ma di connetterle con le azioni di altre politiche fortemente
integrate: da quelle economiche a quelle sociali e scolastiche a
quelle sanitarie. Un welfare amico dei cittadini non è fondato su
politiche parcellizzate, ma
integrate in grado di favorire la razionalizzazione delle risorse,
piuttosto che il loro spreco e la capacità di assumere la comunità
dei cittadini che abitano in un determinato territorio, come soggetti
attivi in grado di co-progettare e co-gestire le politiche, incluse
quelle socio-educative. In questo senso sia il
privato cooperativo che le aziende sono divenute partner attive
nell'offerta dei servizi:
oltre il 40% dei servizi 0/3 è erogato in convenzione con il privato
e soprattutto i servizi di ultima generazione (PGE/domiciliari) sono
espressione di una cultura gestionale prevalentemente di natura
privata convenzionata. Così come nella nostra regione in dieci anni
sono
sorti 33 nidi aziendali:
in essi le graduatorie sono integrate con quelle comunali oltreché
per motivi di equità sociale, anche per l’ineludibile principio
economico per cui alle aziende conviene avere accessi anche dalle
graduatorie comunali, per avere continuità di presenze tra un anno e
l’altro, diversamente il servizio solo rivolto ai propri dipendenti
risentirebbe di una tale oscillazione da pregiudicarne la tenuta
economica e dunque la stessa apertura.
É
indiscutibile però che il disincanto prodotto da questa
pesante
crisi economica e avvertito particolarmente in quelle regioni, come
la nostra, in
cui le scelte sono state fatte e
gli
impegni finanziari sono stati assunti
in direzione di un investimento sul welfare di comunità, all'interno
del quale la rete dei servizi educativi agisce da collante tra
politica ed economia, tra stato e mercato, tra famiglie e
collettività; tutto ciò ci
obbliga ad un rilancio di un'attenta riflessione a cui non ci siamo
mai sottratti.
In
particolare è proprio la
politica che, più qui che altrove, interroga la pedagogia dalla
quale si attende non una risoluzione miracolistica, che ovviamente la
pedagogia non vuole né può garantire, ma una elaborazione
culturale
in
grado di ridefinire i paradigmi della sostenibilità con le istanze
di qualità che non vanno mai tradite.
E'
per questo che dopo un'accurata
revisione di tutta la normativa regionale approdata
alla fine del 2012
per la seconda volta in 10 anni ad una legge (L.1/00
e ss.mm) ed una direttiva (n. 85/2012) riaggiornata
ed alleggerita nelle sue procedure applicative,
lo sforzo degli ultimi due anni educativi (2011-2012 e 2012-2013) è
rivolto alla valutazione della qualità educativa attraverso un
sistema di regolazione regionale che intende portare a compimento
quanto previsto dall'art- 19 della L, 1/00, ossia
una definizione di qualità aggiuntiva che superi la soglia della
sola autorizzazione al funzionamento e che valga, a proposito di
equità, sia
per i soggetti pubblici che per quelli privati.
L'indicatore
per il monitoraggio della qualità di un servizio educativo
non è
data solo da
valutazioni di tipo pedagogico, o solo da valutazioni di tipo
economico-finanziario, o solo dalle esigenze "dell'utente-cliente
famiglia" (peraltro non sempre connotate in termini di
oggettività educativa), ma
da
una calibrazione, sempre da rinegoziare, fra i tre aspetti
succitati. Dopo
aver investito per lunghi anni sulla formazione del personale, che
grava sul servizio educativo per l'80% del suo costo, ci pare
opportuno ora conoscere come
il know how formatosi nei nostri servizi sia in grado di favorire
anche il cambiamento dall'interno dei servizi stessi, a
partire da una maggiore consapevolezza per es. su come si conciliano
i bisogni dei bambini, con quelli dei genitori e con la tipologia di
offerta quotidiana che interroga per es.
quanto e se i modelli gestionali e organizzativi che sorreggono il
loro funzionamento siano facilitanti ad un uso flessibile
del servizio che ovviamente va definito entro determinati confini che
vanno resi espliciti.
Anche
di questo si occupa la sperimentazione in corso che
andrà meglio perfezionata e il cui esito, seppure parziale in quanto
applicato al 10% dei servizi presenti su ciascun territorio
provinciale, potrà
fornire qualche indicazione per trattare con le parti sociali.
Qualsiasi
aspetto che concorre a mutare il sistema attuale necessita infatti di
una concertazione
che certo non può
imporsi con tempi biblici, ma che però non
può sottrarsi al confronto con chi i servizi li gestisce: dai
soggetti pubblici a quelli privati, dalle OO.SS alle rappresentanze
delle parti sociali che nei servizi per l'infanzia ripongono quota
parte dei loro investimenti.
Qualche
anticipazione però voglio darla: è
indubbio che la nuova legge di riordino istituzionale che la regione
sta mettendo a punto ci farà comprendere dove verranno ri-allocate
le funzioni fino ad ieri in capo alle province e come più in
generale verrà ridisegnato il welfare istituzionale territoriale:
intanto però possiamo già
azzardare che dalla sperimentazione emergono alcuni aspetti
che occorre considerare come vincolanti
perla tenuta del sistema:
- un contratto adeguato alle funzioni svolte soprattutto per quanto riguarda il personale dei servizi educativi erogati dai soggetti privati: molti di questi non dispongono neppure delle ore sufficienti di formazione richieste dalla nostra normativa,
- una stabilità della figura del coordinatore pedagogico ed una sua dotazione altrettanto stabile nel sistema integrato pubblico privato, con una definizione degli standard organizzativi riferiti soprattutto al n. max dei servizi da coordinare e ad una precisa specificazione circa l'opportunità di operare nello 0-3, ma avendo anche la delega su uno sguardo progettuale più lungo 0-14/0-18;
- una collocazione del CPP in area vasta in quanto organismo che favorisce il dialogo e la coesione di politiche socio-educative integrate ad altri settori (sanitario, scolastico, sociale);
- una rivisitazione/aggiornamento culturale che indagando i profili delle nuove generazioni di padri e madri, aiuti a riflettere sulle dinamiche relazionali e sugli stili legati ai processi di accudimento/attaccamento/distaccamento attualizzati, assieme alle difficoltà delle coppie separate i cui bisogni educativi e di gestione del tempo di cura/lavoro sono sovente intercettati dai servizi educativi, ma che rimandano a risposte che i servizi da soli non possono garantire. Una revisione della spesa e degli investimenti sapendo che, al netto di quanto ci auguriamo venga garantito se passa il decreto legge Puglisi, possa garantire maggiori risorse finanziarie, anche regionali, come è avvenuto per il settore degli anziani che sono vulnerabili come i bambini, ma a differenza dei bambini, loro votano.
La
sfida nel dibattito tra modernismo e post-modernismo sta proprio
nella differenza tra certo e incerto e nell'incerto abituarsi a
considerarlo non come una perdita di identità, la cui eccessiva
affezione può produrre isolamento ed entropia, ma come l'inizio
della sua costruzione a cui la nostra regione non si sottrarrà
mettendo in campo
le cautele necessarie a conservare un legame con la memoria senza
temere l'innovazione.
Ma di questo penso vi anticiperà meglio di me la vicepresidente
Gualmini.