Perché è importante la laurea per educatore di nido?
















Parola a... Oggi incontro la professoressa Lucia Balduzzi del dipartimento di scienza dell’educazione dell’Università di Bologna. Con lei affrontiamo un tema complesso, molto delicato e altrettanto spinoso: i titoli di studio necessari per diventare educatore di nido. Come abbiamo raccontato più volte i titoli dei studio necessari sono cambiati. Con l’approvazione della legge delega ZeroSei necessita la laurea. Un cambiamento non semplice e che ha scontento molti.




Professoressa perché un titolo specifico di laurea per educatore di nido?



Perché la qualità dell’offerta educativa di un nido è strettamente connessa alla professionalità delle educatrici e degli educatori e, a sua volta, la professionalità degli operatori si radica nella loro formazione, iniziale e in servizio. Lo dimostrano anche ricerche e gli studi nazionali e internazionali.



Più formazione uguale più qualità?



Diciamo che maggiori sono le conoscenze e le competenze specifiche degli operatori che lavorano con i bambini da 0 a 3 anni maggiori sono le ricadute sia sul piano della qualità dell’offerta educativa e di cura rivolta ai bambini sia rispetto al supporto offerto alle famiglie.



Prima di questi studi non si sapeva?

La necessità di un titolo specifico era già percepita non è un caso che il Corso di Educatore nei servizi per l’Infanzia dell’Università di Bologna sia stato avviato nell’a.a. 2001/02, frutto di una preziosa collaborazione fra Università, ANCI-ER, UPI-ED, Lega Autonomie e Regione Emilia Romagna.



Un ragionamento che nasce nella nostra regione?

In particolare, la Regione Emilia Romagna, impegnata già da tempo nella promozione della qualificazione del personale educativo dei servizi pubblici e del privato sociale. La letteratura nazionale ed internazionale però fa anche un passo avanti rispetto al mettere in evidenza la necessità di una formazione specifica per gli educatori di nido: sottolinea infatti l’ulteriore necessità di superare sistemi definiti ‘split’, ovvero che separano l’offerta educativa 0-3 da quella 3-6, e di orientarsi piuttosto verso sistemi integrati 0-6 (OCSE, 2006).


Per riassumere?

In sintesi, la ricerca ci dice che i servizi, per essere di qualità, hanno bisogno di essere inseriti in un sistema competente che garantisca sul piano istituzionale una reale comunicazione e continuità di intenti a supporto dello sviluppo, della cura e dell’educazione dei bambini da 0 a 6 anni così come di educatori ed insegnanti preparati in modo specifico rispetto ai temi e ai problemi dell’infanzia.






Quante Università in Italia offrono un corso per educatore di nido?



Di fatto solo 2: uno erogato da Bologna e l’altro dalla LUMSA di Roma. Una recente ricerca curata da Emilia Restignan riporta che in Italia, nell’a.a. 2016-17, erano presenti 47 corsi di studio in L-19 di cui solo due richiamavano la specifica formazione nella prima infanzia. I corsi sono quello in Educatore nei servizi per l’Infanzia dell’Università di Bologna ed il corso in Educatori dell’infanzia e dell’integrazione sociale della LUMSA Roma. Altre 11 sedi: Bergamo, Catania, Firenze, Macerata, Reggio Emilia, Napoli, Padova, Perugia, Salerno, Torino e Verona hanno previsto, invece, curricola, ambiti o indirizzi rivolti a questo settore, con percorsi molto diversi fra loro.



Cosa pensa della battaglia che APEI sta muovendo in opposizione ad un titolo di laurea specifico solo per lavorare in un nido?



Non condivido questa posizione ma la criticità che APEI ha messo in luce è molto importante. Io stessa l’avevo già sollevata più volte. 



Ci spiega meglio?

L’istituzione dell’indirizzo specifico previsto dal DM. 65 richiede alle Università di riformulare l’offerta formativa delle lauree triennali in classe L-19 che, fino ad oggi, formavano un unico educatore che poteva operare in diversi settori del sociale e dell’educativo con utenze e in contesti molto diversificati: dalla disabilità alle dipendenze, agli anziani alla formazione professionale fino anche ai servizi per l’infanzia. Meno di un quarto dei corsi in classe 19 si rivolgono prevalentemente o anche solo parzialmente alla formazione dell’educatore 0-3.



Ma un educatore non è sempre un educatore?

Eliminare oggi il percorso specifico per gli educatori di nido per tornare ad una formazione iniziale generalista o indirizzata ad altre professionalità socio-educative, a mio avviso, sarebbe un passo indietro antistorico e antiscientifico perché corrisponde ad affermare che, per operare serenamente in un servizio per l’infanzia, è sufficiente possedere una base, per quanto buona, psicopedagogica senza nessun tipo di competenza specifica rispetto allo sviluppo del bambino, a che cosa significa costruire progetti di apprendimento/educazione per un’utenza che comunica soprattutto tramite il movimento, che declina intimamente la dimensione della formazione in quella della cura.



In cosa ha ragione APEI?

APEI ha messo in evidenza un problema serio che diventa ancora più significativo nelle sedi, come quella di Bologna, che erogano due corsi di studio in Classe 19 distinti piuttosto che uno solo con diversi indirizzi specifici e che vedono i laureati in educatore dei servizi per l’infanzia essere nella possibilità di accedere alla professione di educatore socio-educativo anche in contesti rispetto ai quali non sono stati preparati.



Perché una laurea specifica per educatore di nido e un’altra per insegnare alle scuole d’infanzia o alle scuole primarie, quando la legge che ha previsto il titolo di laurea per educatore di nido prevede e ripensa il tratto educativo 06 e non più diviso in 03 e 3-10?

 Un percorso 0-10 non è pensabile all’interno della struttura del corso di Scienze della formazione primaria, che forma oggi insegnanti di scuola primaria e dell’infanzia. Il rischio di questa scelta sarebbe quello di ridurre l’attenzione sulle peculiarità della prima infanzia e dei suoi servizi e scuole a favore della scuola primaria (rischio che a mio avviso già il curricolo di scienze della formazione primaria corre). D’altro canto, una formazione 0-6 diversa e separata della formazione 6-10 corre il rischio di interrompere un processo di costruzione di un curricolo verticale di qualità rispetto al sostegno dello sviluppo dei bambini e dell’acquisizione delle loro competenze.



Non c’è soluzione?

 Si potrebbe pensare che la soluzione a questo problema potrebbe essere rappresentata da una riformulazione complessiva dell’offerta formativa per lo 0-10 che preveda una laurea per educatori ed insegnanti dello 0-6 ed una, distinta, per la formazione degli insegnanti di scuola primaria.



Ma?

Ma anche questa soluzione, se da un lato andrebbe a ‘ricompattare’ l’unitarietà del segmento 0-6, dall’altro andrebbe a indebolire il grande lavoro fatto di costruzione di un curricolo e di modelli di continuità 3-10 che sostengono in maniera importante un processo di acquisizione di conoscenze e competenze dei bambini fondato su principi di continuità e coerenza. L’idea di fondo di questo curricolo è la costruzione progressiva di competenze chiave di cittadinanza, attraverso due modelli di scuola (infanzia e primaria) che usano linguaggi, metodologie e contesti didattici specifici ma che dovrebbero essere in continuità fra loro. D’altro canto, tornare ad un profilo unico per tutti gli educatori sarebbe una sconfitta ancora più importante.



Insomma c’è ancora molto da fare e discutere?

Credo che oggi sarebbe necessario fermarsi un attimo per indagare e riflettere insieme, mondo universitario e mondo dei servizi e delle scuole, lavorando non tanto e non solo per trovare soluzioni istituzionali che rispondano alle urgenze e alle necessità ‘politiche’ degli adulti (delle Università che erogano i corsi di studio, degli enti locali, degli uffici scolastici etc…) ma per comprendere quali siano quelli di educazione, di sviluppo e di cura, dei bambini da 0 a 10 anni, discutendo anche dello stato di ‘salute’ dei servizi e delle scuole. La domanda corretta non è tanto ‘questa professionalità è adeguata a quel contesto’ quanto piuttosto ‘quali professionalità oggi per quali contesti’, partendo proprio da un sano bagno di realtà dentro i servizi e dentro le scuole. A partire da questi dati credo potrebbe avere senso ripensare complessivamente la formazione iniziale di educatori ed insegnanti e i percorsi formativi magari arrivando anche a soluzioni innovative che, fino ad oggi, non abbiamo ancora avuto l’occasione o il coraggio di immaginare.







Link e libri di riferimento



Catarsi, E., & Fortunati, A. (2011). Educare al nido: metodi di lavoro nei servizi per l'infanzia. Roma: Carocci.






Un quadro europeo per la qualità dei servizi educativi e di cura per l’infanzia: proposta di principi chiave. Bergamo: ZeroSeiUp