E' interessante il ruolo del governo e
dello Stato e di come evolve lo scenario. Oggi dopo 40 anni lo stato
scolastico non è un anno scolastico qualsiasi,
perché dalla legge 1044 del 1971 negli ultimi 40 anni il trend è stato, con varie tendenza, quello di un costante seppure lento incremento dell'offerta di qualità. Questo è il primo anno, dopo 40, dove l'obiettivo delle politiche pubbliche non è incrementare l'offerta o la qualità, ma è spendere quello che si è raggiunto. Secondo me il quarantesimo della 1044 segna uno spartiacque. Ci sono delle tendenze nazionali legate alle politiche statali che è importante mettere a fuoco per capire cosa può fare un comune. Dirò alcune cose sulla tendenza generale. Ci sono nello scenario complessivo dei dati che sono comuni e che sono condivisi con varie complessità dall'intero paese. Immaginiamoci nel 1971.La percentuale dei bambini sotto i tre anni che frequenta il nido sarà stata il due, tre %, c'è una prima fase di crescita iniziale che va fino agli anni 90 lenta, poi c'è nell'ultimo decennio una forte accelerazione della crescita nella presenza dei nidi. Per cui oggi tra i bambini iscritti alla prima infanzia, tra anticipi e sezione primavera, in Italia ci si attesta su un 23%. Per cui si è partiti con un 3% e si è arrivati ad un 23%. Tutto il discorso negli ultimi anni è stato: più nidi, più qualità... Adesso il discorso cambia e diventa: non diminuire l'offerta, non abbassare la qualità, e non aumentare le rette. Gli obbiettivi diventano da espansivi a difensivi. Questo è lo scenario attuale anche se un 23% è ben inferiore non solo all'obbiettivo del 33% di Lisbona e Barcellona, ma al fatto che tutti i sondaggi ci dicono che almeno 4 famiglie su 10 vorrebbero mandare i bambini agli asili.
perché dalla legge 1044 del 1971 negli ultimi 40 anni il trend è stato, con varie tendenza, quello di un costante seppure lento incremento dell'offerta di qualità. Questo è il primo anno, dopo 40, dove l'obiettivo delle politiche pubbliche non è incrementare l'offerta o la qualità, ma è spendere quello che si è raggiunto. Secondo me il quarantesimo della 1044 segna uno spartiacque. Ci sono delle tendenze nazionali legate alle politiche statali che è importante mettere a fuoco per capire cosa può fare un comune. Dirò alcune cose sulla tendenza generale. Ci sono nello scenario complessivo dei dati che sono comuni e che sono condivisi con varie complessità dall'intero paese. Immaginiamoci nel 1971.La percentuale dei bambini sotto i tre anni che frequenta il nido sarà stata il due, tre %, c'è una prima fase di crescita iniziale che va fino agli anni 90 lenta, poi c'è nell'ultimo decennio una forte accelerazione della crescita nella presenza dei nidi. Per cui oggi tra i bambini iscritti alla prima infanzia, tra anticipi e sezione primavera, in Italia ci si attesta su un 23%. Per cui si è partiti con un 3% e si è arrivati ad un 23%. Tutto il discorso negli ultimi anni è stato: più nidi, più qualità... Adesso il discorso cambia e diventa: non diminuire l'offerta, non abbassare la qualità, e non aumentare le rette. Gli obbiettivi diventano da espansivi a difensivi. Questo è lo scenario attuale anche se un 23% è ben inferiore non solo all'obbiettivo del 33% di Lisbona e Barcellona, ma al fatto che tutti i sondaggi ci dicono che almeno 4 famiglie su 10 vorrebbero mandare i bambini agli asili.
Perché è cambiata questa situazione?
Qui si vedono gli influssi delle scelte centrali e anche la storia
degli ultimi dieci anni. Gli influssi centrali sono che è questo
l'effetto dei trasferimenti agli enti locali e l'abolizione del piano
nidi, che è stato il primo tentativo del governo centrale di
dedicare una linea di finanziamento specifica per i servizi alla
prima infanzia. Da una parte c'è questo, dall'altra parte, paghiamo
adesso lo scorso decennio. Lo scorso decennio l'offerta dei nidi in
Italia è cresciuta del 60% e si creò come dire la schizzofrenia
tra la pressione a fare i nidi, e la scarsa legittimità politica che
questo settore trovava. Com'è che se ne è usciti? Facendoli.
Costruendo più nidi ma non costruendo dei sistemi di finanziamento
ordinari dei costi di gestione che permettesse di mantenerli nel
tempo. Questo è cruciale. Sono stati fatti un sacco di nidi ma non
ci sono state le condizioni per potere poi mantenerli a regime.
Questo è il vero punto. Questi sono i due problemi: la riduzione dei
fondi negli ultimi anni da parte dello Stato e l'eredità di una
crescita senza gambe del decennio precedente. Perché è importante
il ruolo dello Stato?
Oggi chi guarda al nido di domanda come
fa il comune a finanziare i nidi che se non ha più risorse? E allora
si diffonde anche l'idea che i nidi costino. Mentre la spesa pubblica
per i nidi è estremamente limitata, secondo i dati dell'Istat la
spesa è pari allo 0,15% del prodotto interno lordo che non è nulla
se consideriamo che la spesa del welfare è del 26,5% del prodotto
interno lordo. L'aspetto interessante è che si potrebbe incrementare
la quantità e la qualità dei nidi a dei costi bassissimi per la
collettività. Questo nel tempo creerebbe occupazione femminile,
benessere per i piccoli, ma anche nel breve periodo sarebbe
sostanziale perché non sono affatto politiche costose.
Il problema è che c'è un effetto
percettivo strano, perché quello che è poco costoso per il bilancio
pubblico complessivo, è estremamente costoso per il comune che è
sotto finanziato. E questo è un altro passaggio fondamentale. E'
sbagliato credere i nidi costano tanto, costano tanto rispetto alle
disponibilità e alle risorse del comune che sono molto limitate
rispetto alle possibilità della spesa pubblica. Quindi il numero
magico è 0,15% (dati istat) Perché è fondamentale il ruolo dello
Stato? Cosa è successo negli altri paesi della comunità europea
come Spagna, Germania, Francia?
Anche all'estero negli ultimi dieci
anni, è nata una pressione ad avere più servizi all'infanzia. Dato
che i nidi sono così importanti per lo sviluppo occupazionale,
cognitivo e relazionale in generale, e ancora più importante in
contesti originari dove i bambini ricevono meno stimoli, si sono
pensate politiche per sostenerlo. Mi sono appassionato dei nidi non
per la questione femminile, mi sono appassionato di nidi per il tema
delle uguaglianze di partenza e più escono studi che dimostrano
quanto ci si formi tra gli zero-tre più questa mia passione cresce.
La cosa interessante se nei paesi dove il tema famiglia-donna è
ancora bloccato come in Italia, la questione nidi è sempre messa
sotto questa voce. Negli altri paesi è tutta una questione di
sviluppo dei bambini e sulla disuguaglianza comportamentale. Negli
altri paesi è cresciuta la domanda più nidi e il sistema di
finanziamento dei comuni non pronto a rispondere in tutti i paesi
simili all'Italia, sono intervenute delle politiche nazionali. Se
fino a ieri i finanziamenti del comune erano costruiti in maniera
tale ci potevano essere dieci nidi, adesso la società chiede venti
nidi, ed essendoci tranquillamente la disponibilità finanziaria per
questo è una questione di articolazione del finanziamento per il
bene di governo. E' successo che sia Germania, Spagna ovunque, ad una
domanda crescente si riconosce legittimità sociale di questo tema,
il meglio di una politica si passa da una costatazione che i livelli
comunali non ha i finanziamenti ad un intervento degli investimenti
a livello statale e questo era il sedicesimo quello che era stato
chiamato il piano nidi del ministro Bindi che era molto poco
finanziato però era la prima volta che si riconosceva un problema
per i nidi e poi il piano nidi che è partito sottofinanziato ed è
stato chiuso...
Per concludere, oggi un osservatore
esterno come me e non particolarmente conoscitore della realtà
bolognese la sensazione è che da una parte i contesti locali non
possano fare molto, dall'altra parte i vincoli dovuti alle politiche
nazionali sono forti e ragionevolmente nei prossimi due, tre anni
saranno peggiori, tutti gli indicatori indicano il 2012-14 come in
triennio critico. Quindi da tener presente che il triennio nero,
quello critico è il prossimo quindi ancora di più nel prossimo anno
a parità di politiche si sconterà l'assenza di una politica
nazionale a sostegno dello sforzo locale.