Gli
Enti Locali fra legge Delrio e accordo sulle città metropolitane
La
legge Delrio (n. 56, aprile 2014) che ridisegna confini e competenze
dell’amministrazione locale senza modificare il titolo V della
Costituzione, ha segnato l’inizio di un riordino complessivo del
sistema dei poteri locali negli ambiti regionali. Si è trattato di
in un primo importante passaggio nella prospettiva della
razionalizzazione dell’assetto istituzionale italiano, ma anche di
una più oculata ed efficiente gestione delle risorse pubbliche. In
particolare le Città Metropolitane sono state concepite non come
nuovi enti, ma come risultato di una nuova concezione delle grandi
aree urbane e di un nuovo patto fra comuni vicini per un
miglioramento dei servizi a favore dei cittadini.
Un processo
rafforzato dal fatto che la recente sentenza 50/2015 della Corte
Costituzionale, respingendo i ricorsi di varie Regioni, ha messo
definitivamente la legge Delrio al riparo da ogni sospetto vizio di
legittimità. Ma certo questa legge, che ha trasformato le Provincie
in enti di secondo livello e istituito le “Città metropolitane”,
se rappresenta senz’altro una opportunità riformatrice, pure
richiede un’attuazione corretta e coerente. A cominciare
dall’effettiva garanzia di alcune condizioni minime necessarie ad
evitare il default di molti enti interessati, il che costituirebbe,
tra l’altro, un vulnus fatale per lo stesso processo di riforma. La
prima condizione è una stretta connessione fra i tempi e le fasi del
riordino previsto e il tema ineludibile delle risorse. Senza risorse
adeguate è infatti inimmaginabile non solo costruire sistemi
coerenti di riallocazione delle funzioni amministrative, ma anche
semplicemente assicurare la continuità dei servizi ai cittadini,
alle famiglie, alle imprese. Nella recente intesa in sede di
Conferenza unificata del 26 marzo, sono stati raggiunti accordi
significativi: a) sulla rideterminazione degli obiettivi del patto di
stabilità interno; b) sulla rideterminazione delle sanzioni per il
mancato rispetto del patto stesso; c) sull’avvio a regime del
sistema di armonizzazione contabile. Non sono stati però previsti
interventi integrativi in grado di sanare la rottura prodottasi nel
legame tra trasferimento delle funzioni e trasferimento delle risorse
finanziarie, umane e strumentali. Ora è evidente che un tale legame
rappresenta uno dei capisaldi irrinunciabili della riforma. La
seconda condizione è che si intervenga anche sul versante delle
regioni per garantire l'integrale copertura dei costi del personale.
In effetti le regioni stesse sono condizionate dall'incertezza del
quadro normativo e finanziario, avendo dovuto subire un taglio di
circa 5 miliardi, che le spinge a scaricare tali incertezze anche
nella produzione legislativa regionale, quella che tra l’altro
dovrebbe affrontare il nodo della riallocazione delle funzioni non
fondamentali delle province.Occorre
dunque prendere realisticamente atto che si è creato un problema
normativo piuttosto complesso, che pone gli enti in sostanziale
«surplace», con rischi per la efficacia di ogni disegno di riforma.
Ma anche se si guarda dentro i contenuti del processo riformatore in
corso si notano sia tendenze ad un certo accentramento delle
funzioni, sia a ridurre i trasferimenti in capo alle regioni. La
decisione di affidare agli Osservatori regionali la regia del
riordino delle funzioni provinciali non sta funzionando. Occorre
quindi trovare soluzioni diverse a livello nazionale, che possono
essere individuate già nel decreto enti locali di prossima
emanazione, dove potrebbero trovare accoglienza proposte che oggi
possiamo ritenere senz’altro praticabili anche in ragione del
miglioramento complessivo delle condizioni della finanza pubblica.A
ciò si aggiunga che già la legge 23/2014 (Delega fiscale) aveva
disposto il riordino della disciplina di riscossione delle entrate
degli enti locali. Nel generale rispetto della loro autonomia, si è
puntato soprattutto al rafforzamento delle strutture e delle
competenze specialistiche atte a migliorare la capacità di gestione
dei tributi di competenza da parte degli EELL. In questo quadro si è
deciso altresì di riordinare la disciplina delle aziende
pubbliche locali preposte alla riscossione e alla gestione delle
entrate in regime di affidamento diretto.
Tutto questo permette di dire che gli enti locali sono in genere
investiti da un ampio, ambizioso progetto di riforma, il quale però
come detto richiede un quadro finanziario il più possibile chiaro e
stabile. È sicuramente un fatto positivo, che segna una inversione
di tendenza, quanto previsto dall’ultima legge di stabilità in
fatto di allentamento del patto di stabilità interno e conseguente
ripristino di risorse sui fondi per le politiche sociali. Tuttavia,
oltre alle riduzioni delle rilevanti risorse già tagliate per
province e città metropolitane (1 miliardo nel 2015, 2 miliardi nel
2016 e 3 miliardi nel 2017), nella legge di Stabilità 2015 è stato
anche tagliato il Fondo di solidarietà comunale (1,5 miliardi
circa). E non sono stati previsti gli stessi stanziamenti del 2014 -
625 milioni per compensare il minor gettito nel passaggio Imu/Tasi. A
tutto questo vanno aggiunti gli effetti prodotti dall'armonizzazione
contabile, che implica di fatto un'ulteriore diminuzione delle
risorse disponibili per la spesa corrente di circa 1,9 miliardi
annui. Sull’insieme
di queste questioni la posizione del PD consiste intanto in una
valutazione positiva del fatto che il Governo abbia confermato che,
nel Def per il 2015, non saranno inseriti nuovi tagli a comuni,
province e regioni, in aggiunta a quelli già decisi, nel dicembre
scorso, con la legge di stabilità. Si ritiene però altresì
indispensabile che il Governo approvi rapidamente l'annunciato
decreto urgente sugli enti locali per dare, valutate le richieste
degli Enti locali, risposte e certezze sulle molteplici questioni
aperte sia in termini di risorse economiche (che riguardano il già
ricordato fondo perequativo di 625 milioni, ma non solo), sia sul
fronte normativo e regolamentare. C’è in verità anche un problema
di equilibrio fra i diritti dei comuni “virtuosi” e le necessità
di quelli in deficit. Da valutare in tal senso un intervento sul
Patto di stabilità, verificando la fattibilità di una alimentazione
del Fondo di solidarietà nazionale non più dai comuni, ma da parte
del solo Stato, così da lasciare risorse certe alle amministrazioni
locali più virtuose. Di
certo occorre anche riaprire il confronto sulla nuova Local Tax, che
può e deve diventare, in una prospettiva di federalismo fiscale, una
soluzione durevole e improntata all'equità, sia dal punto di vista
dei sindaci e degli amministratori locali, sia dei cittadini
contribuenti. Saranno in particolare da evitare gli errori compiuti
nel 2013 con la Tasi, troppo frettolosamente approvata, senza ben
ponderare le ricadute negative, rispetto all'Imu, sulle abitazioni
principali di proprietari con redditi medio-bassi.
In
questo senso può essere opportuno anche
ripristinare, nelle more dell'introduzione della nuova local tax, il
trasferimento integrativo di 625 milioni per compensare il minor
gettito nel passaggio Imu-Tasi (che nel 2014 è stato fondamentale
per l’equilibrio finanziario di 1.800 comuni).
Si
potrà anche lavorare ad una oculata revisione dei meccanismi della
legge Delrio e soprattutto alla definizione di un quadro finanziario
che tenga conto della differenziazione delle funzioni tra province e
città metropolitane, anche attraverso l'attuazione del decreto
68/2011, che contiene misure sull'autonomia finanziaria delle città
metropolitane. In particolare pare opportuno garantire una effettiva
applicazione delle norme di non penalizzazione e anzi incentivazione
dei comuni istituiti a seguito di fusione, nonché, come detto, la
revisione dei criteri di alimentazione e riparto del Fondo di
solidarietà comunale. Vanno rideterminati gli obiettivi del patto di
stabilità interno per gli enti locali, alla luce di quanto stabilito
dall’intesa sancita dalla Conferenza Stato-città autonomie locali
del 19 febbraio, ma anche ripensate le sanzioni per il mancato
rispetto del patto di stabilità interno nel 2014 da parte dei comuni
e valutata la non applicazione delle sanzioni per le province e le
città metropolitane. Su alcuni di questi punti c'è già un'intesa
di massima; su altri occorre un intervento indispensabile per mettere
le autonomie locali in condizione di affrontare i numerosi
adempimenti che le attendono. Un’altra idea da valutare potrebbe
essere quella di introdurre meccanismi premianti per chi dimostra
andamenti positivi di gestione finanziaria, consentendo incrementi di
spesa nel caso di investimenti mirati ad azioni innovative
strategiche.
Per
quanto riguarda in particolare le nuove province bisogna evitare il
cadere in dissesto dei nuovi enti di area vasta, ma anche di
scaricare responsabilità eccessive su presidenti e consiglieri
provinciali, vanno poi tenute sotto osservazione le dinamiche di
squilibrio finanziario in corso e i rischi di dissesto. Dalla
legge di stabilità 2015 all’accordo sui tagli alle città
metropolitane. L’ultima legge di stabilità (n. 190/2014) aveva
previsto tagli per l’anno in corso, particolarmente per le Città
metropolitane. Di recente i sindaci delle aree metropolitane hanno
trovato un accordo per rimodulare, cioè ripartire diversamente, fra
loro, i carichi della riduzione di risorse, per una cifra pari a
complessivi 256 milioni. La rimodulazione prevede che 27 milioni di
euro saranno risparmiati da Roma,
Firenze e Napoli per essere ripartiti
soprattutto da Milano, Torino e Bologna;
in questo modo si rende la distribuzione fra le città più
omogenea, anche in termini di incidenza sulla spesa netta e in
termini pro-capite.
Si
è trattato di una prova di solidarietà fra i
sindaci delle maggiori città che però hanno anche rivolto un
appello al governo perché il ricordato nuovo decreto sugli
enti locali sia emanato in tempo utile per la chiusura dei bilanci.
La diversa ripartizione del taglio infatti potrà essere praticabile
dall’Associazione dei Comuni solo se si troverà un accordo più
complessivo con il Governo. In primis
sulle questioni ancora aperte dalla reintroduzione del fondo
perequativo di 625 milioni, al meccanismo compensativo sull’Imu sui
terreni agricoli e montani per i piccoli Comuni, passando per la
flessibilizzazione del nuovo sistema di contabilità, fino alla
possibilità di utilizzare nella spesa corrente la rinegoziazione dei
mutui, l’alienazione di beni mobili e immobili e gli avanzi di
esercizio. In questo modo le aree metropolitane che hanno accettato
tagli maggiori li potranno compensare grazie appunto all’accoglimento
di provvedimenti quali la rinegoziazione dei mutui o l’abbattimento
delle sanzioni da sforamento del Patto di stabilità. Da valutare
anche la proposta dell’Anci di non applicazione delle sanzioni per
lo sforamento al Patto ereditate dalle vecchie Province e la
copertura da parte dello Stato, come peraltro previsto dalla legge
Delrio, del 30% del costo del personale,
che dal 1 gennaio 2015 è
a carico dei Comuni. Si tratta di valutare anche la proposta di
escludere dalla base di calcolo dei tagli le spese correnti
sostenute per rifiuti, trasporto pubblico locale e formazione
professionale (ovvero le componenti che determinano i principali
differenziali di spesa che si riscontrano nei bilanci provinciali).
Questo anche perché da parte degli enti locali si chiede di
estendere l'arco temporale di riferimento al quadriennio 2009-2012,
escludendo comunque dal computo l'anno in cui il complesso delle
spese considerate assume il valore più alto. Per altro considerando
nel «montante» utile ai fini del riparto, anziché il solo taglio
operato con il dl n. 78/2010, l'intero ammontare dei tagli alle
risorse delle Province intervenuti nel periodo 2011-2015. L’obiettivo
dev’essere quello di garantire maggiore sostenibilità e assicurare
più spazi alle città metropolitane alla luce delle maggiori
funzioni loro conferite.
Infine
l’accordo fra le città metropolitane prevede la revisione
dei meccanismi di calcolo degli obiettivi anche per le province e le
città metropolitane, proponendo una metodologia analoga a quella
introdotta per i comuni dall'Intesa raggiunta in Conferenza Stato
città e autonomie locali lo scorso 19 febbraio (peraltro non ancora
recepita dal legislatore). Ma
il punto politicamente delicato è che la diversa ripartizione dei
tagli impone comunque una correzione
alla legge di Stabilità; si tratta infatti di rivedere le modalità
per stabilire l’entità dei tagli tra province e Città
metropolitane in base ai cosiddetti «fabbisogni standard», cioè al
"prezzo giusto" delle diverse funzioni locali. Finora il
Governo ha applicato la misura in base al rapporto fra «costi
efficienti», misurati dalla Sose e possibilità per ogni ente di
raccogliere gettito dalle imposte sull'automobile (addizionale RcAuto
e Ipt) e sull'ambiente. Ora i sindaci propongono, per rendere un po’
meno brusco il passaggio dalle vecchie alle nuove regole, di
considerare insieme «costi efficienti» e spesa storica. Questo però
implica la disponibilità da parte del Governo ad attenuare almeno in
parte la parola d'ordine dell’«addio alla spesa storica» avanzata
nelle scorse settimane.
Ma
vediamo riassuntivamente alcuni dei temi prevedibilmente al centro
del prossimo decreto enti locali. Uno è rappresentato dalla
riduzione delle super-sanzioni in vigore da quest'anno per chi ha
sforato nel 2014 il Patto di stabilità: l'idea, che riguarda da
vicino almeno un terzo degli enti di area vasta, è già scritta
nell'intesa firmata a febbraio da sindaci e Governo, ma va tradotta
in pratica con scelte che hanno dei costi. Indubbiamente
i due passaggi, rappresentati da redistribuzione dei tagli e
alleggerimento delle sanzioni, sono fra loro intrecciati, anche
perché penalità più leggere aiuterebbero a compensare la stretta
aggiuntiva alle Città scese in aiuto di Firenze, Roma e Napoli.
L’esito della vicenda, che comprende anche il Fondo per le
detrazioni Tasi da 625 milioni, è poi collegato all'esito della
trattativa fra Governo e Regioni sui tagli alla sanità, perché
anche questo capitolo dovrebbe finire nel decreto enti locali, la
speranza è di un accordo che soddisfi tutte le parti.