Aldo Fortunati |
Aldo Fortunati è
direttore dell'area educativa presso l'Istituto degli Innocenti di
Firenze. L'istituto ha una storia lunga da raccontare di oltre 6
secoli. E' il primo centro in Europa ad occuparsi d'infanzia e l'ha
sempre fatto in grande stile. Basti pensare che l'edificio fu
progettato dell'architetto Brunelleschi e decorato dall'illustre
artista Luca della Robbia. Sotto le eleganti arcate del quadriportico
si apre uno dei maggiori centri di documentazione sull'infanzia.
L'istituto fa ricerca, indagini, studi, propone progetti pedagogici e
fa molto altro ancora. Abbiamo incontrato il dottor Fortunati per
raccontarci d'infanzia. Il suo è uno sguardo acuto e talvolta
pungente.
Secondo lei qual è
la priorità oggi rispetto all'infanzia?
Quella di sviluppare
una proposta d'intervento diffusa per ampliare l'offerta dei servizi
educativi a livello nazionale e non più a carattere straordinario.
Ad oggi il quadro nazionale si presenta molto variegato, con punti di
buona diffusione, paragonabili ad esperienze di nazioni evolute, nel
nord e nel centro, in altre situazioni, spesso al sud, manca uno
sviluppo e di qualità e quantità. Bisogna aver chiaro che si deve
provvedere ad un equilibrio. Un equilibrio che non può che partire
dal centro quindi dallo Stato. Ci deve essere un impegno ordinario e
continuativo. Solo così potremmo garantire un diritto all'educazione
per tutti, indipendentemente dal fatto che i bambini nascano a
Bologna o a Catanzaro. Questa attenzione può darla solo lo Stato,
iniziando dal potenziamento dell'offerta sulla rete 0-3.
Crede che
l'attenzione e il controllo debbano partire anche dai cittadini?
Il cittadino può
chiedere i servizi. Non può farsi carico del controllo. Faccio un
esempio banale, che spero possa chiarire, non posso essere io che
vado in pizzeria a dover controllare la qualità degli ingredienti.
Questo è un compito che spetta all'autorità pubblica. Figuriamoci
quando parliamo di servizi tanto importanti e con interessi sociali
così forti. Negli ultimi 45 anni la scuola dell'infanzia ha saputo
radicarsi nel territorio nazionale in modo diffuso, grazie
all'impegno dello Stato con la legge 444 del '68. Così si è
sviluppata un'offerta, che oggi è ben distribuita e riconosciuta.
Solo l'offerta statale è del 75%. Lo 0-3 dovrebbe seguire una strada
analoga.
Quindi nidi statali?
No, ma lo Stato
dovrebbe farsi carico economicamente della spesa per beni e servizi
di interesse pubblico.
I nidi si sono
istituiti grazie a movimenti nati dal basso, movimenti politici e
femministi. Sono state le donne e le mamme che scendendo in piazza,
hanno chiesto i servizi e viva voce. Dopo è arrivata la Legge 1044
del 1971. Non crede che si dovrebbe ripartire da lì, quindi
dall'interesse diffuso dai servizi per aiutare la diffusione dei
servizi?
Magari! Ma non per
fare i guardiani. Per rivendicare le responsabilità dello Stato,
questo sì, lo Stato dovrebbe sostanziare economie e definire regole
diffuse. Un movimento dal basso potrebbe imporre alla politica le
responsabilità per diffondere i diritti dei bambini, per tutti i
bambini. Insomma la domanda può arrivare dai cittadini, la risposta
però deve essere una risposta politica, con responsabilità precise.
Con questo non voglio dire che la risposta debba essere
esclusivamente pubblica. Deve arrivare da chiunque voglia e possa
fare servizi di qualità.
Secondo lei il
servizio pubblico a gestione diretta è della medesima qualità nella
gestione indiretta?
No. La qualità non
sta da una parte o dall'altra. Non sta tutta nel pubblico o tutta nel
privato. Per entrare nello specifico: ci sono servizi diretti di
ottima qualità, così come privati accreditati, o in convenzione,
che garantiscono altrettanta qualità. Ci sono poi gestioni dirette
che sperperano risorse ingenti...non c'è un soggetto a garanzia. Il
buon funzionamento dei servizi è caratterizzato da un buon lavoro
organizzativo generale. Faccio due esempi: la Toscana e l'Emilia
Romagna sono regioni dove i servizi sono ripartiti tra pubblico e
privato. Bene il cittadino che frequenta, difficilmente si accorge
della differenza, perché c'è un buon controllo del sistema. Questo
produce una diffusione qualitativa al di là di chi gestisce.
Molto comitati di
genitori in tutt'Italia con cui BoNidi è in contatto percepiscono
il servizio pubblico come qualcosa da difendere, come qualcosa di
tutti, mentre il privato come qualcosa di qualcuno...
Capisco, ma non
posso condividere questo punto di vista che è ideologico.
Personalmente sono per la qualità ovunque essa si trovi. Sono
particolarmente dispiaciuto quando vedo una gestione pubblica mal
funzionate, come mi capita di incontrarne. La qualità deve essere
garantita al di là della gestione. Ritorno poi al concetto con cui
ho aperto l'intervista, l'investimento deve essere continuativo.
Credo sia questa la priorità anche per una qualità diffusa.
La qualità può
garantire l'offerta?
Sì. Secondo un
nostro recente lavoro, che presto pubblicheremo, sono
approssimativamente 10 mila i posti scoperti, su 250 mila a
disposizione. Ciò significa che la crisi ha ridotto la domanda, come
era inevitabile. Le famiglie fanno fatica a coprire le rette e gli
enti non riescono a contenere i costi. Così il servizio diventa
inaccessibile. Le responsabilità e le risposte devono essere
pubbliche. Non solo per sviluppare l'offerta ma anche per garantire
dei costi equi. Perché la scuola dell'infanzia non ha subito la
stessa sorte? Perché è diffusa, perché è gratuita, spesso la
quota economica coperta dalle famiglie si limita al pasto. Non c'è
percezione da parte dei cittadini dei costi delle scuole d'infanzia,
che sono costi vicini a quelli del nido. Dei costi delle scuola se ne
fa carico lo Stato. Ed ecco che torniamo ancora al discorso di
partenza: ci deve essere un investimento da parte dello Stato
ordinario.
Ultima domanda: cosa
pensa del ddl 1260 proposto dal PD?
Penso vada bene. La
copertura economica che è significativa ed è adeguata non è però
così scontata. Vedremo. Intuisco poi un rischio. Trovo molto
corretto parlare di 0-6 ma non vorrei che si appiattisse il sistema
verso il basso e che il servizio 0-3 diventi un servizio che
scimmiotta il 3-6, che a sua volta spesso scimmiotta la scuola
primaria. Lo 0-6 deve rimanere un servizio educativo e non
scolastico, per questo sarebbe bene che rientrasse non solo sotto il
Ministero dell'Istruzione. Sarebbe più appropriato definire un
ministero dell'istruzione e dell'educazione. Il rischio che vedo
insomma è quello di una subalternità che rientrerebbe in una
prospettiva d'anticipazione, invece dobbiamo dare tempi corretti ai
bambini e non accelerare verso esperienze che faranno poi.