Nelson Bova |
Lavora in Rai dal 1988, ha scritto più libri, ha girato parecchi video e da qualche anno è presidente dell'associazione di genitori e figli con disabiltà Il Tesoro Nascosto. Nelson Bova ha una vasta esperienza nel campo del sociale, predilige da sempre il mondo delle disabilità anche prima di averne avuto esperienza diretta. Ha costruito un nuovo modo di raccontarlo senza pietismo e sensazionalismi ma con discrezione nel tentativo di integrare storie straordinarie nell'ordinario. L'abbiamo incontrato per farci raccontare il mondo dei disabili e del welfare. Alcune risposte sono sorprendenti e al limite del politicamente corretto.
Agli inizi del 2000 lancia una rubrica interna al TG dal titolo AbilHandicap. Una volta ha
detto che se il programma fosse stato interrotto sarebbe stata una vittoria, perchè avrebbe significato che il mondo dei disabili non era più oggetto di
qualcosa di straordinario. Cosa è cambiato?
Il programma è
finito per motivi indipendenti da quelli che mi cita. Ma al di là di
questo il mondo delle disabilità è cambiato e molto. Se ripenso a
come si trattava la tematica quando ho iniziato non posso che vedere
cambiamenti e miglioramenti. Il tempo del pietismo è concluso, è cambiato l'uso delle parole, oggi in pochi direbbero ad
un disabile, non so,“sei un mongoloide”. Non è più socialmente
accettato. C'è molta voglia di raccontarsi, sia da parte dei
disabili, che da parte dai loro familiari.
C'è molta più voglia di raccontarsi in generale, anche in modo esibizionistico...
Si, questo è vero ma per tornare al nostro tema credo che le cose siano davvero migliorate grazie ad un'apertura e ad un diverso modo di comunicarla. Se qualche anno fa i
disabili erano lasciati confinati in casa e si isolavano, oggi se ne parla e si vive la situazione con meno timori, con meno sensi di colpa. Con questo non voglio dire che queste reazioni non esistano più. Però parlare e comunicare fa bene e credo che tutte le
occasioni e le attività che portano in contatto i disabili con il mondo
dei normodotati e viceversa siano utili.
Occasioni di che tipo? Ci fa un esempio?
Trovo
particolarmente ben riuscito il progetto dei tutor con crediti.
In cosa consiste?
Il tutor che è un
semplice cittadino, dedica del tempo ad una persona con disabilità e
in cambio riceve dei crediti spendibili in diversi contesti per aquistare dei beni: libri, fare la spesa o altro ancora.
Non è pericoloso
monetizzare il volontariato?
Forse il
pericolo è avvertito più su un piano ideologico. La pratica ha altre
esigenze. Mal che vada potrebbe accadere che durante il tutoraggio, chi ha aderito attirato da scopi economici, potrebbe incontrare un'amicizia... Avvicinarsi ad un disabile può essere una scoperta. Può scardinare paure e timori, che tutti abbiamo quando incontriamo cose ignote. In fondo qual'è il rischio? Se una persona su cento dopo questa esperienza si dovesse avvicinare al mondo delle disabilità, sarebbe comunque un ottimo successo. D'altro canto non fare, non ha alcun vantaggio, non produce nulla.
Altri esempi ben riusciti?
Mettere il soggetto
normodotato in condizione di vivere la disabilità in prima persona. Lo trovo un buon sistema.
Come?
Ad esempio indossando
occhiali che deformano la vista, oppure mangiare, bendati. Queste esperienze sono dirette, vissute, e si capisce più profondamente le difficoltà dell'altro. Fare è il miglior modo per capire.
In un'intervista
racconta: “Gli ultimi rappresentano meglio la società, sono loro
che vivono la vera realtà e tutto quello che viene deciso ricade
innanzitutto sulla loro pelle.”Un commento.
Dietro questo ragionamento c'è una piccola storia che forse spiega
meglio il concetto.Ero a Modena a fare un servizio in un centro di smistamento rifiuti.
L'odore non era certo profumo e il luogo lo lascio immaginare, per
terra un simpatico liquame appiccicoso, c'era di tutto non solo carta
e plastica, per intenderci. Bene. Gli operatori che ho incontrato
erano contenti del loro lavoro, mi sembrava incredibile, invece in
molti mi raccontavano come il loro lavoro fosse un buon modo per
conoscere la società e lo facevano guardando gli ultimi resti del
nostro avere...questo mi ha colpito. Ho pensato che potesse essere
vero anche per gli ultimi tra la nostra società.
“La società in cui viviamo è meno pronta ad
accogliere la diversità in ogni sua forma, e al contrario tende a
considerarla un impiccio in più. La crisi in questo può aiutare,
perché ci costringe a sentirci più vicini e a comprenderci l’un
l’altro.” Sono parole sue, la domanda è non potrebbe essere vero il contrario? In tempo di
crisi e tagli non crede che si inneschi più facilmente la guerra tra
poveri?
Forse dipende da
come si guarda il bicchiere, lo si può vedere mezzo pieno o mezzo
vuoto... Personalmente credo che la crisi abbia innescato alcune
consapevolezze: ad esempio abbiamo la chiara percezione che in strada ci potremmo finire tutti. Se
prima il povero era percepito dai più come una persona che non si
era data abbastanza da fare, che aveva fatto scelte sbagliate, o che
non aveva saputo adattarsi, oggi la percezione è molto diversa. Ora
tutti sappiamo che potenzialmente potremmo perdere tante certezze
che erano argini di sicurezza. Oggi la crisi
ci costringe a star più vicini e il senso della precarietà ci
spinge ad immedesimarci, capire, accogliere.
Secondo lei la
regione E-R ha un welfare da esportare?
Proprio l'altro giorno ero
in Lombardia dove
ho incontrato alcuni amici con i quali discorrevo di questo tema.
In Lombardia c'è un altro sistema di
welfare, praticamente non ci
sono servizi ma si riceve un assegno di mille Euro oltre ai
contributi Statali. Al
contrario in E-R i servizi
come ben sappiamo
ci sono. Entrambi
i sistemi presentano
difficoltà,
se non ricevi un servizio
adeguato, fare ricorso diventa difficile e
lungo, se non ricevi i mille
euro, diventa molto più celere avere “ragione” in termini
legali. D'altro canto chi riceve i mille euro può spenderli in modo
inadeguato o
magari
non utile alla patologia sua o peggio dei suoi cari. Non è
facile...In tutto questo ho
riscontrato che nel
nostro territorio sto
incontrando sempre più persone che lamentano che il servizio man
mano sta peggiorando e che
hanno sempre meno fiducia.
L'Italia è una
delle nazioni che per prima ha integrato i disabili. Come?
Nel '77 si sono
chiusi i manicomi. Sull'onda di quella avversione rispetto alle
reclusioni, si è scelto di integrare, anche i disabili nelle
scuole. Dopo oltre trent'anni possiamo tirare un po' le somme. Per
alcuni aspetti il sistema ha fallito. Manca un'adeguata formazione
del personale che deve essere diversa a seconda della disabilità,
mancano anche gli strumenti per supportare la didattica. C'è poi
un'integrazione per i casi più gravi, che è falsa, i soggetti vengono
integrati 10' nelle classi al giorno, nel restante tempo stanno in
aule apposite con il solo insegnante di sostegno. D'altra parte un
recente studio condotto in Germania ha dimostrato che i bambini con
la sindrome di Down che frequentano le scuole italiane, hanno
migliori risultati nell'apprendimento rispettot ai bambini tedeschi che
frequentano scuole speciali. Insomma è un problema molto complesso
che spesso manca di attenzione.
Cosa si
sentirebbe di dire ai genitori che lamentano dei ritardi nell'apprendimento della classe per la presenza a scuola di bambini disabili?
Che hanno ragione. Se l'inserimento non è svolto in modo adeguato la
classe ne risente. Faccio un esempio: se in classe c'è un bimbo
dislessico si deve avere un'attrezzatura e un sostegno adeguato. Il
dislessico non riesce a seguire una frase molto lunga, quindi i testi
dovrebbero essere riscritti per lui o lei con periodi molto brevi:
soggetto, verbo e predicato, punto...ora se mancano i testi adeguati
il bambino rimarrà indietro e così trascina la classe nelle sue
lentezze e difficoltà. Stesso discorso di prima: ci vuole sostegno
adeguato e strumenti corretti che si possono creare solo con il
tempo.