Lettera aperta: Non chiamateci più servizi educativi!

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Lettera aperta

Oggi lascio spazio alla lunga e appassionata lettera dell'educatrice Giusi Cerreto. Ripercorrendo la storia dei servizi educativi la Cerretto conclude con un'analisi rispetto a quello che sta succedendo oggi, ai tempi del Covid-19. Il mio pensiero si allinea perfettamente con il ragionamento che segue e sopratutto con l'appello conclusivo, cioè, quello di chiamare le cose con il proprio nome. In modo diretto e onesto. Buona lettura! 

Correva l’ anno 1848, il movimento di rinnovamento sociale e politico pervadeva l’ Italia, si rivendicavano la pari dignità e libertà dell’uomo. In questo clima, Ferrante Aporti, considerato il fondatore degli asili nella nostra penisola, proponeva un’ educazione per tutti. Sosteneva di sostituire le “salette di custodia”, nate un po’ dappertutto per fornire assistenza ai figli delle famiglie operaie, con le scuole, nelle quali provvedere allo sviluppo integrale dei bambini. Il modello aportiano conteneva ottime premesse ma non era esente da errori metodologici, contenuti nozionistici e un’ immagine del bambino adultistica. Ma tant’è.

La strada per il riconoscimento della pedagogia quale scienza autonoma, la rivalutazione del bambino in quanto tale e l’ attenzione all'infanzia è una strada lunga, in salita e piena di difficoltà.

Passiamo per Maria Montessori, l’ importanza data all’ambiente educativo, l’ educatore mediatore perché il bambino costruisce da solo la sua conoscenza, messo in condizione di. ‘Aiutami a fare da solo’ riassume tutto il pensiero montessoriano.

Passiamo per le sorelle Agazzi. Al di là delle innovazioni la maestra è come una mamma, e da qui la denominazione scuola materna. Facciamo un salto temporale, e arriviamo a Bruno Ciari. In un convegno tenutosi a Bologna nel 1967, Ciari conia la definizione di ‘scuola dell’infanzia’. Dietro le parole si nascondono contenuti e valori: la scuola riveste dignità pedagogica – culturale. Tra tutti questi diversi approcci passano orde di filosofi, psicologi, pedagogisti e cambiamenti storici, politici, culturali.

Cambia la famiglia, cambia la società. Superiamo negli ultimi anni la visione di Giovanni Gentile: il maestro è uomo di cultura che ha una sua missione e che non ha bisogno di preparazione, maestro si nasce e non puoi diventarlo. Arriviamo invece a leggi e decreti dove viene istituita la laurea preposta, il tirocinio e la formazione. Come a dire, adesso, signori cari, l’ infanzia è un pianeta difficile e affascinante, c’ è bisogno di preparazione, c’ è bisogno di abilità trasversali. Impariamo le tecniche, impariamo cosa è lo sviluppo percettivo, cognitivo e affettivo, cosa un bambino fa e cosa non fa a una determinata età, impariamo come relazionarci con le famiglie, con le situazioni difficili, impariamo a stendere una relazione, impariamo a aggiornarci continuamente perché siamo in continua evoluzione e le scoperte sono all’ ordine del giorno.

E poi parliamo del Nido. Passiamo per i ricoveri per i lattanti di metà ‘800, passiamo per l’ OMNI, istituiti nel 1925, dove veniva tutelata la salute e l’ igiene dei bambini, senza alcuna motivazione di natura educativa.

Arriviamo faticosamente agli anni ‘70, cioè in epoca moderna, dove gli asili forniscono assistenza e aiuti per le madri lavoratrici, ma ancora vi è scarso interesse per i bisogni dei bambini. E ancora, gli ultimi anni: il trionfo della pedagogia, il bambino riconosciuto come soggetto di diritti, l’ importanza dell’educazione, dell’aggiornamento, il riconoscimento del bambino nell’intera sua valenza. E allora pensiamo per i bambini, diamo un’ ampia scelta di situazioni e materiali, organizziamo spazi e tempi, e usciamo dall’ottica meramente assistenziale. Diamo validità pedagogica a ciò che facciamo, pianifichiamo, progettiamo.

È adesso? L’ emergenza covid 19 ci porta indietro a più di un secolo. Le conquiste effettuate nulle. Piaget, Vigotskji, Bruner, Anna Freud, Gardner cancellati.

Adesso c’ è l’ urgenza di sistemare i bambini. E comprendo davvero le difficili situazioni lavorative e sociali delle famiglie. Ma, attenti alle soluzioni che decidete di mettere in atto.

Per favore, allora, chiamateci per quello che saremo: sale di custodia, se pensate di muovervi in questa direzione. Non parlate più dell’allestimento degli spazi, dell’ importanza dell’osservazione, della documentazione e dell’educazione.

Non parlate più di una cultura dell’infanzia, non parlate degli atelier di Malaguzzi dove imparare, creare, toccare, sperimentare, non parlate dei cento linguaggi dei bambini.

Non parlate di scuola aperta, pluralista e sperimentale. Diamo il nome alle cose, che è il primo passo per la rivoluzione del pensiero.

Io non ci sto. Non chiamateci più servizi educativi.




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