Il femmicidio di Afragola ci impone una riflessione sulle famiglie

 


Pensieri e parole
L'ultimo caso di femminicidio pone alla nostra attenzione due giovanissimi, lei 14 anni, lui 19. "Fidanzati" in casa da almeno due anni. Il caso segue il classico schema del femminicidio: lei uccisa per aver lasciato lui. Lui uccide perché non è in grado di accettare il rifiuto. La ragazza è "morta dopo lunghi minuti di agonia". Questo è quanto emerge dalle indagini tant'è che il giudice del Tribunale di Napoli Nord, Stefania Amodeo, ha confermato la custodia cautelare in carcere per Alessio Tucci reo confesso.
Purtroppo si ripete il medesimo schema a cui siamo abituati: qui la variante sembra essere la giovanissima età della vittima e la brutale modalità dell'omicidio perpetrato con una pietra. 
 
L'opinione pubblica risponde con i consueti e correttissimi appelli chiedendo di fare educazione all'affettività a scuola. A questo appello si affiancano voci fuori dal coro che sottolineano l'importanza e la necessità dell'educazione alle relazioni e al rispetto che si devono creare in famiglia. 
 
Nelle scuole- dichiara Marina Terragni garante all'infanzia – si parla già molto di femminicidio e di violenza maschile ed è bene che se ne parli sempre di più. Ma in un’intervista alla Repubblica Massimo Ammaniti, decano della psicoanalisi, osserva giustamente: ‘Mi interrogo sul senso di introdurre nelle scuole l’educazione all’affettività. Qui non è questione di teoria, è troppo semplicistico. Il lessico delle emozioni lo si impara in famiglia, l’affettività va vissuta… Il maschio ha una storia, per crescere deve staccarsi dalla madre e questo processo viene vissuto come una perdita, che poi rimane. Quando instaura una relazione sentimentale è come se questa lo dovesse ripagare per la sua perdita… Per questo quando viene abbandonato da una donna scatta la rabbia, il risentimento, il desiderio di distruggere la persona che l’ha lasciato’
 
Una visione controversa che farà discutere, ma una visione che fino ora è emersa raramente a commento dei femminicidi e che dovremmo imparare a considerare, senza colpevolizzare ulteriormente le donne.  
Ma c'è un altro fatto che in questo caso specifico mi rende particolarmente perplessa ed è l'età della vittima. Come mai una ragazzina di soli dodici anni era "fidanzata" in casa con un ragazzo di diciasette? Eppure quando questo accade in altri paesi, qui nella razionale Italia ci indigniamo, perché l'infanzia a dodici anni, al di là dell'aspetto e delle esperienze dei singoli, è pure sempre infanzia. Un'età che noi adulti dovremmo proteggere e sorvegliare, guidare e tutelare. Insomma a fianco di un'educazione affettiva ai ragazzi e alle ragazze a scuola dovremmo interrogarci anche sulle famiglie che sempre più spesso appaiono fragili e senza modelli educativi su cui basare il loro agire quotidiano.   
          
Laura  Branca