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Cronaca Bambina
Da una parte abbiamo l'ipotesi di una riapertura dei nidi e delle scuole d'infanzia annunciate dalla Ministra Lucia Azzolina. Dall'altra parte abbiamo alcune ricerche scientifiche sui possibili effetti del virus sui bambini. Le informazioni sono poche ma non sono tanto confuse come si potrebbe credere leggendo solo la stampa generalistica. E al di là dei dati sanitari (che andremo a commentare) possiamo fare alcune considerazioni pratiche. Tra i due poli di informazioni dobbiamo collocare anche il sapere dei servizi educativi, la cultura pedagogica e la conoscenza dei bambini.
Tre studi sui bambini
Abbiamo tre studi a cui riferirci rispetto agli effetti che il virus ha sui bambini. Ho selezionato questi tre studi (e non altri) perché per ora sono i più attendibili. La prima ricerca è quella pubblicata sulla rivista The Lancent (una delle più prestigiose riviste scientifiche britanniche). Ha svolto un approfondimento rispetto agli effetti del Covid-19 sui bambini.
Quali sono i risultati? In pochissimi casi si registrano sintomi gravi e in quei casi si trattava di bambini con patologie respiratorie regresse anche gravi (come ad esempio la fibrosi cistica).
Questo non significa che i bambini non si ammalino, una "falsa notizia" o forse più semplicemente una semplificazione che è girata sui social e non solo.
Al momento della pubblicazione (27 marzo) ci sono stati due bambini deceduti entrambi in Cina e nessuno in Italia.
La cosa più interessante, e che qui ci interessa particolarmente è il fatto che la comunità scientifica si interroga rispetto a quali siano le migliori modalità di pubblicazione dei dati e come comunicarli.
Oggi, vista l'emergenza, le pubblicazioni scientifiche sono pubblicate in tempi molto rapidi e vengono messe a disposizione prima della totale revisione dei risultati (che ha tempi solitamente molto più lunghi). Il rischio? E' arrivare a conclusioni non completamente affidabili. Oltre a questo si aggiunge il fatto che c'è la poca capacità generale di comunicare in modo professionale le ricerche scientifiche sia da parte dei media che da parte dei politici.
Abbiamo tre studi a cui riferirci rispetto agli effetti che il virus ha sui bambini. Ho selezionato questi tre studi (e non altri) perché per ora sono i più attendibili. La prima ricerca è quella pubblicata sulla rivista The Lancent (una delle più prestigiose riviste scientifiche britanniche). Ha svolto un approfondimento rispetto agli effetti del Covid-19 sui bambini.
Quali sono i risultati? In pochissimi casi si registrano sintomi gravi e in quei casi si trattava di bambini con patologie respiratorie regresse anche gravi (come ad esempio la fibrosi cistica).
Questo non significa che i bambini non si ammalino, una "falsa notizia" o forse più semplicemente una semplificazione che è girata sui social e non solo.
Al momento della pubblicazione (27 marzo) ci sono stati due bambini deceduti entrambi in Cina e nessuno in Italia.
La cosa più interessante, e che qui ci interessa particolarmente è il fatto che la comunità scientifica si interroga rispetto a quali siano le migliori modalità di pubblicazione dei dati e come comunicarli.
Oggi, vista l'emergenza, le pubblicazioni scientifiche sono pubblicate in tempi molto rapidi e vengono messe a disposizione prima della totale revisione dei risultati (che ha tempi solitamente molto più lunghi). Il rischio? E' arrivare a conclusioni non completamente affidabili. Oltre a questo si aggiunge il fatto che c'è la poca capacità generale di comunicare in modo professionale le ricerche scientifiche sia da parte dei media che da parte dei politici.
Seconda ricerca The New England Journal of Medicine
Con i dati raccolti a Wuhan, in Cina, da gennaio a febbraio, si analizzano 1391 casi di bambini testati per positività. L'età presa in esame fino ai 16 anni. I bambini risultati positivi sono 171 (12,3%) e l'età media dei bambini infetti è tra i 6 e i 7 anni. Un bimbo di 10 mesi è morto, 21 bambini erano in condizioni stabili in reparti normali (non in terapia intensiva) 149 sono stati dimessi. Quali conclusioni?
Diversamente dagli adulti infetti, la maggior parte dei bambini infetti sembra aver decorso clinico più mite. Infezioni asintomatica non è rara. Determinare il potenziale di trasmissione di questi pazienti asintomatici è importante per guidare lo sviluppo di misure di controllo della pandemia in corso.
Diversamente dagli adulti infetti, la maggior parte dei bambini infetti sembra aver decorso clinico più mite. Infezioni asintomatica non è rara. Determinare il potenziale di trasmissione di questi pazienti asintomatici è importante per guidare lo sviluppo di misure di controllo della pandemia in corso.
Il terzo studio a cui faccio riferimento è una pubblicazione accademica che confronta i dati raccolti tra i pazienti compresi tra 1 e 10 anni "normalizzandoli" con i dati raccolti tra gli adulti. Perché ci sono pochi dati sui bambini? Sia perché le scuole hanno chiuso presto, sia perché i bambini arrivati in ospedale erano pochi. E corretto confrontare l'infettività dell'adulto con quella del bambino? Essendo bambini e adulti sono soggetti molto differenti tra loro una domanda complessa. Un esempio: tossendo i bambini emettono un volume di aria molto inferiore rispetto ad un adulto. E ancora un bambino solitamente fa molta attività fisica (o molta più attività rispetto ad un adulto) ed è solitamente incapace di mantenere il distanziamento sociale. Per cui vale la pena confrontare l'infettività dei due diversi gruppi presi in esame: adulto-bambino? Il quesito fa emergere la complessità di fare una ricerca e ricavare dei dati in questa fase. Lo studio infatti sprona a proseguire nella raccolta di più dati per irrobustire la statistica e avere così dati più stabili. Ciò detto arriva comunque a delle conclusioni: osserva che i bambini possono infettare come gli adulti, e invita particolare cautela nelle riapertura indiscriminata di scuole e nidi nell'attuale situazione, considerando i bambini come una popolazione fortemente sensibile e sottolineando la necessità di mantenere il tasso di trasmissione del virus basso.
Le dichiarazioni della Ministra Azzolina
L'ipotesi con cui ci dobbiamo confrontarci oggi per una possibile riapertura dei servizi 06 è aprire un luogo di accoglienza prevalentemente all'aperto, (non solo nei giardini nidi e scuole d'infanzia), con personale educativo (non è detto quello di riferimento) a piccoli gruppi di bambini tre-sei.
Sull'ipotesi si dovrà pronunciare il comitato tecnico scientifico e sanitario. Seguendo i tre studi che fino ad oggi, in nessun caso (nemmeno nel caso dello studio di Vo tante volte citato da chi vorrebbe riaprire subito) i bambini non sono risultati immuni al contagio e anzi, come si evince dagli studi riportati, potenzialmente sono buoni "trasmettitori" del virus, essendo asintomatici o con lievi sintomi. Questo del resto rimane vero sempre, anche per tanti altri virus e in qualunque contesto si pensi di accogliere i bambini.
Insomma per quello che sappiamo fino ad ora e per la nostra capacità attuale di gestire il covid-19 i bambini sono la fascia più delicata da gestire, non tanto perché si ammalino gravemente (per fortuna!) ma per l'asintomaticità e l'incapacità di mantenere le distanze.
La socialità e la cura dei bambini
In uno scenario tanto complesso e difficile è possibile credere che nidi e scuole riaperte possono offrire sicurezza rispetto al contagio?
Il buon senso mi dice di, no, così come lo studio di Berlino raccomanda prudenza per la riapertura. Ma lasciamo la risposta a chi di dovere, quindi al comitato tecnico. Quello che la comunità educativa dovrebbe chiedersi è: dei luoghi per bambini progettati in questo modo sono luoghi di accoglienza? La mia personale risposta è ancora, no, non lo sono. Dovendo mantenere la distanza, dovendo usare la mascherina, dovendosi ritrovare (forse spesso) in luoghi sconosciuti, con persone sconosciute, senza poter essere accompagnati dai genitori, non si può garantisce accoglienza ai bambini. E se come in tanti (anche tra gli esperti) ci raccontano come le nuove generazioni, saranno traumatizzate dal look-down, dovremmo ragionare anche su un possibile trauma, post look-down, per la frequentazione di luoghi così progettati senza la possibilità di un sorriso o una carezza.