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Parola a… Dopo
l’intervista alla professoressa Lucia Balduzzi, rispetto ai
titolo di studio necessari per lavorare in un nido. (leggi qui)
interviene sul nostro blog l’associazione Pedagogisti Educatari Italiani (Apei) per rispondere ad una nuova e articolata intervista in cui
affrontiamo nuovamente il problema dei titoli di
studio, ma anche altre questioni. Oggi incontro i
pedagogisti: Alessandro Prisciandaro,
Ermanno Tarracchini,
Matteo Corbucci
e
Samuela Amendola.
Perché
siete
contro un titolo specifico di laurea per educatore di nido?
APEI
non contesta la necessità di una qualificazione accademica per gli
educatori che decidono di svolgere la loro attività al nido, anzi ne
è talmente promotrice da richiedere che tale formazione costituisca
la base formativa per ogni Educatore professionale socio pedagogico.
Quindi
si alla laurea per lavorare al nido e,
no,
ad una laurea specifica solo
lavorare solo al nido?
Un
educatore del 6-14, per non fare danni, non può ignorare quello che
succede nello 0-6. Così come
un
educatore dello 0-3 non può ignorare quello che succederà dal 3 in
avanti. Per
questo occorre integrare le conoscenze dello 0-3 nel corso della
formazione L19. Solo un corso L19 unico e completo può garantire la
qualità dei servzi educativi, a partire dalla prima infanzia.
Una
sola laurea per
sapere di tutto un po’?
No,
il fatto è che fino ai 3
anni,
l’uomo
è dotato di alcuni riflessi innati: suzione, orientamento...Esplora
ed assorbe il mondo esterno per formare reti neuronali e movimenti
del corpo che saranno utilizzati anche dopo i tre anni. Se
l’educatore non conosce come avviene la formazione di tutto ciò
nei primi anni di vita non potrà nemmeno svolgere bene il suo
compito nelle altre età perché, ad esempio, di fronte ad un bambino
di 6 anni in difficoltà di lettura, scrittura e calcolo, non si
chiederà (o non saprà trovare risposta) sul cosa sia avvenuto da 0
a 3 anni o da 3 a 6 anni, non si chiederà quali presupposti
neuro-pedagogici siano stati impiegati per preparare la sua mano alla
scrittura-lettura, al suo coordinamento oculo-manuale, così come non
si chiederà che tipo di movimento del corpo ha costruito la sua
mente assorbente… alla base della sua personalità.
Quindi
un educatore
che
non
conosce l’evoluzione dell’uomo
non
potrà lavorare correttamente?
Diaciamo
che questo
educatore si sottometterà alla sentenza di disturbo, o crederà,
ignorando il valore della biografia educativa, alle falsificazioni di
chi propaganda il “raptus”, il colpo di “follia” per gli
avvenimenti scellerati di infanticidio o di femminicidio, abdicando
così alla sua funzione educativa.
Ma
un
titolo di laurea può preparare a lavorare in tutti i contesti in cui
oggi gli educativi operano: nidi, scuole, comunità, sostegno ai
disabili, integrazione...?
IL
lavoro dell'educare è uno: a essere diversi sono i bisogni
dell'Uomo, e l’Educatore è colui che è formato a saper leggere i
bisogni educativi dell'essere umano (di ciascun essere umano) che
variano non solo in relazione all'età, ma variano da persona a
persona, e agisce affinché tali bisogni trovino risposta. Non
esistono due bambini di tre anni con bisogni educativi identici, così
come le competenze relative ai bisogni più comuni nella prima
infanzia possono essere estremamente utili e importanti per il lavoro
con persone in situazioni di disabilità o in età senile.
E
tornando all’infanzia?
La
conoscenza dell’infanzia e la preparazione specifica relativa
dovrebbero costituire la base formativa di qualsiasi educatore, anche
di colui che lavora con gli adulti, con gli anziani o con chi ha una
disabilità.
L’infanzia
non si “supera”?
Diciamo
che tutto
parte dalla prima infanzia. Pensiamo
ad esempio a quanto influiscano i primi anni di vita
sull'organizzazione e differenziazione neurologica di un individuo e
quanto l'educazione incida su tutto questo.
L'Educatore
non
può essere formato solo per un ambito
specifico?
Esatto,
significherebbe perdere la visione globale sull'Uomo. Frammentare
l'esperienza dell'Educatore in singoli segmenti sarebbe come voler
analizzare un film basandosi su un singolo fotogramma, piuttosto che
cogliere la visione d'insieme. Per il professionista, inoltre,
significherebbe impedire la successiva possibilità di cambiamento,
di dedicarsi ad altri ambiti o di specializzarsi in altri campi.
Passiamo
ad altro. Avete affermato che a scuola ci dovrebbe lavorare
l’educatore e non lo psicologo
perché?
Non
è esattamente questa la nostra posizione.
E
qual’è?
Ribaltiamo
la domanda: se
nelle scuole si fa un lavoro educativo, e quella dello psicologo non
lo prevede tra le sue competenze , perché mai dovrebbe esserci uno
psicologo al posto di un educatore?
La
professoressa Balducci rispondendo alla
nostra intervista dichiara che sarebbe necessario un “sano bagno
nei contesti educativi per immaginare soluzioni innovative”. Voi
che lavorate tutti i giorni nei contesti educativi avete individuato
problemi specifici per servizi qualitativamente migliori?
Proprio
perché lavoriamo quotidianamente nei contesti educativi, riteniamo
che il punto di partenza irrinunciabile per promuovere la qualità
del lavoro educativo sia il riconoscimento formale e sostanziale
della professionalità che lo realizza. Abbiamo la responsabilità di
affermare la figura dell’Educatore di ambito pedagogico come una
figura integra e completa: un professionista riflessivo formato a una
prospettiva globale sui bisogni educativi umani che sceglie un ambito
dove operare. La professione può essere, ad esempio, quella di
educatore di nido, ma la professionalità è sempre quella
dell’Educatore professionale socio-pedagogico. Più si rafforza
questa identità e si qualifica la formazione nella giusta
prospettiva, che è quella educativa, più la soluzione ai problemi
arriverà dall’interno: dal lavoro quotidiano di questi
professionisti, sempre più forti e consapevoli della loro identità
e delle loro funzioni.