Ossiuri, la rivolta di genitori e peluche



Tutto è iniziato il 29 gennaio quando i genitori dei bambini delle Arcoguidi, scuola dell'infanzia (credo valga la pena dirlo subito) frequentata da una delle mie figlie, hanno saputo, attraverso una comunicazione della pediatria di comunità, che tra i bambini era stato riscontrato un caso di ossiuriasi. Gli ossiuri, che si diffondono molto facilmente,  sono dei vermicelli bianchi che vivono nell'intestino umano. Il contagio avviene quando i bambini ingeriscono  le uova del verme, uova che in seguito vengono deposte dalla femmina a livello dell'orifizio anale. 
Nella lettera inviata ai genitori, oltre alle informazioni relative alle modalità di trasmissione dei vermi venivano indicati anche gli accorgimenti per evitare il contagio, come il lavaggio frequente delle mani, e le misure da adottare in caso di infestazione. Nelle settimane successive, mentre i bimbi si lavavano diligentemente le mani prima di entrare in classe, tanti genitori si sono rivolti alle strutture pubbliche e private per effettuare lo “scotch test”, l'esame in grado di rivelare la presenza, non sempre visibile ad occhio nudo, del parassita.  In caso di risultato positivo il passo successivo è consistito nel rivolgersi al pediatra per la prescrizione del farmaco. Bambini e familiari, una volta  assunto il farmaco si sono dovuti attenere per due settimane ad una serie di regole, tra cui il lavaggio quotidiano ad almeno 60 gradi di biancheria intima, pigiami e lenzuola. Ai pediatri spettava, invece, il compito di segnalare all'ausl ogni nuovo contagio.
Gli ossiuri, presenti anche in altre scuole materne e nidi  del quartiere Saragozza, sono diventati rapidamente uno degli argomenti più gettonati tra i genitori, tanto fuori dalla scuola quanto nelle mailing list.
La svolta si è avuta nei giorni scorsi dopo che ai genitori è stata consegnata una seconda circolare. Questa volta, oltre alle indicazioni già fornite, tra le misure di prevenzione compariva anche il consiglio di non far  portare ai bambini  bambole e peluche a scuola. Questa la goccia che sembra aver fatto traboccare il vaso e che ha  spinto un gruppo di genitori di una delle sezioni della scuola   a scrivere una lettera aperta all'Ausl e creare la pagina facebook Peluche contro i vermi. 
"Da qualche giorno, i bambini della scuola dell'infanzia Arcoguidi Pace di Bologna non possono più portare i loro pupazzi di peluche nel dormitorio durante l'ora del riposo pomeridiano" scrivono i genitori che bollano come tardive e "di poca efficacia" le indicazioni ricevute per contrastare l'infestazione. "La verifica della diffusione dell'infestazione è stata lasciata alla buona volontà dei singoli genitori" scrivono i promotori della protesta che, con un gioco di parole, parlano di  "un verme che si morde la coda" . Viene descritta una situazione in cui "i bambini guariti vengono di nuovo contagiati da quelli che si sono nel frattempo infestati".  Per fronteggiare questa situazione i genitori, convinti che non basti vietare i peluche, chiedono che venga indetto in tutte le scuole del quartiere, entro il primo aprile, uno " svermi-day" , rivolto a chi ancora non ha effettuato il trattamento . Tra le richieste c'è anche quella di procedere, nel corso delle vacanze pasquali, ad una sanificazione degli ambienti scolastici con mezzi adeguati ad eliminare le uova dei parassiti.
Per dare maggiore visibilità alle loro richieste i promotori della pagina facebook hanno invitato gli altri genitori a condividere una foto con un messaggio di sensibilizzazione che abbia come soggetto il pupazzo che i bimbi non possono portare a scuola. Le immagini dei "peluche dimostranti" possono essere postate direttamente sulla pagina del social network oppure inviate via mail a peluchevsvermi@gmail.com.
 
La protesta è rimbalzata rapidamente sui quotidiani e sui siti web di Bologna e quasi in contemporanea è arrivata, affidata ad un comunicato stampa, anche la risposta dell'Ausl. Nella nota si legge che sono state fornite tempestivamente, attraverso la lettera del 29 gennaio ed in un successivo incontro, le appropriate indicazioni di prevenzione e profilassi.  "Una accurata igiene personale, con particolare attenzione per il lavaggio delle mani e delle parti intime, e la pulizia regolare degli ambienti di vita dei bambini, a scuola come a casa, dei loro abiti, della biancheria da letto e da bagno e degli oggetti da loro comunemente utilizzati, sono le fondamentali norme di prevenzione" si legge nella nota. Il comunicato contiene anche quella che appare una bocciatura indiretta della richiesta di uno "svermi day". L'ausl scrive che "il trattamento farmacologico, che può essere prescritto dal Pediatra o dal Medico di Medicina Generale, è efficace per la scomparsa dell’infezione, ma non è appropriato a scopo  preventivo". Viene inoltre ribadito che la "terapia farmacologica consiste nella assunzione di una singola dose di farmaco per via orale, da ripetere dopo due settimane, ed è raccomandata anche ai familiari e ai conviventi." Inoltre viene spiegato che "le infezioni da ossiuri, più frequentemente riscontrabili nei bambini sino a 14 anni, sono estremamente comuni, ma non pericolose per la salute e si risolvono con una semplice terapia farmacologica e il rispetto delle comuni norme igieniche". "La trasmissione - si legge ancora nel comunicato - avviene per via oro-fecale. Le uova sono trasportate alla bocca attraverso le mani sporche o, più raramente, attraverso oggetti contaminati, come ad esempio i giocattoli." Infine vengono forniti i numeri dei casi accertati che nel 2015 sono stati in totale 46, tre dei quali riguardanti adulti.
Personalmente, una pulizia straordinaria della scuola non mi sarebbe dispiaciuta mentre la richiesta di uno "svermi day" mi ha suscitato non poche domande. Un''iniziativa del genere potrebbe davvero convincere chi non l'ha ancora fatto a sottoporsi al test e ad un eventuale trattamento? Ipotizzando, in via assolutamente teorica ed astratta, che ci siano genitori che rifiutino di effettuare il test e far assumere il farmaco ai propri figli, come potrebbe uno "svermy day" conciliarsi con la facoltà, riconosciuta a ciascuno, di rifiutare un trattamento sanitario?
 
 
 
 
 
 
 
 



.