Partecipare per crescere
Roma: a cavallo tra le due giunte, quella di Valter Veltroni e successivamente di Gianni Alemanno.
In questo passaggio politico delicato, facemmo appena in tempo a realizzare un progetto ambizioso d’inclusione delle varie culture presenti nel territorio, l’Assessora alle politiche educative era Maria Coscia donna di grande spessore, preparazione e sensibilità, scomparsa recentemente.
Con l’ufficio psicopedagogico del nostro Municipio e con il "punto interculturale” realtà molto attiva e propositiva ci incontrammo in numerose riunioni di lavoro per mettere a punto un opuscolo per i Nidi e Scuole dell’Infanzia. Si trattava di un breve testo illustrato tradotto in cinque lingue: inglese, rumeno, filippino, spagnolo, francese e italiano, pensato per favorire l’ambientamento dei bambini provenienti da nazioni e culture diverse.
Educare , comunicare, conoscere
L’intenzione educativa era quella di facilitare la comunicazione e la conoscenza tra educatrici, bambini e famiglie avvalendoci di parole, accoglienti e calde in lingua madre. La sfida più interessante fu quella di individuare frasi ricorrenti durante l’ambientamento dei bambini, intercettando quei dialoghi di affettuosa presenza, sostegno e rassicurazione.
Una ricerca appassionata di quel “Linguaggio delle emozioni” così importante e delicato sul quale era doveroso soffermarci, non per codificarlo in un qualcosa di asettico, ma al contrario restituire nuova visibilità e importanza a quelle “parole scelte” nella relazione iniziale e in tutto il percorso di conoscenza tra le figure di riferimento che avrebbero preso in carico il bambino/a e le famiglie straniere.
Per la prima volta i gruppi educativi e le maestre/i avevano a disposizione un “supporto cartaceo e audio” dedicato e creato con la collaborazione gratuita di tanti volontari e mediatori culturali che con entusiasmo e responsabilità si presero l’onere e l’impegno di tradurre nella loro lingua madre le nostre frasi preziose.
Ritenemmo che quelle espressioni, quel lessico declinato in azioni coerenti e affettuose, dovessero essere tradotte anche in altre lingue.
Eravamo consapevoli che all’interno della triade comunicativa si stabilisse fin da subito, una particolare modalità di “avvicinamento” che avrebbe consolidato passo dopo passo, quella fiducia indispensabile affinché l’esperienza al nido fosse positiva per il bambino/a e per tutto il nucleo familiare.
L’opuscolo era accompagnato da un CD con la pronuncia esatta delle frasi che il gruppo educativo aveva individuato, parole esplicitate durante le diverse routine al nido e l’ambientamento.
Uno stimolo all'inclusione
Questo progetto diede una stimolo inclusivo di grande valore educativo, le famiglie straniere si sentirono più accolte, ascoltate, tenute in considerazione. In certi momenti erano le mamme o i papà o altri membri del nucleo familiare ad aiutarci a esprimerci correttamente nella loro lingua. Il clima che si creava intorno ai nostri tentativi, a volte maldestri e buffi, era ironico e comprensivo verso i nostri “sforzi comunicativi” avvicinando di fatto i nostri mondi diversi, su un piano di consapevole leggerezza e curiosità verso le differenti storie tutte da raccontare, scoprire e condividere. Una strategia educativa efficace per un motivo semplice: l’autenticità delle finalità da perseguire, rivolte alla solidarietà, all’accoglienza, all’integrazione, alla reciprocità circolare.
Il “ linguaggio delle emozioni” era solo un veicolo per accorciare le distanze, non tanto per le parole tradotte (seppur utili in alcuni momenti) ma soprattutto per la valenza educativa e affettiva che sosteneva tutto il nostro pensiero pedagogico.
Da questo primo passo progettuale d’integrazione, seguirono altre importanti iniziative che videro coinvolte le famiglie straniere e italiane, affinché all’interno di incontri organizzati, si potessero raccontare le diverse esperienze di cura.
Ci rendemmo conto, nel tempo di quante pratiche familiari e peculiari di ogni cultura, fossero da condividere e scambiare. Saperi antichi tramandati da generazioni. Una mamma indiana insegnò a fare i massaggi con l’olio agli altri genitori presenti, com’era solita fare con il suo bambino. In questo scambio diretto, umano molti pregiudizi si sciolsero di fronte alle storie vere, agli sguardi commossi, alle emozioni condivise.
Molti di questi incontri terminavano con un convivio: tavole imbandite di cibo multicolore, tanti sapori a rappresentare il proprio vissuto, la propria terra (oggi sarebbe impensabile ahimè!). Rammento quel periodo con nostalgia, il fermento solidale e di volontà di scambio e partecipazione era molto presente e appassionato.
Legami importanti mantenuti nel tempo.
Questa esperienza ci insegnò che era possibile vivere la nostra “isola di pace” perché stavamo semplicemente praticando il nostro pensiero pedagogico che considerava la diversità culturale e di provenienza solo come un immenso valore aggiunto.
Perché lo è, sempre e comunque. Forse lo stiamo dimenticando! L’errore imperdonabile di questa nostra epoca sempre più diffidente. L’orrore più inaccettabile di ogni nazionalismo radicale.
Anna Maria Mossi Giordano