Professione: Educatrice (per 43 lunghissimi anni...)

 



Partecipare per crescere
Collocata a riposo, pensionata, mi definiscono così, come se il palpito delle esperienze vissute potesse spegnersi con un click, con una definizione, con un passaggio dalla vita produttiva a quella tutta da ridefinire. 
 
Ma non funziona cosi! 
 
Professione educatrice per quarantatré lunghissimi anni, significa aver acquisito nel proprio DNA un panorama infinito di storie di vita, traiettorie molteplici e diversificate.
Tanti percorsi significativi, fili intrecciati a tessere una tela gigantesca, è come aver dipinto un quadro dalle infinite possibilità cromatiche, o aver composto una sonata, su uno spartito di crome e semicrome, di piani, forti, pianissimi… o appena sussurrati. 
 
I miei ricordi non sono altro che vissuti pieni di emozioni vere, scaturite dagli incontri di pelle e sguardi, di gioia ma anche di lacrime, di fiducia costruita nel tempo, tra prove ed errori. Secondi, minuti, ore, di ascolto attivo, partecipato dove l'umano essere è sempre stato al centro del nostro interesse pedagogico ed emozionale. Il mio desiderio di narrare non è nostalgico, al contrario vorrei restituire nuova energia e lettura a quegli anni di grande fermento, dove le nostre energie erano immense.   
 
Sentivamo come donne e come professioniste dell'educazione che si stavano formando, la responsabilità, ma anche la sfida nel voler essere protagoniste di questo importante viaggio: costruire una comunità educativa che promuovesse ben-essere, attraverso la partecipazione di tutti gli attori che a vario titolo frequentavano il nido. 
 
Si parlava tanto, il confronto era linfa mattutina, un'urgenza che si attivava come un buon caffè assaporato a piccoli sorsi. Tante le criticità incontrate, stavamo lentamente ri-scrivendo le pagine e lo  sguardo,  su un'infanzia spesso ignorata nei suoi bisogni più veri. Scavando nei ricordi, quello che emerge, sempre, sono i volti delle persone, dei bambini e le relazioni che riuscimmo a costruire e l'identità pedagogica, che passo dopo passo ne conseguì. Identità che fece fiorire il "senso di appartenenza", come un vestito sartoriale, tagliato e cucito sulla tua figura.
Appena lo indossi, ti calza a pennello, ti senti nei panni giusti, con una sensazione confortevole. Stare e sostare nel nostro nido, nel corso degli anni, diventò sempre di più, un buon ristoro, per tutti quelli che lo avevano abitato. Evidentemente gli ingredienti messi in campo, sono stati importanti e trasformativi: fare cultura attraverso i nutrimenti dell'anima. 
 
La musica, la poesia, la danza, i concerti dal vivo, la solidarietà, entrarono a pieno titolo nelle nostre progettazioni educative. Linguaggi espressivi di cui ci siamo nutriti per lunghissimo tempo, tanta bellezza condivisa, creò legami importanti e duraturi. Per questo una comunità educativa, affinché sia vissuta bene, devi farla crescere, fiorire, ha bisogno di cure quotidiane, di rispetto, riconoscimento, confronto, apertura. Un luogo educativo è come un'agorà, una piazza delimitata da mura, ma forse dovremmo immaginarla come se non ne avesse, per allenarci costantemente ad un pensiero divergente, capace di tenere sempre la porta aperta, in un continuo flusso comunicativo tra il dentro ed il fuori. 
 
Se dovessi salvare qualcosa di quei tempi è proprio quel desiderio di coinvolgere, di vivere il territorio, la partecipazione dei genitori era molto vivida e presente. Questo manca molto, nel tempo, nonostante l'attenzione e la tanta letteratura su l'infanzia ed i suoi bisogni, si è andati verso una verticalizzazione dei servizi, si è perduto strada facendo il rapporto importantissimo con il territorio, la burocrazia ha reso più tortuosa ogni iniziativa che preveda, per l'appunto, una scuola più aperta e connessa con il quartiere. 
 
Ognuno è più confinato nella sua struttura di riferimento, con pochi scambi significativi progettati e condivisi. Sicuramente la pandemia di questo ultimo anno ha ulteriormente complicato ogni possibile contatto, anzi, ha amplificato se così si può dire, criticità già esistenti. Il mio auspicio è che si possa tornare a confrontarci nelle sedi opportune, dal vivo, cercando di riprendere questa importante narrazione interrotta.Per poter andare avanti è fondamentale conoscere da dove siamo partiti, cosa abbiamo perduto di significativo e cosa possiamo rivedere, ricontrattare. 
 
Questa nostra meravigliosa professione è in continuo divenire e anche per chi è in pensione come me, ha stampato sulla propria pelle il marchio riconoscibile di una passione e di un interesse che non finirà mai. Un fuoco che mantiene la sua fiammella, magari più flebile, ma sempre costante, pronta a riaccendersi quando le emozioni vengono riattivate da quei ricordi ancora così presenti, che hanno seminato e fiorito in termini di solidarietà e cambiamento. 
Non perdiamoci di vista! 
 
Anna Maria Mossi Giordano