Ddl Pillon: il segno dei tempi. Parola all'avvocato Burgisano

 
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Parola all'avvocato Caterina Burgisano...  È piuttosto difficile commentare il disegno di legge dal punto di vista giuridico perché la novità di questo testo non è strettamente giuridica ma, più che altro, sociale. Il tratto distintivo del provvedimento è che esso risente fortemente del clima attuale, caratterizzato da una aggressività che permea un po’ tutti gli ambiti, e che si pensa di attenuare attraverso l’imposizione dall’alto o, per meglio dire, attraverso “l’obbligatorietà”.


Leggendo il testo e la relazione illustrativa, quello che si nota immediatamente è che si è completamente persa la visione “puerocentrica” che ha caratterizzato la stagione delle riforme del diritto di famiglia degli anni ‘70.
Peraltro, il continuo confronto effettuato con paesi “progrediti” quali il Belgio, la Svezia e il Quebec, nei quali l’affidamento condiviso o il mantenimento diretto costituiscono ormai la prassi, desta quantomeno una certa insofferenza, visto che la condizione tra i coniugi, in quegli stessi paesi, patisce uno squilibrio nettamente inferiore rispetto a quanto accade da noi. Ma a questo, la relazione illustrativa del Ddl non fa il minimo accenno.
Il disegno di legge è intitolato “Norme in materia di affido condiviso, mantenimento diretto e garanzia di bigenitorialità”, tuttavia, i primi cinque articoli sono dedicati soltanto al mediatore familiare e al coordinatore genitoriale, dunque, per prima cosa, si identificano e introducono le persone che dovranno intervenire nella vita della coppia.
Ebbene, l’obbligatorietà della mediazione è da sempre avversata da una parte degli operatori del diritto. Io non posso che concordare con chi sostiene che la mediazione (può) funziona(re) solo se voluta e accettata da entrambe le parti. Imporla non ha molto senso, come non ha senso pensare di imporre un cambio di costume con un testo di legge. In questa ottica, l’aspirazione alla bigenitorialità perfetta è e resta una utopia.
Dopo una manciata di articoli concernenti la procedura, il disegno di legge entra nel vivo all’art. 11, che disciplina i provvedimenti sui figli.
Una prima riflessione. Nella spasmodica ricerca di contemperare le esigenze di entrambi i genitori (in primis) è stata inserita una previsione destinata a complicare la vita della famiglia, già provata dalle inevitabili tensioni di una separazione, ossia la statuizione del doppio domicilio del minore (opzione più soft in quanto non si può imporre la doppia residenza senza modificare l’ordinamento di stato civile!).
Si tratta di una previsione che fa retrocedere di parecchio la normativa volta a tutelare gli interessi della prole alla stabilità e al mantenimento della qualità della vita. I bambini diventano pacchi postali che possono essere spostati da una parte all’altra in nome di una condivisione genitoriale, il più delle volte inesistente.
Peraltro, i figli possono essere lattanti, minori di 2 anni o adolescenti con una vita autonoma oltre alla scuola e alla famiglia. Il disegno di legge pare uniformare tutte le casistiche, senza distinguere i casi, se non con riferimento ad ipotesi estreme quali la violenza o la inadeguatezza del genitore, nel qual caso i principi del doppio domicilio e dell’affidamento condiviso possono subire delle deroghe.
Qualcuno ha parlato di un provvedimento che finalmente presta la dovuta attenzione ai padri separati, ingiustamente penalizzati dai giudici.
Ebbene, anche in questo caso sarebbe opportuno confrontarsi con la realtà senza demagogia e proclami: la nostra è una società ancora basata sulla visione della donna che sacrifica carriera e vita personale per accudire la famiglia, per cui è normale che sia più facile pensare che un bambino piccolo debba stare di più con la mamma.
Ma il Ddl non pare agevolare in nulla le istanze di quei tanti padri che soffrono, anche economicamente, la separazione dai loro figli.
A tale proposito, ci si chiede, anzi, come si possa pensare di facilitare una separazione introducendo obbligatoriamente un istituto a pagamento come la mediazione, che non può fornire la garanzia di scongiurare il ricorso al Giudice, anch’esso non esente da spese.
A ciò si collega direttamente un altro elemento quantomeno discutibile, ossia l’eliminazione dell’assegno mensile a vantaggio di una fantomatica forma di mantenimento diretto della prole da parte di entrambi i genitori.
Evidente è la illogicità della previsione: mentre con l’obbligo di versare il contributo al mantenimento rilevare l’inadempimento dell’uno o dell’altro genitore è piuttosto semplice, dopo l’eliminazione dell’assegno cosa succede se l’altro coniuge, nei giorni in cui deve provvedere alle spese per il figlio, non paga il medico o la scuola o la vacanza? Come si fa a provare la violazione? Per non parlare del fatto che è molto più complicato stabilire chi e quando ha provveduto a quel dato pagamento se non si tiene una contabilità aggiornatissima e rigorosa.
Che tutte queste previsioni possano contribuire a contrastare l’alienazione parentale, altro aspetto rilevante del testo in commento, a me pare piuttosto dubbio.
È sempre accaduto che uno dei genitori si impegni particolarmente per rendere l’altro odioso agli occhi del figlio, e senz’altro può accadere che il bambino arrivi a rifiutarlo, ma questo delicato problema certamente non si supera così; non imponendo la frequentazione.
Anche in questo caso, infatti, si da soltanto prova della divisione e del distacco, e di come non si entri mai nella visione del bambino.
Si auspica, quindi, che il provvedimento, del cui spirito di fondo non si sentiva proprio il bisogno, elimini al più presto la sua più evidente incongruenza tornando a porre al centro del dibattito il protagonista assoluto che è e deve rimanere il bambino perché, allo stato, di tutto pare si discuta, tranne che del suo benessere.