Torino, continua la battaglia per il pasto da casa. Intervista al legale delle famiglie


Portare a scuola un panino o un pasto preparato dai genitori e mangiarlo accanto ai compagni di classe nei locali della scuola: un'eventualità che sta facendo discutere in molte città d'Italia. Sono tanti, infatti, i genitori che, per protestare contro una mensa troppo costosa o scadente oppure per far fronte alla crisi economica, vorrebbero rinunciare al servizio di refezione scolastica senza però riportare i bambini a casa per pranzo e riportarli a scuola nel pomeriggio. A Torino la questione è finita in Tribunale e nei giorni scorsi il giudice civile ha rigettato il ricorso di un folto gruppo di genitori che chiedevano venisse loro riconosciuto il diritto di far pranzare i figli a scuola senza però usufruire del servizio mensa. I genitori sono intenzionati a proseguire la loro battaglia. Per cercare di capire meglio i contenuti di questa sentenza e le ragioni dei genitori abbiamo contattato l'avvocato Giorgio Vecchione, legale delle famiglie che vorrebbero vedersi riconosciuto il diritto di far  consumare ai propri figli, che frequentano le scuole elementari e medie della città, un pranzo domestico al posto del pasto offerto dal servizio di ristorazione scolastica.

Avvocato, quali erano le richieste formulate dai genitori?
La domanda principale che abbiamo posto al giudice era volta ad accertare il  diritto dei genitori, anche sulla base degli articoli 3 e 34  e 35 della Costituzione, di poter far consumare ai propri figli a scuola un pasto portato da casa, nell’ambito di quella  stessa libertà individuale che già consente loro di portare  e consumare la merenda per l'intervallo di metà mattina; abbiamo semplicemente chiesto che questo diritto fosse esteso anche per il pranzo. Se questo diritto fosse stato accertato il Ministero avrebbe dovuto far sì che il pasto da casa fosse consentito, mentre il Comune non avrebbe dovuto porre quegli ostacoli che oggi pone.
Perché il ricorso è stato respinto?
Aderendo ad un'eccezione del Comune, secondo cui l'Amministrazione non potrebbe essere obbligata a garantire un servizio alternativo e discrezionale, il tribunale ha ritenuto di non poter imporre all'amministrazione l'obbligo di organizzare questo servizio e di fatto ha negato il diritto invocato dai genitori di far consumare ai propri figli un pasto portato da casa. In realtà i genitori non hanno mai chiesto un servizio alternativo, ma hanno solo chiesto di potersi sottrarre da quello comunale senza essere obbligati a far uscire i figli da scuola per l’ora del pranzo.  A ben guardare, il servizio cui fa riferimento il Tribunale sarebbe semplicemente quello di provvedere alla pulizia dei locali in cui il pasto andrebbe consumato. Per il giudice non esiste l'obbligo di istituire un servizio di pulizia e dunque non esiste un diritto di portare un panino da casa.
Qual è a suo avviso il limite di questo ragionamento?
Il Tribunale, piuttosto che andare alla ricerca del fondamento, anche costituzionale, del diritto rivendicato, è andato alla ricerca di una norma che contenesse l’obbligo per l’Amministrazione di organizzare e di fornire un servizio diverso dalla mensa.  Di fatto il problema, il rapporto causa/effetto, è stato completamente ribaltato.  E’ dalla statuizione e dal riconoscimento del diritto, che, al limite, sarebbe potuto sorgere un onere dell’Amministrazione, peraltro tenuta a livello istituzionale, a garantire condizioni igieniche e di pulizia adeguate.
Il servizio mensa costituisce un servizio a domanda individuale. I genitori sono liberi di fruirne o meno. Nella sentenza viene ribadito che i genitori possono  far pranzare i figli a casa e riportarli a scuola prima dell'inizio delle lezioni.  I genitori però non sembrano accontentarsi di questa possibilità. Perché?
Non abbiamo mai messo in dubbio che il servizio mensa fosse un servizio a domanda individuale, non obbligatorio. Oggi, almeno in teoria, i genitori possono non richiedere il servizio mensa e portare i bambini a casa per il pranzo; dico in teoria perchè in molte scuole le Dirigenze scolastiche non lo consentono affatto.
Questa scelta, però comporta dei problemi per chi sceglie il tempo pieno. Nel tempo pieno, infatti, l'ora del pranzo è considerata orario scolastico a tutti gli effetti e dunque il non essere presenti a scuola durante il pasto costituisce un'ora di assenza.  Questo alla lunga incide sulle ore di presenza a scuola nel corso dell'anno scolastico. In pratica il genitore deve scegliere tra il far consumare al proprio figlio il pasto della mensa, farlo digiunare oppure farlo risultare assente ogni giorno per un'ora.  Ci sembra che questo sia un ricatto del sistema a tutti gli effetti.
Inoltre, non tutti i genitori possono prelevare i figli da scuola; la scelta del tempo pieno, molto spesso, è legata alle esigenze lavorative dei genitori che non hanno pause pranzo sufficientemente lunghe per prelevare i figli da scuola.  Riteniamo che anche le norme costituzionali sul diritto al lavoro siano tali da giustificare il diritto di scelta tra la mensa comunale ed il pasto casalingo.
Il panino al posto del pranzo è un tema che accomuna le richieste di molti comitati di genitori in diverse città italiane. Le amministrazioni in molti casi rispondono opponendo ragioni di carattere igienico-sanitario.  Cosa ha stabilito il giudice a riguardo?
Preciso in primo luogo che oggi, nel 2015, parlare solo di panino è riduttivo; oggi ci sono contenitori ermetici e termici che consentono la conservazione di cibi caldi anche per diverse ore.   Quanto alle esigenze igienico-sanitarie, non posso che confermare il fatto che esse rappresentano il paravento dietro al quale si nascondono le amministrazioni per proteggere il Servizio ed evitare defezioni.   L'amministrazione ha da sempre invocato norme igienico sanitarie, ma non è stata in grado di indicarne nemmeno una, tant’è che il giudice non ha neppure considerato la tematica, non meritevole di considerazione.  Ed infatti non esistono a livello nazionale norme che vietino di consumare all'interno delle scuole e dei refettori pasti portati da casa e pasti cucinati dal servizio di refezione scolastica. Sul punto avevamo anche l’avallo dell’ASL 1 di Torino.  Inoltre decine di regolamenti comunali consentono che gli alunni mangino un pasto portato da casa insieme ai compagni che usufruiscono del servizio mensa con una disciplina quasi “banale” e senza alcun onere aggiuntivo per la pubblica amministrazione.
Escluse le ragioni sanitarie, perché secondo lei le amministrazioni si oppongono al pasto portato da casa?
Credo che si tema la fuga dal servizio mensa, avvertita come eccessivamente onerosa e qualitativamente scadente.   Potendo scegliere di portare un pasto da casa molte famiglie potrebbero rinunciare al servizio e questo avrebbe delle ripercussioni economiche molto forti.  Concordo con il ragionamento proposto dal professor Carullo e reputo significativo che un docente universitario del suo calibro abbia sostanzialmente ribadito ciò che qui a Torino  i genitori sostengono da tempo.
La sentenza riconosce alle singole scuole la possibilità di far consumare ai bambini e ai ragazzi pasti preparati dai genitori.  Cosa ne pensa?
Gli istituti scolastici in virtù della propria autonomia possono organizzarsi perché ciò avvenga ma non possiamo aspettarci che i singoli dirigenti si interfaccino con la ditta appaltatrice del servizio di ristorazione, salvo buon senso.  Le aziende hanno come interlocutore il Comune non i dirigenti scolastici ed è da escludere che l’Amministrazione dia, sua sponte, agli appaltatori disposizioni tali da rendere possibile la scelta.  La possibilità di scelta dev’essere, per il futuro, riconosciuta attraverso la previsione stessa nei bandi e nei contratti d'appalto.  Non sarà certo questo diritto a far fuggire le ditte e farci assistere a gare d’appalto deserte.
Ricorrerete in Appello?
Sì, i genitori stanno già organizzando la consueta raccolta fondi e conferiranno a breve il loro mandato; l’atto di appello è già in corso di stesura.


La foto è tratta dalla pagina facebook del gruppo CaroMensa Torino