A tu per tu con la fragilità

 
Ritratto Anna Maria Mossi Giordano BolognNidi



Partecipare per crescere  

Nei miei ricordi sensibili, riaffiora il viso di Svetlana, una ragazza ucraina di diciannove anni, esile e magrissima, con due occhi immensi dentro un volto pallido e precocemente segnato. Arrivò al nido con la sua piccola Angelina, mentre avanzava nel corridoio, il suo passo era incerto, con le spalle curve, schiacciata dalle preoccupazioni. In braccio, stretta al corpo, la sua creatura, quasi a proteggerla dai tanti eventi avversi già patiti.

Angelina, una bambina di otto mesi, infinitamente tenera, ma con uno sguardo malinconico, a tratti rassegnato, come quello della sua giovane mamma.
Parlava poco Svetlana e sottovoce, con un italiano incerto, ascoltandola, percepivo l’insicurezza e il timore di non farcela a garantire una vita dignitosa alla sua bambina. Vivevano entrambe in una casa famiglia che poteva ospitarle solo per qualche mese, in questo tempo concesso Svetlana doveva trovare un lavoro e una casa…un’impresa quasi ardua, in una città problematica come Roma.

Ci sono vite che fin da subito esprimono sofferenza, i tunnel bui attraversati, i tanti “no” ricevuti.

In quello sguardo disorientato, si nascondeva la sua timida e dignitosa richiesta di aiuto. Cosi ci prendemmo carico di queste due anime sole e fragili, perché il nido oltre ad accogliere, deve fare spazio, provare ad includere ogni storia di vita, con le sue problematicità. La solidarietà non può essere solo un’enunciazione di principi, bisogna praticarla, rendendola azione tangibile e coerente. 
 
Chi attraversa sentieri scoscesi e pieni di ostacoli, ha la necessità di trovare risposte concrete e credibili. Angelina dopo qualche settimana di accoglienza era serena, i suoi occhi cambiarono espressione: brillavano come il suo sorriso. Cresceva Angelina, in questo nuovo ambiente, al sicuro, con una speranza in più per lei e la sua mamma. Il legame tra noi era forte e fiducioso, sicuramente in questa triade relazionale eravamo andate oltre.

Mi veniva spontaneo aiutare Svetlana e la sua bambina, accompagnarle in casa famiglia se il tempo era brutto, procurarle dei vestiti, avere uno sguardo in più per questa giovane donna in difficoltà. Tutto il gruppo educativo si era attivato per rendere concreto il nostro pensiero di solidarietà. Nulla di eroico, solo la consapevolezza della nostra delicata ed importante professione.
Qualcuno disse che stavamo andando oltre le nostre competenze di educatrici, ancora oggi mi chiedo se esista un limite al sentimento solidale, io non credo! Quando metti le mani in pasta, dentro situazioni fragili che raschiano l’anima, ti rendi conto che la possibilità di riemergere dipende in parte, dalle tue azioni e dalle scelte della comunità educante.

Un probabile futuro migliore è sempre figlio di decisioni e comportamenti del presente.

Come si può mettere un paletto? O distanza emotiva? Almeno ci devi provare con le risorse che hai. Questo si dovrebbe fare: ” accogliere, sostenere, accompagnare, fino all’uscita dal tunnel, un lavoro di squadra e di rete, in sinergia”. 
Purtroppo la realtà, nonostante il nostro aiuto, si presentò più dura e spietata. Svetlana incontrò tante altre difficoltà, per una porta che si apriva, altre dieci si chiudevano sulla sua faccia. Una corsa contro il tempo: “ quello burocratico, quello disumano, un affanno continuo, fino a toglierle il respiro e la speranza. Dopo tante delusioni Svetlana gettò la spugna.

Se ne andò con il suo ex, un tipo losco uscito dalla galera, chissà dove la condusse, in quale altroinferno! La dolce Angelina, la riportò in Ucraina, per lasciarla dalla sua famiglia, dalla quale era fuggita. Suo padre era alcolizzato e picchiava la madre.

Mi telefonò prima di sparire, per ringraziarmi…provai un grande dispiacere e senso d’impotenza, provai a trattenerla, dicendole che avrei potuto prendere in affidamento Angelina, per darle il tempo di trovare lavoro e una casa…Mi disse: ci penso, ti faccio sapere, la sua voce al telefono diventò sempre più flebile, fino quasi a scomparire.

Chiamai la casa famiglia qualche giorno più tardi. Una delle operatrici frettolosamente rispose: ”mi spiace Svetlana è andata via arrivederci”. Non ho più saputo di loro, non le ho mai dimenticate. Svetlana e Angelina due anime erranti, come tante altre nel mondo, nate con un destino già segnato, ma non può essere una colpa e una condanna a un dolore e ad un’ingiustizia senza fine.


Anna Maria Mossi Giordano