Una storia quella dei finanziamenti statali ai servizi d'infanzia 0-3 che affonda le radici lontano. Precisiamo le date. Era la fine degli anni '60 quando con tre firme
disgiunte, tre parlamentari ponevano l'attenzione sulla necessità di costruire nuovi nidi d'infanzia. In previsione 3800 nuove strutture in quindici anni.
I finanziamenti dovevano pervenire in parte dallo stato e in parte dalle imprese. Nel maggio del '70 la legge si arresta. Questo fermo non passa inosservato ai cittadini, ai movimenti femministi, ai sindacati, alle amministrazioni locali. Con grande partecipazione si alleano in protese e la legge riprende il suo cammino seppure con un finanziamento molto ridotto, dai 165 milioni di lire ipotizzati in 5 anni, si riducono a meno della metà, soli 70 milioni. Finito il cinquenio il governo stanzia nel '78 altri 20 miliardi, poi più nulla.
Nonostante l'assenza dello stato gli asili nido in Italia hanno continuato a crescere e se ne sono aperti quasi 2000.
Con che soldi?
Con soldi prelevati dalle tasche dei lavoratori, quindi una maggiorazione sui contributi Inps del settore privato dello 0,10% sul monte retributivo, e contributi derivanti da enti locali con qualche extra dalle regioni.
Dallo stato tutto tace.
Nonostante moltissimi studi di esperti, anche un premio Nobel, hanno stabilito come la frequentazione del nido d'infanzia accresca le capacità sociali, di studio, di collaborazione dell'individuo, nonostante più volte, sia stato messo in luce la corrispondenza tra diffusione di nidi e impiego femminile, nonostante tutto, lo stato è indifferente.
C'è stata però una svolta, una svolta durata un soffio con il governo Prodi. Nel 2006 si sono stanziati in un triennio, 466 milioni con altri 284 giunti dalle regioni. Oggi il contributo è finito e i nidi rimangono nudi.
Il governo non solo si è impegnato a tacere ma si è anche prodigato a sottrarre. Come definire i tagli sui bilanci comunali più cospicui in proporzione alle spese sui servizi a domanda individuale (quindi il nido)? I comuni così si trovano schiacciati dalle richieste dei cittadini di mantenere i servizi e da bilanci disastrosi dettati dai tagli dello stato.
E per quanto incredibile possa sembrare c'è di più.
Qualcuno forse ricorderà gli annunci apparsi alle Tv di circa due anni fa.
Si vedevano alcuni ministri che lanciavano l'idea di aumentare l'età pensionabile delle donne per rendere la vita di noi donne più facile, perché con un risparmio così ricavato, si sarebbero ricavati ben 400 miliardi da distribuire in servizi tendenti a conciliare il rapporto lavoro famiglia.
Tutti abbiamo pensato ai nidi e ai servizi di cura per gli anziani.
Bene. Ad oggi una nuova manovra ha dirottato i soldi verso un fondo strategico per il paese.
Un titolo vago, che non ci racconta molto.
Possiamo continuare a discutere sul fatto se sia meglio il servizio pubblico o quello privato, ma ci sono fatti più urgenti su cui intervenire:
Primo: chiedere di stanziare un fondo vincolato da trasferire alle regioni che nessun governo possa più toccare
Secondo: sostenere il sen Emma Bonino e altri parlamentari del centro sinistra che hanno chiesto un dettagliato programma pluriennale che precisi i servizi di conciliazione della vita lavorativa e famigliare delle donne entro il 30 giugno.
Adriana Lodi
disgiunte, tre parlamentari ponevano l'attenzione sulla necessità di costruire nuovi nidi d'infanzia. In previsione 3800 nuove strutture in quindici anni.
I finanziamenti dovevano pervenire in parte dallo stato e in parte dalle imprese. Nel maggio del '70 la legge si arresta. Questo fermo non passa inosservato ai cittadini, ai movimenti femministi, ai sindacati, alle amministrazioni locali. Con grande partecipazione si alleano in protese e la legge riprende il suo cammino seppure con un finanziamento molto ridotto, dai 165 milioni di lire ipotizzati in 5 anni, si riducono a meno della metà, soli 70 milioni. Finito il cinquenio il governo stanzia nel '78 altri 20 miliardi, poi più nulla.
Nonostante l'assenza dello stato gli asili nido in Italia hanno continuato a crescere e se ne sono aperti quasi 2000.
Con che soldi?
Con soldi prelevati dalle tasche dei lavoratori, quindi una maggiorazione sui contributi Inps del settore privato dello 0,10% sul monte retributivo, e contributi derivanti da enti locali con qualche extra dalle regioni.
Dallo stato tutto tace.
Nonostante moltissimi studi di esperti, anche un premio Nobel, hanno stabilito come la frequentazione del nido d'infanzia accresca le capacità sociali, di studio, di collaborazione dell'individuo, nonostante più volte, sia stato messo in luce la corrispondenza tra diffusione di nidi e impiego femminile, nonostante tutto, lo stato è indifferente.
C'è stata però una svolta, una svolta durata un soffio con il governo Prodi. Nel 2006 si sono stanziati in un triennio, 466 milioni con altri 284 giunti dalle regioni. Oggi il contributo è finito e i nidi rimangono nudi.
Il governo non solo si è impegnato a tacere ma si è anche prodigato a sottrarre. Come definire i tagli sui bilanci comunali più cospicui in proporzione alle spese sui servizi a domanda individuale (quindi il nido)? I comuni così si trovano schiacciati dalle richieste dei cittadini di mantenere i servizi e da bilanci disastrosi dettati dai tagli dello stato.
E per quanto incredibile possa sembrare c'è di più.
Qualcuno forse ricorderà gli annunci apparsi alle Tv di circa due anni fa.
Si vedevano alcuni ministri che lanciavano l'idea di aumentare l'età pensionabile delle donne per rendere la vita di noi donne più facile, perché con un risparmio così ricavato, si sarebbero ricavati ben 400 miliardi da distribuire in servizi tendenti a conciliare il rapporto lavoro famiglia.
Tutti abbiamo pensato ai nidi e ai servizi di cura per gli anziani.
Bene. Ad oggi una nuova manovra ha dirottato i soldi verso un fondo strategico per il paese.
Un titolo vago, che non ci racconta molto.
Possiamo continuare a discutere sul fatto se sia meglio il servizio pubblico o quello privato, ma ci sono fatti più urgenti su cui intervenire:
Primo: chiedere di stanziare un fondo vincolato da trasferire alle regioni che nessun governo possa più toccare
Secondo: sostenere il sen Emma Bonino e altri parlamentari del centro sinistra che hanno chiesto un dettagliato programma pluriennale che precisi i servizi di conciliazione della vita lavorativa e famigliare delle donne entro il 30 giugno.
Adriana Lodi