Nidi e scuole d'infanzia amiche dei bambini. Parola a Ermanno Tarracchini

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La pedagogia del lunedì Oggi incontro Ermanno Tarracchini già docente all'Università di Modena e Reggio Emilia è consigliere nazionale del comitato scientifico dell’Associazione Pedagogisti ed Educatori Italiani (APEI), esperto in Neuro-Pedagogia dell’attività mentale si è formato a Parigi con A. de La Garanderie. Oggi con lui inauguro la "pedagogia del lunedì", un nuovo spazio dedicato agli approfondimenti sul tema educazione e infanzia. La voce di Tarracchini ci seguirà lungo l'arco di un mese.  Quattro interviste per sondare 4 diverse tematiche.



Come dovrebbero essere i nidi e le scuole d'infanzia amici dei bambini? La risposta è già contenuta nella domanda, i nidi dovrebbero essere amici e a misura dei bambini.

In concreto? Significa che il bambino non va considerato come un contenitore passivo che deve eseguire tutte le nostre volontà già programmate, da punire anche fisicamente se non obbedisce subito, o da considerare un contenitore vuoto da riempire con tutte le nostre aspettative riguardanti le attività, i tempi, le modalità relazionali… la personalità. 

Non un contenitore ma...? Il bambino deve essere al centro e protagonista del suo processo di crescita, con poche e semplici regole all’interno delle quali possa però anche esercitare una libera scelta di attività e di tempi.

Un esempio teorico da seguire? Da solo, io” ci dice l’ultimo libro di Grazia Honegger Fresco, l’ultima allieva ancor vivente di Maria Montessori. 

Torniamo alle origini, alla Montessori… Si perché le sue intuizioni sono ancora di grande attualità " Aiutami a fare da solo” dice il bambino, per sentirsi autore in prima persona della sua crescita, cosa indispensabile per una infanzia serena.  
 
Cosa succede quando lasciamo far da solo il bambino? Si vedranno svanire tutti quei comportamenti di protesta o di non collaborazione, scambiati per “capricci”.
Ma oggi esistono ancora i "capricci"? Quelli che noi definiamo capricci, sono l’unica forma di protesta che hanno i bambini per manifestare il loro disappunto di fronte all’incoerenza educativa ed affettiva degli adulti (pensiamo solo al distruttivo esempio che diamo con l’utilizzo esasperato ed esasperante dello Smartphone)  Nei casi estremi, quando non riusciamo più a comprendere e a gestire le loro forme di protesta, li mandiamo dallo psicologo o dallo psichiatra, (e perché no, anche dallo psicanalista). Siamo arrivati a patologizzare anche le proteste dei bambini, ora non li chiamiamo più capricci ma con l’acronimo-stigma “DOP” il cosiddetto “Disturbo Oppositivo Provocatorio” – Bambini che osano non collaborare, disubbidire… devono per forza essere malati, perché altrimenti occorre cambiare qualcosa del mondo degli adulti. Si tratta di comportamenti che rappresentano una minaccia per lo stato di cose esistente e privilegi che si vogliono conservare a tutti i costi.

E quando il bimbo fa i "capricci" al nido? Quando i bambini non stanno fermi come "soldatini di gesso” o non obbediscono immediatamente, fanno perdere la testa ad operatori dei nidi poco pazienti e maldisposti al loro lavoro, fino a farli diventare violenti, perché non sono formati in maniera adeguata al compito educativo per il quale sono stati assunti.

E quindi? Quindi non possiamo incriminare il mondo dell’educazione per colpa di un piccolo numero di operatori inadeguati al loro compito, così come non possiamo limitarci alle telecamere, sarebbe troppo semplice.

Perché? Perché la problematica dell’educazione è assai più complessa. 

Telecamere cosa ne pensa? Le telecamere si possono eludere, i bambini possono essere picchiati nei ripostigli, in angoli non raggiunti dalle telecamere o anche nei bagni. Certo possiamo spiare anche i bambini che fanno la pipì ma questo non ci metterà al sicuro, perché il problema non si risolve enfatizzando il cosiddetto “burnout” degli operatori, l’ultima trovata degli psicologi alla ricerca affannosa di lavoro, in facile complicità con le vittime di difficili situazioni di lavoro: in base a quali criteri e, soprattutto, quali esperienze, competenze scientifiche, pedagogiche, etiche e morali sono necessarie per erigersi a giudici della personalità altrui nell’agire educativo, non certo quelle degli psicologi, in quanto non formati allo scopo.

Al di là del singolo dove stanno le responsabilità "generali"? La vera responsabilità sta nelle politiche dell’infanzia, nei tempi e nelle modalità di attività dei bambini ma, soprattutto, in una formazione degli educatori che dovrebbe essere rigorosamente pedagogica e che, invece, è spesso soppiantata da una formazione sempre più medicalizzante e psicologizzante i processi di crescita e sviluppo della prima infanzia e delle età evolutive successive. Chi ha a che fare con bambini così piccoli, ma anche più grandi, dovrebbe studiare "la mente assorbente del bambino“ grazie ad un approccio più neuro-pedagogico che psicologico, ossia attraverso una formazione che spieghi il funzionamento della mente come dialettica del biologico e del sociale, e non soggetto a chissà quali strutture o pulsioni cosiddette “psichiche” insondabili. ”Il bambino" dice M.Montessori in un suo passo critico nei confronti della psicanalisi, "non ha bisogno di tornare all’infanzia, perché lui è l’infanzia” o quando critica la psicologia, “...ho visto cadere tante teorie degli psicologi …sulla incapacità di concentrazione dei bambini” e ancora “...Si tratta di osservarlo e non di interpretarlo” Noi adulti che lavoriamo col "bambino padre dell’uomo” abbiamo bisogno di confrontarci, di narrare, di dibattere le nostre  problematiche educative, di rivedere l’educazione che noi stessi abbiamo ricevuto. Dovremmo formarci ai principi di "un’educazione per un mondo nuovo" attraverso una comunità educante: un'educazione collettiva e reciproca, dove "tutti imparano da tutti". Dove "nessuno educa nessuno e nessuno si educa da solo, ma gli uomini si educano insieme con la mediazione del mondo" ci dice Paulo Freire.