Baby gang e il decreto Caivano

Lavorare riposa


Lavorare riposa... 

16 settembre 2023: è entrato in vigore il decreto-legge recante "Misure urgenti di contrasto al disagio, alla povertà educativa e alla criminalità minorile. che andrà convertito in legge (con eventuali modifiche) entro il 15 novembre 2023.

Si tratta di un atto normativo scaturito in tutta fretta dai gravi fatti di cronaca di questa estate e che mira ad aumentare l’entità sanzionatoria dei reati commessi da minori.

In questa sede ci limiteremo a commentare brevemente una norma che, proprio per la sua natura (decretazione d’urgenza), è destinata ad essere modificata e, se non modificata, a restare lettera morta.

Innanzitutto, una prima osservazione.

La norma risponde, come spesso accade, ad una esigenza di “giustizia” prevalentemente reattiva.

Non si è certamente avuto il tempo di coinvolgere persone competenti e specializzate che potrebbero, invece, contribuire fattivamente a disegnare una cornice normativa di riferimento per fatti di tale gravità e delicatezza come operatori sociali, insegnanti, educatori.

E questo è un primo, evidentissimo limite di un decreto che sembra voler dare soltanto un segnale di intervento a costo, pressochè, zero.

Per contrastare il fenomeno della violenza giovanile, anche con riferimento al fenomeno delle ccdd. “baby gang”, è stata modificata, ad esempio, la disciplina della misura di prevenzione personale dell’avviso orale.

È stata introdotta, cioè, una figura di ammonimento analogo a quello previsto in materia di cyber-bullismo al fine di intercettare alcune condotte illecite realizzate fisicamente da minorenni nei confronti di altri minori, con particolare riguardo alle fattispecie di percosse, lesioni, violenza privata e danneggiamento.

Nello specifico, il Questore procede con una ammonizione nei confronti dei minori di età compresa tra i 12 e i 14 anni che commettono delitti per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a 5 anni (rissa, violenza, minaccia, percosse ai danni di minorenni anche senza denuncia o querela da parte delle vittime).

Mi chiedo, tuttavia, come si possa essere così ingenui da ritenere che un minore possa elidere l’intenzione di delinquere col timore di essere convocato dal Questore o se davvero una famiglia possa impedire la dispersione scolastica dei propri figli perché, in tal caso, sono previsti due anni di carcere.

Mi piacerebbe che l’ipocrisia che generalmente ammanta questo tipo di provvedimenti, una volta tanto, lasci il posto ad un po’ di sano buon senso attraverso il quale, invece, si decida di rimboccarsi finalmente le maniche per affrontare con determinazione e competenza un fenomeno ormai dilagante, non soltanto al sud e assolutamente non risolvibile con i soli presidi territoriali (pur necessari) da parte delle Forze dell’ordine.

Ed è qui un altro elemento di forte criticità del decreto che prevede, inoltre, misure di sostegno economico sotto forma di fondi destinati al potenziamento dei docenti nelle scuole del Sud, con previsione di un punteggio aggiuntivo in graduatoria per favorire la permanenza nello stesso istituto scolastico.

Come se il problema del disagio giovanile non costituisse ormai un tema quotidiano su cui si confrontano famiglie, insegnanti ed operatori sociali ed educatori in qualsiasi parte d’Italia!

Ebbene, il problema dilagante delle ccdd baby gang, a parer mio, necessità di ben altra tipologia di intervento che passa, innanzitutto, per un massiccio investimento sul sociale.

Sempre più spesso, infatti, si assiste a convegni, incontri, meeting e approfondimenti sul tema che coinvolgono esclusivamente le forze dell’ordine, magistrati, giornalisti e qualche politico (suo malgrado) interessato per via della delega conferitagli sul tema.

Quello che manca è il coinvolgimento dei professionisti del settore: insegnanti, educatori e operatori sociali che, però - e qui sta il problema! - potrebbero soltanto ripetere come un mantra ciò di cui c’è effettivamente bisogno e che nessuno ha il coraggio di fare: il miglioramento delle condizioni (non soltanto) economiche e sociali che permettono ai giovani di crescere e formarsi come persone.

Il che, ovviamente, passa dalla scuola e dalla capacità di coinvolgimento degli allievi, il più a lungo possibile; anche in orario extrascolastico, anche in estate, per evitare la piaga della dispersione scolastica.

Ma passa anche attraverso la possibilità di accedere ad attività culturali e formative presso centri di aggregazione e di riferimento di quartiere.

Passa, inoltre, dall’incontro tra i giovani e personale esperto, che sia capace di intercettarne le criticità e le esigenze più diffuse, di concerto con le associazioni culturali, le scuole e i servizi sociali.

Sto parlando della figura degli educatori di strada che, lungi dall’essere la panacea di tutti i mali, possono fornire un supporto determinante sul tema con una continua azione di mediazione e facilitazione.

In più parti d’Italia (compresa Bologna) si sta sperimentando l’utilizzo su strada di questa figura professionale, talvolta con buoni risultati.

Eppure, nel nuovo decreto non vi è traccia di un investimento in questo senso, esattamente come, ancora una volta, non vi è traccia di un ragionamento a lungo a termine che tenga conto di tutte le componenti di un fenomeno drammaticamente diffuso qual è quello della violenza giovanile, ovunque si verifichi e da chiunque venga agìta, anche da parte di ragazzi il cui contesto sociale non è necessariamente degradato, brutale e illegale.

Anche stavolta, dunque, possiamo parlare dell’ennesima occasione persa, senza paura di essere smentiti.

Difatti, mentre nei palazzi si scrivono norme finalizzate esclusivamente a consolidare consensi elettorali, chi ha a che fare con le realtà continua a lavorare alacremente sul territorio, annaspando tra la mancanza di fondi e le sempre crescenti difficoltà derivanti dal progressivo impoverimento economico e culturale di questo stanco e vecchio paese.


Caterina Burgisano*

*Avvocatessa quando si riposa, madre per il resto del tempo