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Cronaca Bambina Il
nostro post “Il malessere degli educatori” (leggi qui) ha suscitato
discussione. Nuovi punti di vista si affacciano in rapidi post di
risposta. Ma in realtà le domande che emergono sono molte e le
osservazioni tante. I maltrattamenti che si verificano nei nidi e
nelle scuole sono sempre iscrivibili alla sindrome del burnout? Come
si dovrebbero e potrebbero prevenire? Esistono clausole di garanzia?
Oggi incontro l’Educatore Samuele Amendola direttore del
Centro Educativo Paideia di Lipari per un nuovo confronto.
Maltrattamenti al
nido come prevenirli?
Non
credo esistano ricette facili, certamente il punto di partenza è
garantire la presenza nei servizi per l’infanzia di personale
educativo qualificato, laureato in scienze dell’educazione e della
formazione ed in pedagogia. Può sembrare scontato, ma fino ad ora
non è sempre stato così…
Quali soluzioni?
Occorre
investire di più nei servizi educativi, garantire retribuzioni
adeguate per gli educatori e fare in modo che i progetti pedagogici
dei servizi siano curati da personale educativo specializzato.
E
poi?
E’
fondamentale il monitoraggio e la verifica delle attività educative
professionali attraverso la supervisione di un coordinatore
pedagogico che sia un pedagogista o un educatore laureato e con
comprovata esperienza nel settore. A questo deve aggiungersi il
continuo confronto tra gli educatori per mettere in comune le buone
pratiche e attivare l'autoeducazione/autoaggiornamento.
Telecamere?
Le
telecamere servono solo per registrare i fatti nel momento in cui già
si stanno verificando e hanno un senso se poste di nascosto, non a
prescindere. Ma a noi, invece, interessa prevenire questi orribili
eventi, lavorando a monte, e la prevenzione non può che essere
“educativa”.
Formazione e
auto-formazione sono già teoricamente applicate nei servizi?
Teoricamente
sì, ma la situazione in Italia appare molto variegata, con
differenze anche tra nord e sud, e non sempre si tratta di una
specifica formazione pedagogica e di qualità.
Ad esempio?
E’
importante che la formazione continua del personale educativo sia
scientificamente e pedagogicamente orientata. Ma è fondamentale
anche che nei servizi vengano fatti gli opportuni controlli: che non
esistano situazioni dove personale non qualificato venga posto a
“tenere i bambini” quando l’educatrice ha smontato per l’ultimo
turno. E’ solo un esempio ma rende l’idea.
Al sud non ci
sono nidi di qualità?
Generalizzare non è mai opportuno, anche al sud ci sono ottime
eccellenze. Diciamo che occorre lavorare alla promozione di una
cultura rispetto all’educazione della prima infanzia coinvolgendo
in primis le famiglie e creando una rete umana e professionale capace
di attivare la “comunità educante” perché “per educare un
bambino occorre un intero villaggio”.
Burnout perché?
La
domanda è un’altra burnout cos’è? Perché spostare l’attenzione
dalle condizioni concrete dell’ambiente di lavoro che compromettono
la qualità dei servizi ad un presunto “disturbo” nella mente del
lavoratore?
Perché allora
tanti maltrattamenti?
Le
cause vanno ricercate prioritariamente nel fatto che, fino allo
scorso anno, accedevano ai posti per educatori anche coloro che erano
privi della relativa qualifica universitaria. Sarebbe utile, a questo
proposito, fare una analisi dei dati. Quanti sono i casi? Sono
davvero in aumento rispetto al passato? Quali le qualifiche del
personale in servizio?
Se non per
burnout perché accade?
Le
condizioni di lavoro economicamente non adeguate, la mancanza di
rispetto delle normative in merito al rapporto tra numero di
educatori e bambini, i turni di lavoro estenuanti, sono solo alcune
della reali cause. E si ritorna alla questione del coordinamento
pedagogico, l’idoneità degli educatori dev’essere valutata da
pedagogisti ed educatori con esperienza, capaci di parlare lo stesso
linguaggio creando condizioni organizzative, ed in termini di
rapporti interpersonali e professionali, per prevenire ed intervenire
sulle situazioni concrete per cambiarle. Certo non si possono
utilizzare dei “test” …
Chi li svolge?
Spesso la
selezione/valutazione del personale viene svolta con dei test e poi
si finisce col certificare “disturbi”.
Come il burnout?
Non
solo, ormai anche nel luogo educativo per eccellenza dopo la
famiglia, cioè la scuola, si è diffusa l'ottica dei “disturbi”,
da curare, ovviamente, da parte degli stessi che li certificano.
Facciamo un
esempio?
Purtroppo si sono trasformati quelli che sono i naturali “bisogni
educativi e di crescita” dei nostri bambini, in patologie da
curare… forse perché non sappiamo riconoscerli pedagogicamente?
Forse perché coloro che sono esperti nella relazione educativa e
competenti nel riconoscere e trovare risposte ai relativi bisogni,
sono stati lasciati fuori dalla scuola? Oggi, troppi bambini vengono
diagnosticati e certificati: sono iperattivi, oppositivi, hanno
disturbi dell’apprendimento etc… e dopo i bambini, adesso si
passa agli insegnanti.
Che sono?
Depressi,
demotivati, esauriti, stressati? La realtà è che gli insegnanti
sono lasciati soli ad affrontare il carico di complessità del loro
lavoro, così come sole, spesso, sono le famiglie, i genitori…
Frequentemente, davanti ad una difficoltà nel processo di crescita
ed educazione, si corre il rischio di soffermarsi esclusivamente
sugli “eventi”, sulle manifestazioni, ma noi non lavoriamo sugli
eventi, bensì lavoriamo con le Persone. Occorre cambiare lo sguardo!
La soluzione?
Non
c’è un’unica soluzione, ma ci sono tanti accorgimenti che
insieme producono risultato: prima di tutto, investire
sull’educazione e qualificare i servizi in senso pedagogico,
realizzando le condizioni per dare risposte ai bisogni educativi
della comunità. Sicuramente non saremo totalmente immuni da
comportamenti scorretti, ma avremo gli strumenti per prevenirli
garantendo la qualità dei processi educativi.