Cronaca Bambina E’ una storia complessa quella che si sta svolgendo a Como. Il sindaco Alessandro Rapinese vuole chiudere due nidi d’infanzia e privatizzare tutti gli altri in un colpo solo.
E questa che potrebbe sembrare una notizia locale, e in fondo di poca importanza, non lo è affatto: l’esternalizzazione segue una direzione politica generale che, governo dopo governo, si sta imprimendo su tutti i nidi. Il rischio concreto oggi è che altri comuni seguano questa strada. Insomma Como ha creato un precedente pericoloso.
Ma procediamo con ordine, facciamo un passo indietro e allarghiamo lo sguardo.
Quando i nidi erano il fiore all’occhiello
Un tempo i nidi a Como erano il fiore all’occhiello dell’amministrazione pubblica. Un’amministrazione guidata da Antonio Spallino, sindaco democristiano che guardava al “modello di Bologna” e apriva nuovi nidi. Era la fine degli anni ‘70, i servizi erano tutti pubblici e avevano giardini dove i bambini potevano giocare all’aria aperta, cucine interne dove si sfornavano torte e pasti prelibati, ma sopratutto erano luoghi dove le lavoratrici lottavano per il loro diritti e per tutte le donne. I nidi hanno dato vita ad un nuovo modello sociale. Nicoletta Pirotta già direttrice degli asili nido di Como mi racconta “Si è costruita una nuova cultura sull'infanzia, si sono offerti ai bambini strumenti per crescere in modo armonico, si sono sostenuti mamme e papà nel trovare il modo migliore di essere genitori, si è cercato di diffondere la consapevolezza che il bambino non è prolungamento dei genitori ma un individuo portatore di diritti.”
Questi nuovi servizi erano organizzati con un coordinamento pedagogico dove genitori, educatori, pedagogisti, amministratori e politici si incontravano per discutere e organizzare insieme. Non è un caso che i nidi siano nati in seno ai comuni e non allo Stato. Adriana Lodi la politica che per prima avviò i nidi in Italia ha sempre sottolineato questo aspetto. I nidi come presidi sul territorio dovevano essere gestiti dal comune, l’ente pubblico più vicino al cittadino. Non tutto è stato rose e fiori, certo, ci sono state tante lotte, ma il sistema funzionava e ha funzionato bene per anni.
Una crescita lenta e l’esternalizzazione continua
Dalla fine degli anni ‘90 ai nidi pubblici si sono affiancati nidi a gestione indiretta. L’esternalizzazione ha portato un profondo cambiamento. Governo dopo governo, a destra come a sinistra, si è percorsa questa strada. L’idea era che esternalizzando si sarebbe abbassato il costo di gestione e si sarebbero potute aprire più strutture, il tutto mantenendo la stessa qualità e riuscendo anche ad ampliare orari e calendari, così da essere più vicini alle esigenze delle famiglie. Insomma è sembrata a molti la soluzione ideale.
Un sogno frantumato su una realtà che nessuno, fino ad ora, si è preso la briga di misurare con cura.
Un dato però è certo, e ce lo fornisce Istat: dal 2013 al oggi il numero dei posti nido è calato di circa 10 mila unità.
Nel novembre 2023 Istat conta 350 mila posti autorizzati, nel 2013 sempre Istat ne conta 360.314. Più difficile misurare l’abbassamento generale della qualità, ma non è impossibile capire perché.
Como e il voto al consiglio
Torniamo a questo punto a Como: qual è la novità se l’esternalizzazione del servizio è ormai generalizzato?
Rapinese sta accelerando il processo di privatizzazione con una velocità senza precedenti. Chiude due nidi ed esternalizza tutti gli altri man mano che le educatrici andranno in pensione. E lo sta facendo senza ascoltare né relazionarsi con i soggetti coinvolti, insomma andando a schiacciare una delle caratteristiche più tipiche dei nidi: l’ascolto del territorio.
Lo scorso anno ha tentato di esternalizzare con una prima delibera di giunta, ma ha trovato tante resistenze. Incredibilmente è riuscito a unire tutte le voci contro: la minoranza politica, sia a destra che a sinistra, i sindacati e i genitori, i quali hanno fatto ricorso. Il processo si è rallentato ma non fermato. La Professoressa dell’Università di Bologna e avvocata Silvia Nicodemo spiega “Nel ricorso dei genitori al Tar (il Tribunale amministrativo regionale) era stata formulata anche istanza cautelare per ottenere la sospensione temporanea dell'efficacia della delibera di giunta che esternalizzava alcune attività e chiudeva due nidi. Il Tar di Milano ha respinto l’istanza e i ricorrenti hanno sollevato appello davanti al consiglio di Stato. Il consiglio di Stato ha pronunciato un’ordinanza interessante perché, dando ragione ai ricorrenti, è scesa anche nel merito della questione e ha sospeso la delibera per motivi attinenti all’erogazione del servizio. A quel punto la causa e' tornata all'esame del Tar che con altra sentenza ha rilevato un vizio di competenza ed ha dichiarato la delibera illegittima perché emanata dalla Giunta e non approvata in Consiglio”
Ed eccoci tornati al Consiglio, dove ieri si è votato e deliberato: quindi due nidi chiuderanno e tutti i servizi passeranno alla gestione del privato, mano a mano che le lavoratrici andranno in pensione.
A questo punto incontro la sindacalista di CGIL Stefania Macrì a cui chiedo che aria si respira nei nidi “C’è parecchio malcontento. Ci sono lavoratrici che da 30 anni lavorano nei servizi e si sono sentite messe da parte dall’oggi al domani senza troppi complimenti. Tra le braccia di queste lavoratrici sono passate tante e diverse generazioni di comaschi e ora sono trattate come un peso o uno spreco di risorse. Il lavoro al nido però è un lavoro delicato che richiede cura, conoscenza, alleanza anche tra le diverse figure professionali che insieme restituiscono un'armonia di competenze che è particolarmente significativa per il benessere dei bambini e delle bambine, e dei genitori. La differenza tra un lavoratore pubblico e uno privato non si può raccontare solo con numeri e sottolineando il risparmio economico, perché semplicemente non è così”
Ma quali sono le reali differenze tra un lavoratore pubblico e privato?
Sulla delibera votata ieri si scrive che il costo di un bambino al pubblico supera i 16mila euro annui, contro gli 8mila del privato.
Insomma il pubblico costerebbe il doppio. Questa differenza è prevalentemente risparmiata (o prelevata) dalle busta paga delle lavoratrici, come ci racconta con estrema chiarezza un’educatrice di cooperativa in questa intervista.
Ma i costi da considerare tra spese dirette e indirette, che in delibera non sono stati tutti chiaramente indicati, fanno la differenza. Ho incontrato i consiglieri d’opposizione per capire le azioni intraprese per contrastare la delibera, e proprio su costi la consigliere d’opposizione Patrizia Lissi mi spiega “Abbiamo posto molte domande a cui non abbiamo avuto risposte chiare. Ad esempio ho chiesto di indicarmi se la formazione l’avrebbe pagata il Comune o il soggetto privato che andrà a gestire il servizio. La risposta è che verrà pagata della regione Lombardia”. Insomma per dirla in breve dall’ente pubblico.
Il consigliere Luca Vozzella mi racconta “Abbiamo indetto una commissione per porre diversi interrogativi e incontrato in più occasioni i cittadini. Siamo sempre in contatto con i sindacati, ma non abbiamo la forza numerica di contrastare il volere della maggioranza.” Lissi continua “E’ davvero difficile lavorare con questa giunta perché il sindaco adombra anche i suoi. Anche ieri durante il consiglio l’assessore competente non ha mai preso parola”.
E la qualità?
La qualità potrà essere la medesima pagando di meno il personale? Sempre sulla delibera si scrive che la qualità che rimarrà “eccellente”. Ma la cucina e le pulizie in questo prospetto di conti saranno esternalizzate e divise. Ciò significa: niente più torte sfornate al mattino, ma pasti confezionati e poi distribuiti. Ciò significa che al posto di una collaboratrice tuttofare che conosce ogni aspetto del nido dove lavora, che fa piccoli lavori di manutenzione, che sostiene le educatrici in momenti di difficoltà, che consola il bambino al risveglio, ci sarà personale che passa lo straccio a fine giornata.
Questa esternalizzazione non è cosa da poco. E’ entrata in una cristalleria con la leggerezza di un elefante. Si mina il servizio nelle sue fondamenta. E se il Comune non gestirà più alcun nido sarà anche difficile che riesca a valutarne la qualità.
A questo punto mi confronto con l’assessore di Bologna Daniele Ara, dato che il sindaco Rapinese ha dichiarato di volersi ispirare al modello bolognese. A lui chiedo come funziona il sistema “A Bologna abbiamo un sistema di servizi integrati in cui il pubblico copre il 70% dell’offerta complessiva con circa 50 servizi. A questi si affiancano altri nidi convenzionati, gestiti da privati, e piccoli gruppi educativi, e grazie a risorse della regione siamo riusciti a calmierare le rette anche dei privati. E’ un sistema che funziona e abbiamo intenzione di mantenere il pubblico che abbiamo. Stiamo anche lavorando per allargare l’offerta, che grazie alle risorse del PNRR riusciremo ad ampliare di 309 nuovi posti, al momento non sappiamo con quale personale visti i nuovi vincoli di assunzione e i tagli alle spese correnti che vanno a colpire i comuni.”
La resistenza dei genitori
Ieri in consiglio la delibera è passata con i voti della maggioranza. Erano presenti i genitori in protesta a fianco dei sindacati. Umberto Fumarola genitore e attivista chiede con massima trasparenza
“Ma se i costi di gestione si riducono così tanto, noi genitori avremmo un abbassamento di retta?” Di questo nessuno ha parlato.
Se c’è incertezza sulle riduzione delle rette di sicuro rimane l’abbassamento della qualità del servizio.
Del resto ci sono tantissimi studi sui nidi che dimostrano quanto siano utili. Il premio Nobel all’economia Jeams Heckman ne ha prodotto uno eccellente che è stato ripreso anche politicamente e fissato nell’Agenda 2030, che nel quarto obbiettivo “istruzione” scrive “i programmi di sviluppo sin dai primi anni di vita, possono rendere il 13% l'anno per ogni figlio sul costo iniziale, grazie a migliori risultati scolastici, qualità della vita, occupazione, reddito e inclusione sociale.”
Insomma i nidi potrebbero fare molto, ma come avverte Heckman solo se si tratta di servizi di qualità.
Il pericolo è che altri sindaci seguano questa nuova rotta. A meno che non ci sia una forza politica che si organizzi per contrastare questa deriva tornando anche sulle normative che seguono questa direzione. Un’ultima domanda la rivolgo ancora alla professoressa Nicodemo: Potranno i genitori promuovere un nuovo ricorso? “Certo che sì, quantomeno in astratto, sarà l’avvocato che li segue ad effettuare le opportune considerazioni sulla sussistenza di profili di illegittimità da far valere in giudizio” Troverà Como la forza di continuare a battersi contro la privatizzazione che rischia di allargarsi a macchia d’olio?
Laura Branca