I
presunti maltrattamenti ai danni dei bambini di cui è accusata una maestra di
Pavullo nel Frignano così come quelli che hanno portato all’arresto
di una maestra e all’iscrizione nel registro degli indagati di due sue colleghe
a Pisa sono diventati rapidamente dei casi mediatici.
Cosa può spingere una
maestra di scuola dell’infanzia o un’educatrice di nido ad assumere
comportamenti violenti come quelli attribuiti dalla magistratura alle
indagate? Come è possibile che i bambini
di un nido o di una scuola materna siano oggetto di vessazioni senza che
nessuno all’interno della struttura se ne accorga o li segnali? Le
telecamere possono essere una soluzione? In tanti ci siamo posti queste
domande, la cui risposta non è certo semplice. Dopo aver letto le sue
riflessioni sulla rivista specializzata Orizzonte
Scuola ho posto queste domande a Vittorio Lodolo D’Oria
medico esperto in stress lavoro correlato degli insegnanti.
Il medico punta il dito
contro la gogna mediatica a cui sono state sottoposte le insegnanti e le
educatrici indagate, esprime dubbi sull’uso delle telecamere nascoste e
sostiene che fatti come quelli balzati agli onori della cronaca possano essere
riconducibili allo stress lavorativo e alla mancata applicazione del decreto 81
del 2008 ed in particolare della norma sulla
tutela della salute dei lavoratori dallo stress
lavoro correlato. Autore di studi sul burnout degli insegnati, Lodolo D’Oria
per 21 anni, dal 1992 al 2013, ha fatto parte del Collegio Medico
della ASL di Milano per il riconoscimento dell’inabilità al lavoro per causa di
salute.
Di
fronte ad episodi di cronaca come quelli di Pisa e Pavullo nel modenese viene
spontaneo chiedersi come è possibile che una maestra o un’educatrice di nido
possano perpetrare comportamenti violenti nei confronti dei bambini senza che
nessuno all’interno della scuola o tra gli addetti ai lavori se ne accorga o
intervenga. Che risposta si può dare a questa domanda?
Questa è una domanda su
cui si possono fare mille congetture. Partirei da un’altra domanda: perché nessun
magistrato indaga sulla mancata applicazione della norma che impone il
monitoraggio e la prevenzione dello stress lavoro-correlato degli insegnanti?
Nei
suoi numerosi commenti ai fatti di cronaca lei ipotizza una correlazione tra i
comportamenti attribuiti alle insegnanti e alle educatrici e stress
psicofisico. Perché?
Ho visto i trailer e i
filmati pubblicati da molti giornali e non mi pare riflettano la pesantezza
delle accuse descritte negli articoli e ipotizzate dai magistrati. Si vede
qualche spintone, qualche scappellotto…c’è sicuramente un abuso di mezzi
educativi…ma non mi pare emerga la violenza sistematica di cui si parla. Credo
che ci si debba interrogare sul fatto che le insegnanti e le educatrici
coinvolte hanno, nella maggior parte dei casi, superato i 50 anni e una lunga
esperienza di servizio. Per le donne si
tratta di un’età delicata in cui aumenta il rischio di stress e quello di
depressione che possono portare anche ad atteggiamenti come quelli che si
vedono nelle immagini registrate dagli inquirenti. Penso che episodi come
quelli di Pisa e Pavullo siano destinati ad aumentare.
Da
cosa nasce questa convinzione?
Dal 1992, quando sono
state abolite le baby pensioni, ad oggi i tempi di lavoro sono stati allungati.
Le insegnanti, ad esempio, dovranno aspettare i 67 anni prima di poter andare
in pensione. L’età pensionabile è stata spostata in avanti senza valutazioni
specifiche sui rischi per la salute dell’intera categoria professionale. Con
l’aumentare dell’età aumentano anche i rischi di stress psicofisico: ecco
perché credo che ci troveremo di fronte a un numero crescente di episodi di
questo tipo. Occorre un’azione di prevenzione. L’articolo 28 del decreto 81 del2008, il Testo Unico sulla salute e sicurezza sul lavoro, impone anche la
valutazione dei rischi di stress lavoro-correlato. Credo occorra la conoscenza
di questi rischi, il monitoraggio e un’accurata informazione sulle malattie
psichiatriche che rappresentano l’80% delle cause per le quali gli insegnanti
si presentano davanti alle commissioni mediche.
Dottore,
facciamo un passo indietro. E’ possibile distinguere un comportamento violento
attribuito allo stress da uno legato a, chiamiamola così, un’indole cattiva o
ad altre patologie di tipo psichiatrico?
Se una persona è psicotica
e si accanisce sui più deboli lo fa sempre e non inizia dopo i 50 anni o dopo
tanti anni di lavoro. Le principali forme di psicosi si manifestano entro i 25
anni. Se un insegnante ha una patologia di questo tipo o un’indole cattiva
assume determinati comportamenti fin dall’inizio della sua carriera ed è
impensabile che passi inosservato per tanti anni. Lo stress, invece, si
manifesta nel tempo e può capitare che una maestra inizi a dare degli scappellotti
ai bambini o ad urlare in classe. Non sto giustificando questi comportamenti,
sto, invece dicendo, che una corretta applicazione delle norme in materia di
prevenzione potrebbe ridurre il rischio di fatti incresciosi.
Siamo
tornati al decreto 81 e all’art.28 sulla prevenzione dei rischi, compresi quelli
collegati allo stress. Perché considera così centrale questa questione?
I dirigenti scolastici
non fanno prevenzione perché la prevenzione costa e non è mai stata finanziata.
Trovo delinquenziale che le istituzioni non abbiano finanziato il decreto 81:
siamo di fronte ad una legge buona che non viene applicata per mancanza di
risorse con il risultato che gli insegnanti sono sempre più vittime di
patologie collegate ad uno stress psicofisico che nasce e ha ricadute sul
lavoro. Ho fatto parte dal 1992 al 2013 della Commissione medica per
l’inabilità al lavoro di Milano e ho calcolato che l’80% delle patologie per
cui i docenti si presentano alla commissione sono di natura psichiatrica. Dovremmo
smetterla con gli stereotipi in base al quale gli insegnanti sono dei privilegiati
che lavorano mezza giornata e hanno tre mesi di ferie all’anno e iniziare a
studiare e monitorare le malattie professionali a cui vanno incontro.
Nei
suoi articoli pubblicati su Orizzonte
Scuola lei ha usato parole molto dure nei confronti dell’uso delle immagini
videoregistrate a fini investigativi. Perché?
Credo si sia fatto un uso
selvaggio delle immagini registrate a fini investigativi e credo ci siano molti
elementi su cui riflettere a partire dalla loro consegna ai mezzi di informazione
prima ancora che ci sia un rinvio a giudizio. Al di là di questa abitudine,
penso che si formulino accuse su estrapolazioni, o come le ho chiamate trailer,
presi da ore e ore di videoregistrazioni. A Pisa, ad esempio, le riprese sono
durate due mesi. Mi chiedo se davanti ad un impianto accusatorio che ipotizza
un comportamento criminoso abituale fosse necessario un periodo così lungo di
registrazioni durante il quale i piccoli sarebbero stati lasciati in balia dei
comportamenti vessatori dell’educatrice. Una durata limitata e prefissata del
periodo di videoregistrazione, inoltre, potrebbe aiutare anche a capire la
natura dei comportamenti violenti attribuiti alle persone indagate.
Sta
dicendo che le registrazioni possono distorcere la realtà?
Quelli che ci vengono
mostrati sono dei trailer: come nei film, mostrano le immagini più
significative ma non garantiscono che quello mostrato sia effettivamente il
contenuto dell’intera pellicola. Le videoregistrazioni, considerate dirimenti
nelle indagini, rischiano di distorcere la realtà: un numero limitato di immagini
compromettenti, dove ad esempio, la maestra urla o strattona i bambini,
potrebbero essere scambiati per un comportamento abituale. Ripeto quello che ho
scritto: se venissero poste delle telecamere in casa di ciascuno di noi e
venissimo registrati per due mesi probabilmente ci sarebbero delle immagini
“compromettenti”. Mi chiedo inoltre se i
magistrati abbiano visionato le registrazioni per intero o solo delle parti
estrapolate per loro da qualcun altro, una differenza non da poco per capire
come vengono formulate le accuse. Aggiungo che le immagini riprese in scuole o
strutture educative dovrebbero essere visionate da personale esperto in
educazione perché c’è il rischio che queste possano essere fraintese specie ad
esempio quando ci si trova di fonte a presunti episodi di violenza che
coinvolgono insegnanti di sostegno e disabili con gravi patologie psichiche.
Fatti
come quelli di Pavullo e Pisa ottengono sempre grande attenzione da parte dei
media. Lei ha parlato di linciaggio mediatico nei confronti delle insegnanti
coinvolte. . .
La gogna mediatica è una barbarie da Paese incivile e coinvolge ingiustamente tutta la famiglia della persona inquisita, penso ad esempio ai figli: una vendetta alla stregua della legge del taglione. Inoltre, evidenziando solo i fatti negativi, si corre il rischio di colpevolizzare l'intera categoria. Mi piacerebbe sapere quante sono le indagini finite in nulla, saperlo permetterebbe di conoscere le reali dimensioni del problema.
Di
fronte ad ogni nuovo episodio di presunti maltrattamenti sui bambini si riaccende
il dibattito sulla introduzione di sistemi di videosorveglianza nelle scuole.
Cosa ne pensa?
Non sono contrario a rendere le scuole aree
videosorvegliate. Di fronte ai dubbi che nutro nei confronti dell’uso delle
immagini da parte della magistratura l’uso di telecamere con la dicitura “area
videosorvegliata” potrebbe essere uno strumento di tutela degli insegnanti.