Sabato 11 marzo. Montecatini. Vi
racconto una giornata emotivamente devastante.
Decimo campionato italiano di
karate (federazione FIK), 1500 atleti iscritti. Assieme ad altri genitori ed al
nostro maestro Emanuele Nicolosi abbiamo accompagnato i nostri piccoli grandi “campioni”
del team Karate Sport Center di Montesilvano: in tutto sono 10 atleti tra i 12
e 6 anni, alcuni molto talentuosi e già esperti. I miei bambini, Giovanni e
Francesco, sono alla prima esperienza, per puro spirito sportivo, senza
pretese, ma determinati e felici di essere lì.
Il livello della gara è davvero
alto e mentre vivo serenamente la partecipazione alla gara di Francesco, per
Giovanni cominciano le paranoie e i dubbi. Eh sì, perché Giovanni ha la
sindrome di down! E lì è l’UNICO con la sindrome di down! Lui ha fortemente
desiderato essere qui e fare il suo kata. Noi genitori l’abbiamo sempre
assecondato e appoggiato nei suoi desideri, progetti ed inclinazioni, ma IO ora
mi sento davvero male! È giusto esporlo così tanto, seppur assecondando
pienamente ed esclusivamente le sue richieste? O è meglio proteggerlo,
limitandolo nei suoi sogni ed aspirazioni legittime? Con lui è sempre tutto
amplificato: il cromosoma che gli fa serenamente compagnia dalla nascita non lo
fa passare e non ti fa passare inosservato, nel bene e nel male! Mentre il papà
è più sereno e convinto, io chiedo al maestro se è davvero il caso di farlo
gareggiare! Anche lì vengo per l’ennesima volta spiazzata con un tranquillo
“Dov’è il problema? Giovanni tu la vuoi fare la gara?” Il SI di Giovanni è la
risposta definitiva.
Bene! Chiamano gli atleti e
Giovanni ed il maestro entrano sul tatami assieme agli altri. Gli è stato
concesso di gareggiare tra i primi e di far rimanere il maestro a bordo tatami.
Lo chiamano… sale sul tatami, sorridente fa il saluto e presenta il suo Kata, sempre
sorridente e felice. Inizia, esegue e conclude sempre col sorriso. Aspetta il
suo punteggio e torna al posto! Già a metà esercizio, il pubblico che si è
accorto della caratteristica dell’atleta, applaude! A fine esercizio viene giù
il palazzetto! Il direttore di gara lo fa tornare sul tatami e lo porta in
trionfo! Io finalmente torno a respirare. Giovanni e il maestro si rannicchiano
in un abbraccio tenerissimo e lasciano il tatami tra gli applausi… “Mamma, ho
vinto???”- “No, Giovanni…anzi sì: hai vinto tu!”
Perché questo racconto? Perché si
sposa bene con il tema della giornata Mondiale Sindrome di Down di quest’anno: “Not Special Needs, Just Uman Needs”.
I bisogni delle persone con la
sindrome di down non sono bisogni speciali, ma sono solo ed esclusivamente
bisogni umani! Solo riconoscendo questo semplice dato di fatto saremo in grado
di avere una vera e propria inclusione. Da genitore, assieme a mio marito, ho
sempre cercato di non imporre la disabilità di mio figlio agli altri. Allo
stesso tempo, però, mi sono battuta affinché lui si potesse sempre esprimere al
meglio secondo le sue possibilità, inclinazioni e desideri. Ho sempre detestato
il fatto che i suoi diritti venissero “concessi come un favore”… ho sempre
detestato chi ipocritamente lo definiva speciale ma lo trattava con pietismo,
sufficienza, come un “caso umano”… perché, anche se spesso faccio finta di
niente, le parole e gli atteggiamenti feriscono!
Praticare il karate è uno dei
desideri di Giovanni. Fare questa gara non era scontato, ma lui lo sognava.
Credo fosse la prima volta che un atleta con sindrome di down partecipasse a questo tipo di
gara. Giovanni è stato fortunato a trovare il maestro Emanuele. In varie
occasioni questo maestro, con semplicità, determinazione, pazienza, sacrificio
ma anche con allegria, leggerezza e professionalità ha dimostrato che lo sport è un ottimo strumento di
inclusione. E ha dimostrato, a differenza dei tanti “teorici della
disabilità” che ho incontrato, che
l’inclusione non si predica ma si fa! Giovanni è inserito in una squadra
vera, con atleti che ottengono ottimi risultati (a Montecatini su 10 atleti
abbiamo avuto ben 3 ori con Manuel, Erika e Christian, 1 argento e 1 bronzo).
Una squadra in cui si collabora e ci si aiuta… Una squadra dove ci si vuole
bene così come si è, senza troppi pensieri e definizioni!
Ho imparato che lo sport arriva a
volte dove la scuola, troppo legata ad obiettivi di apprendimento di nozioni,
spesso fallisce clamorosamente, purtroppo!
Ho imparato che la ricerca della
perfezione è un esercizio vuoto, la ricerca della felicità fa spiccare il volo,
aprendo prospettive e visioni nuove e diverse!
Spero che la gara di Giovanni
abbia lasciato un segno indelebile in ognuna di quelle persone che hanno pianto
e lo hanno guardato con tenerezza, incredulità, ammirazione e stupore! Spero
che un giorno sia normale trovare altri ragazzini con sindrome di down in una gara così
importante e che sia diventato “normale” essere diversi ma avere sogni ed
aspirazioni uguali!
Da genitore spero di essere pronta
ad assecondare sempre i sogni dei miei figli: entrambi hanno il diritto di fare
il loro volo in totale autonomia e libertà
Flora Campolo
Pubblichiamo oggi la lettera di Flora, una lettera in cui con tanta concretezza prende corpo il Not special needs, just human needs, scelto quest'anno come tema della Giornata Mondiale sulla sindrome di down che si celebra il 21 marzo. "Non abbiamo bisogno di armature o di uova di dinosauro, quelli sarebbero bisogni speciali, ma di istruzione, lavoro, opportunità e amici. I nostri bisogni sono quelli di tutti gli altri" ci dicono dal video i protagonisti della campagna di comunicazione internazionale. Uno spot condito da una generosa dose di ironia che vede tra i suoi protagonisti Lauren Potter, la Becky Jackson di Glee.
La foto di apertura è stata gentilmente concessa da Flora Campolo a cui appartiene.