La festa della mamma... due mesi dopo


 


Lavorare Riposa... 

Questo articolo non è il solito mezzo con cui, generalmente, sfogo una frustrazione, perché stavolta gliele ho cantate, a quelli là… e la frustrazione l’ho scaricata. Tuttavia, il motivo per cui gliele ho cantate, a quelli là, merita decisamente un approfondimento.

Di cosa parliamo?

Parliamo della festa della mamma, delle mie aspettative e della delusione che segue, sistematicamente, queste stesse aspettative tradite. Ogni anno.

La festa della mamma cade la seconda domenica di maggio. La numerazione del giorno può cambiare e questo non agevola la memoria, è vero.

È pur vero, però, che essa è preceduta da una tale quantità di messaggi promozionali su TUTTI i media, che vanno dal week end per la mamma, al dolcetto per la mamma, al libro per la mamma, al fiore per la mamma, al pensiero per la mamma… che per scordarsela bisogna proprio mettersi di impegno!

E la mia famiglia, in questo senso, si impegna moltissimo.

Ogni anno, l’approssimarsi della festa della mamma mi propone farneticanti fantasie: pargoli che, la mattina della festa, saltano sul letto abbracciandomi, baciandomi e gridando: “Auguri mamma! sei la più bella del mondo!” (sono fantasie, oh!); fidanzato che si fa largo tra i suddetti pargoli, recando con sè un vassoio con tazza di caffelatte di soia e un vulcanetto del Bar Billi; pargoli e fidanzato che, dopo avere salutato la mamma, smammano ammiccando e (portando via il vassoio coi resti della colazione) la lasciano in compagnia della “Domenica del Sole 24 Ore” per il resto della mattina, sdraiata sul letto, mentre dalla finestra entra una deliziosa arietta primaverile…; un profumino che, verso mezzodì, attraversa il piccolo disimpegno e si insinua sotto la porta della camera da letto, e mi invita a stiracchiarmi e a recarmi in cucina, dove mi aspetta, sulla tavola, un tagliere in legno d’olivo pieno di delizie unte e bisunte ed un bicchiere di vino rosso; il tagliere vicino al quale, con una inaspettata finezza di accostament0 (forse adesso esagero anche nel sogno…), si mostrano due fiorellini di campo giallo e bianco, conservati nel brick del latte, maldestramente coperto da un disegno colorato del pargolo piccolo; il fidanzato che estrae dal forno il mio piatto preferito in assoluto - la pasta al forno che sa fare così ricca e gustosa - e la mette a raffreddare, mentre pargolo grande mi allunga un bigliettino con su scritto che mi vuole tanto bene, anche se strillo sempre…

Queste sono le scemità sulle quali indugio, ogni anno. Ogni anno con la segreta speranza che queste scemità si realizzino…

E, invece, anche quest’anno, niente.

Ho atteso piuttosto sfiduciata fino a mezzogiorno circa, senza dire nulla, senza minimamente accennare all’evento, uscendo io stessa a comprami il Sole 24 Ore e a bere un misurato caffè al Barazzo sotto casa, mentre pargoli e fidanzato ronfavano beatamente alla faccia della mamma e della sua festa.

Finché, verso le 12.30, il fidanzato mi ha chiesto paciosamente se fosse la festa della mamma e allora… si è scatenato il Cracken.

Voglio, però, saltare a piè pari modalità ed esito del “confronto” con la famiglia ma, soffermarmi, piuttosto (È COSI’ CHE SI USA L’AVVERBIO PIUTTOSTO, NON PER GLI ELENCHI, IGNORANTI!), sulle domande che la frustrazione da festa-della-mamma-non-contemplata-nella-mia-famiglia mi spinge a pormi.

E cioè, perché i miei adorati pargoli non festeggiano la loro mamma, nemmeno una volta l’anno? Dove ho sbagliato? Chi sono questi mostri?

Ebbene, temo proprio che questi mostri siano i bambini che ho amorevolmente svezzato a latte di riso a € 2,50 litro e parmigiano reggiano 20 mesi biologico, munto esclusivamente dalle vacche rosse reggiane.

Sono quelli che si dilettavano (poco) coi giocattoli di legno proveniente da foreste a sviluppo sostenibile e (molto di più) con le piste per le macchinine Polistil riesumate dalla soffitta di casa della nonna.

Sono i bambini che riuscivo ad addormentare dopo 2 libri dei Barbapapà e l’immancabile “Un giorno a Tinga Tinga” e, più avanti, con molta fatica, con “Le avventure di Cipollino” di Rodari.

Sono pure quelli che ho accompagnato, per 5 anni consecutivi - prima l’uno e poi l’altro - ai corsi di fantanuoto ogni domenica mattina alle 9.00 (!), che hanno frequentato la scuola di circo, quella di basket e pallanuoto, hanno fatto un po’ di pugilato e atletica e, infine, considerata la elevata sensibilità e leggiadria: il pianoforte. Il tutto, ovviamente, accompagnati da me; con la pioggia, con il sole e con il vento, a piedi o in bicicletta, in preda a perenne trottolismo urbano.

Sono quelli che da piccolissimi vestivo quasi esclusivamente con magliette, pantaloni e cuffiette a righe colorate, con le stelle e gli arcobaleni, oppure in tinta unita (comunque sempre nel più rigoroso abbinamento cromatico), evitando come la peste abiti depersonalizzanti grigi o blu con i numeri, le scritte americane e i personaggi Disney.

Sono ancora quelli che ho condotto ad appassionanti mostre fotografiche e (pallosissimi, devo ammetterlo) laboratori familiari, ogni volta che ho potuto.

Sono, infine, quelli per i quali mi sono inventata impegnativissimi week end a tema in alcune deliziose cittadine europee…

Questi sono i miei figli.

E io sono la mamma che ogni anno NON festeggiano.

È dunque inevitabile che mi chieda dove sta la falla. E la risposta potrebbe sembrare fin troppo ovvia…

Già immagino la pletora di commenti sul troppo che stroppia; sul groviglio di attività e stimoli in cui sono avviluppati i nostri figli, che tolgono loro il piacere di trascorrere del tempo insieme a noi; sul sempre valido less is more, etc…

E che palle!

Non vorrete dirmi che per apprezzare il valore della famiglia e della loro rassegnata mammina, i miei figli dovrebbero vivere in una stamberga storta, mangiando tutti i giorni zuppa di cavolo, smunti e con i vestiti rattoppati, in attesa del Golden Ticket che cambierà la loro vita??

No, cara! Non vogliamo dire questo ma certamente va trovata una via di mezzo, che consenta ai nostri figli di approfittare delle opportunità che possiamo offrirgli, ma al tempo stesso li esorti anche ad adoperarsi nella cura di sè stessi e delle persone a cui tengono.

La via di mezzo, eh…?

Ebbene, la via di mezzo, come in effetti noto, intrinsecamente virtuosa, credo che passi inevitabilmente attraverso l’impegno.

Quell’impegno che alcuni bambini tendono a sfuggire come la peste, per carattere, per abitudine, per l’incapacità dei grandi (di tutti i grandi) di trasmettere loro il grande valore del perseguire un obiettivo, indipendentemente dal fatto che lo si raggiunga o meno.

Lo stesso impegno che molti genitori identificano, automaticamente, con la fatica e la stanchezza, sebbene i concetti non siano assolutamente sempre coincidenti.

Difatti, il vocabolario Treccani definisce impegno: “Cura attenta e diligente, impiego di tutta la propria buona volontà e delle proprie forze nel fare qualche cosa” e credo che questa definizione possa essere scissa e avvicinata ai bambini e agli adulti nel modo che segue.

I bambini possono imparare a curarsi di altro, oltre che delle loro esigenze, anche grazie all’esempio della buona volontà e della forza che gli adulti utilizzano nel fare qualche cosa, senza che questo comporti, necessariamente, privazioni e frustrazioni. E sempre che tutto sia calibrato secondo le peculiarità e le sensibilità di ciascuno.

Quindi, a ben ragionare su tutta la faccenda, la conclusione mi pare piuttosto evidente.

Se i figli non attribuiscono valore alla festa della mamma, è colpa del padre.

Caterina Burgisano