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Parola
a... Primo maggio: un giorno dedicato al lavoro, ai lavoratori, ai diritti e ai doveri. Il nostro paese non naviga
in “buon acque” di lavora ce n’è poco e non pare ripartire
davvero. Ce lo dicono studi e sondaggi ce lo dimostra la realtà
quotidiana. Un milione di posti di lavoro in più ha significato
anche un milione di lavoratori più precari. Di fronte a instabilità
di salario e alla continua precarietà le paure crescono e i facili
slogan come “prima gli italiani” prendo sempre più forza.
intanto si prevede che nei prossimi 15-20 anni circa il 15% del
lavoro sarà svolto da macchine. Un problema quest’ultimo che non
riguarda il lavoro nei servizi educativi attanagliati da altri annosi
problemi. Oggi incontro Micol Tuzi dell’assemblea generale Cgil per
costruire una panoramica sui problemi del lavoro nel settore
educativo 0-6.
I servizi
educativi si dividono in servizi a gestione pubblica o privata. La
grande differenza spesso sta nei contratti dei lavoratori. Cosa fa la
CGIL per tentare di colmare il gap?
Stiamo lavando su
più fronti e con diverse iniziative per tentare di avvicinare più
il possibile sia per ciò che riguarda i salari, sia per i diritti
dei lavoratori. Così da avvicinare le tutele del contratto pubblico
anche i contratti dei privati.
Ci sono ancora
forti distanze?
Per semplificare
potremmo dire che i contratti del privato, ad esempio delle
cooperativa sociali che non sono i contratti peggiori, restituiscono
ai lavoratori un terzo di stipendio in meno e la metà dei diritti.
Poi c’è da dire che i contratti privati sono davvero tantissimi.
L’impegno dei sindacati è intervenire in ogni singola situazione
per tutelare al meglio i lavoratori. Il riferimento rimane sempre il
contratto del dipendente pubblico. E’ sempre da lì che si parte.
Ci sono
iniziative particolari?
C’è un tavolo di
lavoro e di confronto sulle problematiche dei lavoratori pubblici e
privati. Per individuare al meglio i problemi, per capire come
lavorare per qualificare di più il lavoro per tutti. C’è poi una
sezione specifica aperta sui contratti di lavoro che definisca tutte
le professioni educative. Il nostro è un lavoro diverso, delicato e
complesso che abbisogna di specificità.
Quant’è in
media la differenza tra un educatore del pubblico e uno al privato?
In media
un’educatrice percepisce 1300 euro mensili. Nel privato con un
contratto a tempo pieno lo stipendio può arrivare anche a 1200 euro.
Ma un grande problema nel privato, è che spesso si utilizzano
contratti part-time.
Il personale nel
pubblico è “vecchio”?
Il problema è
complesso e non si può generalizzare a livello nazionale. Diciamo
che dove c’è poca stabilità e molta precarietà c’è una
prevalenza di personale in età avanzata. Dove si stabilizza di più
questo problema non è così forte. Il fatto è che i nidi e le
scuole d’infanzia comunali ogni sindaco decide e fa politiche
diverse dipende dalla sensibilità politica. Poi in generale possiamo
dire che nel privato ci sono lavoratori più giovani e nel pubblico
in età più avanzata.
Perché?
Perché se un
lavoratore sceglie questa professione è naturale che prima o poi
tenti di passare al pubblico dove lavorativamente si sta meglio, c’è
anche più formazione di norma, più tutele...
Un comune che ha
lavorato bene?
Il mio. Bologna ha
avuto la lungimiranza e la capacità di stabilizzare oltre 400
persone tra educati, maestri e collaboratori. Alla lunga si è
rivelata una soluzione strategica. Oggi abbiamo la pianta stabile. Un
altro comune che sta facendo politiche interessanti è Imola. Comune
guidato da una sindaco del M5S. I servizi sono reinternalizzati alla
gestione pubblica.
A Venezia una
mamma scrive che dall’inizio dell’anno suo figlio ha cambiato sei
maestre di sostengo. Succede solo lì?
A Bologna la realtà
che conosco meglio questo è impensabile. Al massimo non si conferma
l’insegnate di sostengo per l’anno successivo.
In diverse città
si registrano problemi con le sostituzioni?
Si, sopratutto
perché manca il personale adeguatamente formato. Nelle graduatorie i
laureati sono pochi e molto spesso preferiscono andare a lavorare
alle primarie. Nei primi mesi dell’anno le liste si esauriscono e
poi si fa fatica a trovare sostituiti con i titoli ecessari. Siamo
uno dei rari settori in cui occorre più persone formato.
Il maggior
problema a livello nazionale?
Il problema più
forte rimane al sud dove i servizi nono esistono proprio, dove le
risorse economiche sono distribuite male, tramite una distribuzione
cieca che finanzia chi ha di più e non da nulla ha chi ha poco.
Mentre i fondi PAC, quando sono spesi cosa che non succede sempre,
servono solo ad aprire delle strutture che poi chiudono. E poi c’è
il problema della privatizzazione.
Oltre ai
contratti qual’è il problema della
privatizzazione?
Nel tempo abbia
constatato che un sistema misto può anche funzionare bene. Bologna è
un esempio. Ci sono difficoltà non dico che tutto sia perfetto ma
funziona. Una massiccia esternalizzazione invece non può che
generare danni. Il pubblico deve rimanere e deve trainare sia in
fatto di qualità che per la questione dei contratti.
In che senso per
i contratti?
I contratti del
pubblico sono un riferimento sempre e per tutti. Se vengono a mancare
che termini di paragone possiamo avere?
Cgil e cisl è
possibile un’unione?
Qui a Bologna le
alleanza funzionano e funzionano bene. A livello nazionale non
saprei.