Massimiliano Tarozzi racconta Adriana Lodi. La febbre del fare e la passione politica

AdrianaLodi
Adriana Lodi
 



Di Massimiliano Tarozzi

Adriana Lodi la febbre del fare ce l’ha sempre avuta e ce l’ha ancora. Fa parte di quei giganti che hanno costruito il nostro paese, che hanno temprato le loro idee in una dittatura, hanno attraversato una guerra, una lotta di liberazione, e poi hanno contribuito alla ricostruzione di un paese e di una città in particolare: Bologna.


Mio padre, Ettore Tarozzi, che con Adriana ha condiviso un lungo tratto di strada, non amava quell’etichetta - “La febbre del fare”, perché mitizzando un clima complessivo, chiudeva in un museo un’esperienza di governo. Mitizzandola, la serrava in una teca di cristallo e vi apponeva un’etichetta.
Anche il profilo di Adriana Lodi rischia di essere mitizzato: sindacalista nell’immediato dopoguerra, consigliera con Dozza, assessora (unica donna) con Fanti e poi parlamentare per oltre due decenni. Operaia, sindacalista, comunista, che ha provato sulla pelle la dittatura fascista, la guerra, la lotta partigiana e la ricostruzione del paese. Ma Adriana Lodi non è un mito, è una donna vera, in carne ed ossa, la cui passione politica e l’impegno civile hanno contribuito alla storia di questa città.


Il primo nido

Anche la fondazione del primo nido, ad opera di Adriana Lodi, rischia di essere cristallizzato in un mito e di perdere tutta la sua portata storica di innovazione pedagogica e politica.

L’episodio del viaggio a Stoccolma, in cui per la prima volta Adriana Lodi visita alcuni servizi per la primissima infanzia così diversi dalle strutture assistenzialiste dell’opera nazionale maternità e infanzia, è simbolicamente rilevante, ma è stato forse eccessivamente mitizzato anche per la sua facile narrazione mediatica.

Quell’episodio è brevemente raccontato con la sua consueta semplicità dalla stessa Lodi nell’intervista che anni fa rilasciò a Paola Furlan dell’archivio storico del comune di Bologna:

“Quando il comune mandò me ed un rappresentante della minoranza ad un congresso internazionale a Copenaghen, approfittammo dell’occasione - perché di solito era molto difficile andare in missione all’estero – ci prendemmo due giorni a nostre spese per visitare accompagnati anche gli asili nido di Stoccolma dove eravamo ospiti di un mio cugino emigrato. Con la mia macchina fotografica Comet prendemmo tante foto in bianco e nero e ci facemmo spiegare tutta l'organizzazione. Tornati a Bologna, abbiamo cominciato a fare questa campagna per gli asili nido, che è stata vittoriosa anche grazie al contesto culturale in cui ci muovevamo”.



Il contesto culturale 
Mi preme sottolineare la frase conclusiva del racconto e il riferimento al “contesto culturale in cui ci muovevamo”.

In effetti quei nidi svedesi erano stati visitati e ammirati innumerevoli volte prima di allora, da persone provenienti da tutto il mondo, ma non avevano ispirato progetti politici analoghi. Inoltre, non è mai possibile copiare esperienze pedagogiche e servizi socio-educativi sorti in contesti politici, culturali e sociali così diversi. Se quella visita ha avuto un effetto, ha attivato una folgorazione, non è tanto per il valore sociale e pedagogico dei servizi educativi dei paesi nordici, ma soprattutto perché è accaduta al momento giusto, nel contesto giusto con la persona giusta.

Gli antenati dei nidi comunali

In quegli anni a Bologna non è che non vi fosse nulla per la primissima infanzia: c’erano gli asili aziendali (pochi e mal fatti) e gli asili OMNI (Opera Nazionale Maternità e Infanzia), servizi assistenziali sorti durante il fascismo. Tuttavia, la battaglia culturale e politica era quella di sottrarre i servizi sociali all’istituzionalizzazione. Una battaglia già anticipata dal predecessore l'assessore Beltrame, medico della settima GAP e assessore all’assistenza, igiene e salute. Quindi l’innovazione di quel 1969 non è tanto e solo l’apertura del primo asilo nido “Patini”, come un isolato esempio di eccellenza, ma la creazione di un servizio pubblico non puramente assistenziale che, in quegli anni, rientrava nel ripensamento complessivo della politica educativa e scolastica dell’intera giunta. Insomma, la campagna per gli asili nido, oltre che per il coraggio politico di quegli amministratori, si comprende nell’ambito di quel clima che ha costruito e beneficiato di speciali condizioni storiche, politiche e pedagogiche che hanno consentito a quel seme di sbocciare.

Le condizioni Storiche 

Dal punto di vista delle condizioni storiche, la fine degli anni Sessanta segna la nascita di forti mobilitazioni sindacali e in particolare di scioperi delle donne per il diritto al lavoro e l’apertura di nidi. Peraltro, a queste lotte corrispondeva anche una significativa sensibilità sociale di alcune imprese private; ne è un esempio la famiglia Patini che cofinanziò l’avvio del primo omonimo asilo nido. Sono anche gli anni delle lotte contro le istituzionalizzazioni dei servizi sociosanitari, basi pensare al ripensamento complessivo della salute mentale e della sua cura che portarono di lì a un decennio alla innovativa riforma degli ospedali psichiatrici con la legge Basaglia.

Le condizioni politiche 

Vi erano poi le condizioni politiche che caratterizzavano l’attività della giunta bolognese che, non senza tensioni e conflitti interni, poneva l’istruzione al centro della proposta politica. Un clima politico che trovava una profonda saldatura fra la politica e la città. L’educazione era vista come un problema e un’opportunità per la società intera e la scuola, sosteneva Bruno Ciari, va vista come un centro d’incontro, di dibattito, di lavoro creativo. Non vanno dimenticate, ad esempio, le lotte congiunte dei comitati di genitori e insegnanti per difendere l’apertura dei servizi contro minacce di chiusura per lo “spareggio di bilancio”. 

Le condizioni pedagogiche 

Infine le favorevoli condizioni pedagogiche. È importante che oggi l’Alma mater riconosca a Adriana Lodi una laurea ad hornorem in Scienze dell’educazione a certificare il sapere e le competenze pedagogiche che ha dimostrato nell’avviare gli asili nido bolognesi da assessore ai servizi sociali. Nella Bologna degli anni Sessanta il clima pedagogico era vivace, profondo e diffuso. I Febbrai Pedagogici dal 1962 avevano portato in città un dibatto colto, rigoroso e impegnato sui temi dell’educazione richiamando a Bologna le migliori menti pedagogiche italiane e saldando un solido legame fra l’amministrazione, gli operatori e l’università di Bologna, in particolare con l’Istituto di pedagogia. Non a caso, la formazione pedagogica delle assistenti dei primissimi nidi fu organizzata alle scuole Sirani, d’intesa con l’assessorato all’istruzione, perché alle operatrici mancava proprio quella competenza che era ritenuta essenziale.

 Non saremo mai grati abbastanza alla donna Adriana Lodi per la tenacia, il coraggio e la passione, la semplicità rigorosa e la visione ideale con cui ha saputo essere protagonista di una stagione di grande rinnovamento riformista che ha reso Bologna quel luogo di eccellenza di servizi che molti ancora ci invidiano.

Di Massimiliano Tarozzi professore Università di Bologna