Adriana Lodi
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Cronaca
Bambina
Il
nostro conto alla rovescia è finito: L'università di Bologna ha
conferito la Laurea ad Honorem ad Adriana Lodi. In un'aula piena di
persone, sia giovani che meno giovani, la Lodi intervallando il suo
discorso con qualche esclamazione in bolognese ha letto in seguente
discorso, in cui ripercorre la storia dei servizi ma da anche alcuni
spunti politici su cui riflettere per le politiche future. Chiude
infine annunciando una nuova attività a cui stiamo lavorando insieme.
É un
vero piacere per me essere qui oggi. É un onore ed è anche, lo
confesso, una grandissima emozione.
Sono
grata a tante persone oltre al Magnifico Rettore, al Dipartimento di Scienze
dell’educazione, al suo Direttore la professoressa Roberta Caldin,
alla professoressa Tiziana Pironi e alle tante associazioni, che si
sono spese affinché questo giorno potesse essere.Un grazie
particolare va a Katia Graziosi, a Mauria Bergonzini, a Elisa Dorso,
ad Alba Piolanti, a Eletta Bertani,
a Ione Bartoli e Marisa Rodano, ma anche alle fondazioni Nilde Iotti
e alla Fondazione Argentina Bonetti Altobelli. Non vogliatemene se ho
scordato qualche nome, non è per indifferenza, e
spero che tutti si sentano compresi nei ringraziamenti quando
sottolineo un fatto: tutte le persone che ho citato sono donne e non
credo che questa sia una casualità. Durante il mio lavoro prima, e
seguendo i miei interessi dopo, le donne sono sempre state con i
bambini nei miei pensieri e al centro di tante azioni politiche.
Impegno,
rinnovamento e politica
Leggendo
le motivazioni per cui l’Università mi conferisce questo
riconoscimento riprendo questo passaggio, questa breve frase, che mi
ha non poco commossa.
La
laurea mi viene conferita per “l’impegno nel rinnovamento
delle politiche educative nei confronti della prima infanzia”.
Da questa affermazione così densa di significati e suggestioni
estrapolo tre parole che mi sono particolarmente care e che hanno
sempre accompagnato il mio lavoro.
Le
parole sono: impegno, rinnovamento e politica.
Partiamo
allora dalla prima parola impegno.
Personalmente
mi ritengo fortunata. Ho avuto una vita lavorativa costellata da
grandissime sfide e da tanti successi. Spesso le sfide mi sono
sembrate superiori alle mie capacità, alle mie forze, e delle volte,
lo confesso, ho avuto paura. Non ero certa di essere all’altezza.
Ma nonostante i timori ho sempre accettato la sfida e ho tentato di
fare del mio meglio.
Sono
riuscita a non fermarmi davanti al timore anche grazie al sostegno
dalle tante persone che mi erano accanto. Queste persone potevano
essere i miei cari, i miei parenti, i miei colleghi politici, alcuni
dei quali sono stati veri maestri, ma sono stati soprattutto i
cittadini e le cittadine a spronarmi ad andare avanti chiedendomi
d’impegnarmi. Conservo molte lettere di persone, alcune delle quali
non ho conosciuto direttamente, che testimoniano quanta fiducia che
riponevano in me.
E
quando le persone ti danno fiducia, quando i cittadini ti votano,
come mi diceva mio marito Dante, non puoi sottrarti al lavoro. E io
ho tentato. Ho affrontato le sfide con il massimo dell’impegno e
tanto, tanto lavoro.
Il
lavoro è stata la strada maestra che ho seguito, la strada che mi
avevano indicato i miei genitori ed è la stessa strada che sempre
raccomando ancora oggi ai miei nipoti e ai giovani che ho l’occasione
di incontrare.
Il
lavoro del resto mi ha sempre ripagata generosamente.
Come
tanti della mia generazione ho conosciuto la guerra, ho sofferto la
fame e ho lavorato duramente fin da ragazza dovendo lasciare da parte
lo studio che mi sarebbe tanto piaciuto continuare...
Erano
tempi molto diversi da quelli che viviamo oggi e mai avrei
immaginato, quando ero una ragazza, di poter ricoprire tanti
importanti incarichi e di poter avere una vita tanto ricca di
soddisfazioni.
Quando
mi sono ritirata a vita privata ho continuato ad interessarmi e ad
impegnarmi rispetto ai molti temi che mi avevano appassionata durante
la vita lavorativa.
E
quando le persone mi chiedevano: “Come hai fatto a
fare tanta carriere?”
Mi
sono sempre stupita un po’ della domanda perché francamente non mi
sono mai preoccupata di far carriera, di arrivare a ricoprire una
carica piuttosto, che di un’altra…
Per
me c’erano temi interessanti, su cui lavorare, lavorare sodo e con
costanza. C’erano problemi da risolvere, o almeno tentare di
risolvere, c’erano insomma sfide per cui lottare. Ad altro non ho
pensato.
Durante
questo incessante lavoro ho studiato, mi sono informata, e ho
discusso, con i miei compagni di lavoro, per trovare possibili
soluzioni ai problemi che le persone ci sottoponevano.
Alcuni
problemi li ho conosciuti in prima persona, mentre altri, ho dovuto
faticare per capirli e immaginare come affrontarli.
L’impegno
si è tradotto in ascolto, in studio e in azione: tre attività che
si definiscono in una sola parola: lavoro!
Ma
arriviamo alle altre due parole che mi sono care e che non riesco a
descrivere singolarmente ma che vorrei spiegarvi oggi, qui, insieme.
Le
parole sono rinnovamento e politica
La
mia vita, e non solo quella lavorativa, è stata sempre attraversata
dalla politica. La politica è diventata il mio lavoro. Sono stata
nei sindacati per 11 anni, per 6 anni al comune di Bologna dove ho
ricoprendo, per due volte, la carica di assessore e ho terminato la
mia attività in parlamento dove sono stata 23 anni.
In
tutti questi anni non mi sono mai stancata di imparare e ascoltare.
Perché
la politica è fatta di questo: di ascolto profondo e di continua
ricerca della conoscenza.
E
quando ascolti e quando impari e quando cerchi di trovare soluzioni
che non ci sono, soluzioni che fin a quel giorno non sono state
realizzate, o immaginate, allora devi rinnovare e innovare.
Ed
ecco che quando le donne chiedeva con forza di avere dei nidi, dei
posti sicuri dove affidare i loro bambini per continuare a lavorare,
io ascoltavo e capivo bene cosa stavano chiedendo e capivo
altrettanto bene perché lo stavano chiedendo. Sapevo precisamente
quali esigenze stavano esprimendo, perché anch’io come donna e
come madre ho vissuto le stesse difficoltà.
Gli
Onmi
Erano
circa gli anni '60, quando lavoravo ancora per i sindacati, e ho
dovuto lasciare mio figlio in un Onmi. l’Onmi per chi di voi non lo
sapesse era l’acronimo di Opera Nazionale Maternità Italiana.
Erano
strutture, le uniche, che accoglievano i bambini piccoli, bambini che
molto spesso erano poveri, bambini che erano figli illegittimi,
bambini che la morale del tempo condannava insieme alle loro madri.
Come
ho già detto erano tempi davvero diversi.
Ad
ogni modo io e mio marito avevamo molti timori ma non c’erano altre
soluzioni percorribili, e anzi, il fatto che avessimo trovato un
posto all’Onmi, poteva essere considerata una fortuna, perché non
era facile accedervi.
Dopo
tanti dubbi provammo.
Ricordo
ancora la prima mattina all’Onmi quando mi strapparono,
letteralmente strapparono, il bambino dalle mani e con che
indifferenza mi dissero di tornare la sera, nonostante le urla di mio
figlio.
Gli
unici giochi consentiti erano la palla o fare il girotondo. I bambini
non erano stimolati a far altro e non si teneva in alcuna
considerazione il genitore che non poteva nemmeno varcare la soglia
della porta. La mia biografia
La
sera quando andai a riprendere Marco, mio figlio, le donne che lo
badavano mi dissero che era stato buono che aveva mangiato tutto.
Invece trovai nelle tasche del grembiulino i resti del cibo che
evidentemente aveva nascosto lì per non farsi rimproverare.
Resistetti
solo qualche giorno.
Poi
ci arrabattammo con mille stratagemmi perché Marco avesse le cure
necessarie e io potessi continuare a lavorare!
Quell’esperienza
però ha lasciato un ricordo indelebile nella mia memoria.
Quando
venni eletta assessore e tante le donne chiedevano i nidi non ebbi
alcun dubbio su come dovessi spendere il mio impegno politico.
E
del resto ai sindacati avevo già avuto esperienza di nidi
autogestiti dalle donne lavoratrici nei posti di lavoro. A quel tempo
Bologna era quasi un laboratorio diffuso di idee, anche grazia
all’allora assessore Ettore Tarozzi che aveva avviato il febbraio
pedagogico, un ciclo di
incontri in cui anche l’Università portò
un grande e originale
contributo scientifico alla questione infanzia e istruzione. Non si
trattava di un’esigenza passeggera, di un capriccio di qualcuno, i
nidi erano un’esigenza per tante donne e tante famiglie.
Ed
ecco la sfida: dovevo lavorare in modo innovativo, diverso e
alternativo, per dare nuovi nidi che rompessero con la tradizione
degli Onmi. Dei luoghi dove i bambini potessero star bene e crescere
al meglio e dove le famiglie potessero affidare i figli in completa
serenità.
Penso
che in molti sappiano già del viaggio che feci in Svezia e della
visita che feci ad mio cugino, che era emigrato anni prima a
Stoccolma. Lui mi organizzò, in poco tempo, una bellissima visita
presso i loro nidi.
Fu
un’esperienza eccezionale!
Prendevo
appunti e fotografavo tutto quello che potevo, non avevo con me una
gran macchina fotografica, e quello che non riuscivo a fotografare lo
disegnavo, come potevo, per ricordare come erano progettati gli
spazi, come erano gli arredi, i giochi, i punti luce…
Era
tutto molto diverso. Il personale che vi lavorava era accogliente con
i genitori . E gli educatori erano sia uomini che donne! La cosa a
noi bolognesi stupì molto perché a quel tempo si pensava che
l’accudimento dovesse essere un lavoro solo per le donne.
Una
volta che tornai a Bologna mi misi subito al lavoro per progettare
dei nidi a misura delle famiglie e dei bambini per la nostra città.
I
problemi furono tantissimi ma la giunta di Fanti: era una squadra
affiatata e formidabile! Ripensando a quello che abbiamo realizzato,
per i bambini, in pochi anni io stessa mi chiedo: ma come abbiamo
fatto a fare tante cose? Ci siamo riusciti, io credo, perché abbiamo
messo al centro del pensiero politico il bambino, tutto il resto è
venuto di conseguenza!
Ad
ogni modo le difficoltà per aprire il nido Pattini furono tantissime
soprattutto per i costi, per le esigue possibilità del bilancio, per
l’individuazione del terreno dove poter realizzare la struttura...
i problemi erano anche di ordine burocratico, perché allora, solo
l’Omni poteva occuparsi dei bambini compresi tra 0 e 3 anni.
Ad
un certo punto mi contattò l’industriale Patini che credette in
questo nuovo progetto, che era innovativo per i tempi, non avevamo
modelli da seguire, se non quello che avevo visto nel nord Europa. Ma
il signor Patini capì il progetto e lo finanziò. La giunta credette
nell’impresa e i cittadini erano dalla nostra parte...Il nido aprì!
Ed
eccoci arrivati ad oggi.
Alcuni
giorni fa in città abbiamo festeggiato i primi cinquant’anni del
nido Pattini. E’ stata una bellissima festa. Il nido è ancora lì,
è ancora un luogo accogliente, pieno di vita, pieno di bambini e di
bravissime donne che ci lavorano con passione.
Mentre
ero ai festeggiamenti non potevo fare a
meno di notare i bambini.
I
bambini che sono la nostra più grande risorsa, i bambini a cui il
mio pensiero di donna ormai anziana va molto spesso.
E
oggi mi pongo la stessa domanda che mi ponevo tanti anni fa: come
possiamo dare il meglio ai nostri bambini?
Da
diverso tempo i dati relativi alla natalità sono allarmanti. Se
tutta l’Europa sta invecchiando, l’Italia è uno dei paesi che
presenta un tasso di crescita tra i più bassi.
Il
nostro paese non solo si posiziona tra gli ultimi in termini di tasso
di natalità, ma anche in termini di diffusione di nidi e in termini
di occupazione femminile.
Perché?
E’
una domanda urgente!
La
fotografia che emerge dai dati statistici merita tutta la nostra
attenzione.
Un
paese che non ha bambini è un paese senza presente e senza futuro.
Dare
delle risposte concrete ai cittadini e alle cittadine ai bambini è
una necessità, come ha ricordato anche il Presidente Giuseppe Conte
durante il discorso d’insediamento.
Come
possiamo dare risposte?
Credo
che oggi, come cinquant’anni fa, dobbiamo guardarci intorno.
Faccio
allora alcune considerazioni sul contesto Europeo, un contesto sempre
interessante, in cui non solo ci muoviamo ma di cui facciamo parte.
L’unione
Europea da anni ci chiede di seguire alcune strategie per aumentare
la crescita e il benessere sociale. Tra i primi obbiettivi da
raggiungere l’Europa individua l’incrementare del tasso di
occupazione femminile.
L’Unione
Europea ci ha anche invitato a investire di più per incrementare gli
asili nido.
Attenzione!
L’
Europa non solo ci chiede di avere più nidi, fino ad una copertura
almeno del 33%, ma ci chiede di avere asili nido di qualità e a
costi accessibili!
Oggi
come cinquant’anni fa l’occupazione femminile e l’offerta
di nidi è direttamente correlata.
In
Emilia Romagna i tassi di occupazione sono buoni, come sono diffusi i
servizi educativi. Sono in linea con i tassi di occupazione del Nord
Europa.
Investire
in asili, DI QUALITA’, è una strategia vincente per l’aumento
del lavoro, per l’aumento del pil, per un maggiore benessere
diffuso, oltre che per una migliore integrazione nella società e
migliori risultati scolastici, come ci dimostrano tante ricerche.
Al
sud però le cose vanno molto diversamente.
I
nidi sono poco diffusi, c’è poca cultura del sistema educativo 03
e nonostante alcuni investimenti, i risultati sono stati scarsi. Ci
sono regioni, come la Campania, dove il tasso di distribuzione dei
nidi si ferma sotto la soglia del 10%.
È
inaccettabile!
Le
politiche in Francia e in Germania
Guardando
invece fuori dall’Italia dobbiamo dare alla Francia il primato per
il paese che da anni guida la classifica della natalità, con una
media di 1,96 figli per donna.
Cosa
offrono ai loro cittadini?
Tante
diverse soluzioni.
In
Francia c’è una politica che tutela in modo forte le famiglie.
C’è
il congedo parentale che può essere richiesto fino al terzo anno
d’età del bambino, si può cambiare l’orario di lavoro e
renderlo part-time, esistono poi diversi servizi per l’infanzia a
cui potere affidare i propri bambini dai due mesi d’età. Dal terzo
figlio le famiglie hanno anche diritto a tante riduzioni e non solo,
per avere un’offerta di cura ai bebè, o per garantire la scuola,
che è dell’obbligo fin dall’infanzia, ma ci sono anche riduzioni
per viaggiare, per usufruire della cultura oltre che un notevole
ribasso
della pressione fiscale.
Altri
interventi politici interessanti li ha fatti in questi anni la
Germania che è passata da una percentuale di copertura di servizi
educativi del bambino dal 12% ad una percentuale
quasi 27%. Come?
Con
finanziamenti costanti, con procedure amministrative semplici e di
grande aiuto a chi crea o ingrandisce un asilo nido.
Dal
2013 le autorità locali devono risarcire i genitori che non hanno
ottenuto un posto al nido per il loro figlio.
Queste
non sono politiche da inserire nel nostro paese così come le
troviamo altrove. Dobbiamo studiare chi ha fatto meglio di noi ma
dobbiamo anche ricordarci di ascoltare i cittadini e le loro
esigenze.
Senza
ascolto si rischia di fare politiche sbagliate anche con le migliori
intenzioni.
Questi
brevi spunti che ho elencato, vanno ragionati attentamente rispetto
alla nostra storia, alla nostra cultura e alle nostre esigenze.
E
sempre tenendo a mente le raccomandazioni che ci fa l’UE
“i
nidi per essere una reale risposta positiva, devono
essere di qualità”
Questa
qualità va salvaguardata! E per farlo è importante ascoltare anche
chi i nidi li abita da dentro cioè tutti quelli che ci lavorano.
Perché un ritorno ad un servizio di scarsa qualità, non può essere
una soluzione percorribile.
Allora
direi che spazio per lavorare per fare politiche innovative c’è
ancora oggi e ce n’è molto bisogno!
Non
possiamo più attendere: dobbiamo ripensare a risposte che tengano a
mente il presente e anche il futuro.
Dobbiamo
davvero attrezzarci ascoltando bene la domanda e valutando
altrettanto bene le possibili e molteplici risposte.
Tre
donne, tre generazioni per raccontare la mia biografia
Oggi il mio
pensiero va soprattutto ai bambini! Con l’età che avanza sento la
necessità di lasciare loro qualcosa in eredità. Lo sto facendo con
un nuovo lavoro molto impegnativo: sto scrivendo con l’amica e
giornalista Laura Branca e la mia carissima nipote Lara
Faustini Fustini la mia biografia in cui racconterò in modo più
esteso quello di cui vi ho parlato oggi: di lavoro, di impegno e di
politica. Credendo che questo libro di testimonianza possa offrire,
guardando al passato, qualche spunto di riflessione per la politica
di domani.