Quando
Laura Branca mi ha chiesto di partecipare a questa tavola rotonda mi
sono domandato quale contributo potessi portare alla riflessione
attorno a
un caso (quello del comune di Bologna) di cui non conoscevo nulla.
un caso (quello del comune di Bologna) di cui non conoscevo nulla.
Ho
pensato a un paio di cose fatte negli ultimi anni, entrambe basate su
una documentazione statistica abbastanza ricca, che mi pare
potrebbero aiutare a contestualizzare il caso Bolognese e offrire
spunti per ulteriori riflessioni.
1)
La prima è un’analisi fatta su dati regionali con l’obiettivo di
capire se e come si possa parlare di costi standard nei nidi
d’infanzia. Il riferimento a questo lavoro mi consente di
inquadrare meglio Bologna nel contesto regionale.
2)
La seconda è un esercizio riguardante il confronto tra costi e
gradimento (espresso dai genitori) nei nidi a gestione diretta e nei
nidi convenzione nel comune di Modena (Modena, mi pare interessante,
perché è vicina ed più simile a Bologna, nella organizzazione del
servizio, di quanto non sia, ad esempio, Reggio Emilia che ha
“esternalizzato” in blocco creando l’istituzione Reggio
Children).
PRIMO
Della
prima racconto brevemente l’antefatto perché, a mio modo di
vedere, in un mondo in cui raramente i dati confermano un’ipotesi,
qui è rilevante l’esito in termini comparativi.
Obiettivi
del lavoro era riflettere sui costi standard dei nidi in vista della
dibattito sul federalismo. Dapprima abbiamo tentato di fare una
rilevazione autonoma (selezionando i controller di alcuni
comuni della regione di cui sapevamo che avevano un sistema di
contabilità analitica sufficientemente sviluppato, ma grande
difficoltà, data dallo stato generalmente non sufficientemente
articolata delle informazioni finanziarie); poi abbiamo provato a
ripiegare sulla banca dati regionale dell’Osservatorio per
l’infanzia e l’adolescenza, confidando sulla “generosità”
dei dati, quando si ha disposizione un numero elevati di osservazioni
(quasi un migliaio di nidi).
Analizzando
questi dati siamo arrivati a individuare alcune stime dei costi dei
nidi mettendoli in relazione alla quantità-qualità dei servizi
offerti (estensione del servizio; varietà della domanda; variabili
organizzative ecc.) Questo ci ha consentito di farci un’idea non
solo da cosa dipendono i costi dei nidi (quali variabili sono
rilevanti, oltre a quelle ovvie), ma anche di quanto dovrebbero
costare.
Dalle
analisi fatte emergevano due evidenze, per noi curiose:
- che, contrariamente alle aspettative, i nidi (a gestione diretta) nei capoluoghi di provincia risultano mediamente assai più costosi di quelli (a gestioni dirette) presenti negli altri comuni. Due possibili spiegazioni (al netto di tutte le altre catturate già dal modello di regressione: cioè dimensione, composizione per età ore e giorni di servizio, prolungamento, servizio estivo, handicap, numero di educatori in eccesso rispetto agli standard regionali, forma di gestione, esternalizzazioni ecc.): (i) i comuni capoluogo hanno un sistema più affidabile di analisi dei costi che dunque tiene anche conto dei costi ausiliari e generali; (ii) le organizzazioni sindacali nei comuni capoluogo (che hanno una tradizione più antica del servizio e un numero di dipendenti più grande) sono più forti ed hanno ottenuto migliori condizioni lavorative (che si riflettono in maggiori costi di gestione).
- che, dalle nostre regressioni i nidi della provincia di Bologna risultavano (indipendentemente dalla formulazione dei vari modelli di stima che abbiamo usato) sempre e significativamente più costosi degli altri.
Partecipando a questo incontro ho
pensato che fosse l’occasione per rimettere le mani su quelle
elaborazioni: l’idea era quella di verificare se - limitando
l’analisi ad un sottoinsieme più omogeneo (cioè i comuni
capoluogo)- continuasse a risaltare quella “anomalia” nel costo
di Bologna, cosa che è puntualmente risultata.
In
sintesi dal confronto emerge che:
il
costo medio annuale per iscritto nei nidi comunali a gestione
diretta:
è
circa 12.700 euro Bologna, contro una media degli altri 8
comuni capoluogo (dunque insieme più affine, per la ragioni dette
sopra) di circa 9.500; cioè il 34% in più;
differenza
che aumenta ulteriormente quando si consideri l’insieme dei nidi
con titolarità comunale (che comprendono anche a gestione indiretta,
che come sapete è meno costosa, principalmente per effetto del
diverso contratto di lavoro, di quella comunale diretta):
circa
12.500 a Bologna contro circa 9.000 negli altri 8 comuni
(40% in più). La differenze aumenta perché l’offerta di nidi di
cui è titolare il comune di Bologna risulta prevalentemente composta
dalla gestione diretta.
Questi
dati si riferiscono all’anno 2007/08; il controllo l’ho fatto
anche sui dati della rilevazione regionale dell’anno seguente e le
differenze sono dello stesso ordine di grandezza.
[È
interessante, per inciso notare che l’anomalia sub 2) della
provincia di Bologna, scompare quando considero i costi dei nidi al
netto d quelli dei comuni capoluogo.]
Preso
dal dubbio ho fatto un ulteriore controllo sui dati forniti dal
sistema del controllo di gestione del Comune di Bologna [Consuntivo
di contabilità analitica], dove ho visto che l’impianto dei conti
è assai simile a quello di Modena, che conosco meglio.
Costo
diretto nel 2007 (anno confrontabile con quello della rilevazione
regionale) di un posto nido a tempo pieno era di 12.558 (e un costo
unitario totale, compresi i costi indiretti) 13.226 [nel 2010 questi
due valori sono solo un poco più alti]
Quindi
un valore molto vicino a quello che risulta nel DB regionale.
Modena
nello stesso anno ha un costo diretto nei nidi a tempo pieno di
10.360 (un posto in un convenzionato costa 7.000; il 33% in meno).
Il
dato medio (costo medio per iscritto) può però nascondere molte
cose, alcune delle quali assolutamente legittime, nel senso che
richiedono effettivamente – a parità di utenti - maggiori risorse:
ad esempio, una quota maggiore di bambini lattanti (che sono più
costosi, perché richiedono un rapporto educatori bambini più
elevato). Per limitare questi effetti di disturbo ho quindi
utilizzato l’analisi di regressione che tiene conto di una serie
assai importante di fattori quali/quantitativi e ci dice se, a parità
di questi altri fattori, il maggior costo è o meno giustificato.
Ciononostante Bologna (e questo è il dato robusto) è l’unico
comune che mantiene una differenza significativa dalla media (un nido
cosa in media 100.000 euro in più all’anno, cioè circa il 20% in
più).
Direi
dunque che a questo punto non ho molti dubbi e credo si posso
affermare con ragionevole certezza che nel comune di Bologna il costo
del servizio nido è sensibilmente più elevato della media
regionale; e che la differenza è almeno dell’ordine di grandezza
del 20%, a parità di caratteristiche del servizio offerto.
Ho
quindi cercato di capire da che cosa potesse dipendere questo maggior
costo: confesso che l’analisi dovrebbe essere più approfondita di
quanto è possibile fare, ma si intravvedono diverse determinanti:
- il maggior rapporto educatori bambini (sia il quoziente puro sia quando considero il personale educativo standardizzato su 36 ore alla settimana, anche se in questo caso la differenza si riduce);
- un orario complessivo di apertura del servizio (orario giornaliero, non giorni di apertura) più lungo: si tratta del 22% in più di ore “normali” di apertura su base annuale;
- la quota particolarmente elevata di internalizzazione dei servizi: non solo, non risultano mai esternalizzati gli educatori e il coordinamento pedagogico – cosa che soprattutto nei comuni più piccoli accade- ma anche la mensa, le pulizie, la lavanderia e il prolungamento, non sono mai esternalizzati; Bo come Rimini e in buona misura Forlì-Cesena fanno sostanzialmente tutte queste cose in house; in tutti gli altri comuni c’è sempre almeno una di queste attività che è fatta fuori;
Quindi
diciamo che l’“assetto organizzativo” che riesco a vedere da
questi dati mostra un’amministrazione che ha fatto scelte (vedi
l’orario normale di servizio) che fanno un uso più intensivo di
personale e con ricorso quasi esclusivo a personale inquadrato nel
contratto degli enti locali, che, come è noto, è più costoso.
[Sempre
dal controllo di gestione (2007) si vede che l’incidenza dei costi
di personale sul complesso dei costi è di quasi l’87-8%; a Modena
è dell’80-81%. La differenza è di tutto rilievo tenuto conto che
il costo del personale costituisce appunto la quota prevalente dei
costi.]
Un
secondo aspetto che emerge dal data base regionale riguarda la retta
media annuale, che a Bologna è di circa 1.400 euro contro i
circa 1.800 euro della media degli altri comuni: circa 2/3
(stiamo parlando del gettito medio del 2007/08).
So
che la struttura delle rette è rimasta immutata da diversi anni (dal
2011/12 c’è stato un forte aumento – da 361 a 518 per la fascia
massima [prima con Isee >26.700 adesso Isee> 33.200] e
ridisegno delle stesse [circa stesso importo fino a Isee 17.000 e
dopo aumento]) e che, a differenza di altre realtà il prolungamento
alle 18:00 del servizio non era pagato (da quest’anno lo è
indirettamente, dal momento che la così detta retta a tempo pieno
standard, cioè fino alle 16:30 comporta una sconto del 10%).
Il
minor livello delle rette a Bologna, rispetto altri capoluoghi, è
confermato anche da altre fonti (Cittadinanzattiva; Uil).
In
conclusione: a Bologna (rispetto a quanto accaduto nelle altre città
della regione) sembrerebbe essere prevalsa una politica che ha
agevolato gli insider, a scapito degli outsider. Se il nido, come ci
è stato ricordato anche negli altri interventi, è uno strumento
importante per promuovere l’eguaglianza delle opportunità, e se le
risorse (anche a prescindere da questo momento di forte crisi
economica e di crisi della finanza locale) sono limitate (e quindi
c’è un vincolo di bilancio), la scelta di offrire servizi
particolarmente costosi e di fare pagare agli utenti diretti del
servizio una tariffa particolarmente poco costosa va a scapito della
possibile estensione del servizio a chi ne sta fuori.
SECONDO
Ho
più volte fatto riferimento alla gestione indiretta; sottolineando
anche il fatto che nel comune di Bologna, rispetto ad altri comuni, è
bassa la quota di posti comunali affidata alla (meno costosa)
gestione indiretta.
A
questo proposito, riprendo brevemente alcune conclusioni del lavoro
fatto con riferimento a Modena. Modena dal 2000 ha aumentato la sua
offerta di posti nei nidi a tempo pieno (questa è stata la scelta
principale, dopo alcuni tentativi di re-ingegnerizzazione)
esclusivamente ampliando l’offerta convenzionata (negli ultimi anni
è sensibilmente aumentata anche l’offerta di nidi aziendali di cui
una parte di posti è in convezione con il comune).
L’evidenza
da cui sono partito è che nella gestione indiretta un posto costa in
media 2/3 di un posto nella gestione diretta comunale e che, stando
alle opinioni dei genitori, il gradimento per i due servizi è
particolarmente elevato, con una differenza, tutto sommato modesta,
tra gestione diretta e gestione indiretta.
Come
dicevo il costo medio di un nido a tempo piene convenzionato è circa
2/3. Ho cercato di comprendere da cosa dipendesse questa differenza e
sono risalito alle seguenti spiegazioni: la differenza dipende in
parte (circa il 20-25%) dal mix dell’utenza (ci sono più bambini
piccoli nelle gestioni dirette); in parte (circa 7%) dalla mensa
(cucina interna contro pasti precotti); per circa il 20-30% dal
diverso rapporto tra personale (educativo e ausiliario) e bambini
(che è più basso, particolarmente il secondo nella gestione
indiretta); per circa il 45-50% dal diverso contratto di lavoro (più
ore e minor costo orario nel contratto delle Cooperative sociali).
Detto in altre parole, circa metà della ragione della maggior
convenienza della gestione convenzionata (rispetto alla gestione
diretta) dipende dal peggior contratto di lavoro in cui sono
inquadrati lavoratori che esercitano lo stesso mestiere (con la
stessa utilità sociale).
Il
secondo elemento è che il Comune conduce, circa ogni due anni,
un’indagine piuttosto ricca e articolata sulla soddisfazione dei
genitori dei nidi comunali: vengono intervistati 400 genitori metà
della gestione diretta e metà di quella convenzionata. I giudizi
sono molto buoni per entrambe: punteggio medio sintetico è 9,1
(scala da 1 a 10) per la diretta e 8,6 per l’altra. Su questi dati
ho potuto fare dei controlli statistici (per tenere conto che
l’utenza tende a differenziarsi nelle due gestioni: ad esempio più
stranieri nella diretta che mediamente danno un voto più alto degli
italiani al servizio ecc.). Il risultato è che la differenza, tutto
sommato modesta, nel punteggio medio si mantiene anche dopo i
controlli statistici e si capisce anche da che cosa dipende il
maggior punteggio della gestione diretta: dalla mensa, dagli spazi
fisici e dalle info ricevute, ma non dalla soddisfazione della
professionalità degli educatori (identica a 9,05) e non dalla
soddisfazione della parte educativa (identica a 9,10).
Dunque,
e a prescindere dai problemi di controllo che la gestione delle
esternalizzazioni può creare, soprattutto nei contesti con una
limitata esperienza nella gestione del servizio (ma non è certo il
caso di comuni come Modena o Bologna), ci troviamo di fronte ad una
interessante alternativa che probabilmente deve essere esplorata con
maggiore attenzione.
I
lavori citati sopra stanno in:
1)
Federalismo e costi standard. Il caso dei nidi d’infanzia in Emilia-Romagna, Ervet, settembre 2010
2)
Gruppo Nazionale Nidi d’Italia, La qualità dei servizi per l’infanzia nella società globale (Convegno nazionale, 27/28
ottobre 2008)