Come raccontare di guerra e di pace nei nidi e nelle scuole d'infanzia? Parola a Daniele Novara


 

Parola a...
 
Oggi incontro il noto pedagogista Daniele Novara per parlare di guerra, di pace e di conflitto. In un momento in cui la guerra è entrata nelle nostre vite, nei nidi e a scuola, si parla quasi esclusivamente di pace. Incontro il fondatore del centro psico pedagogico (CPP) e l'ideatore del metodo maieutico per la gestione dei conflitti per capire come si può affrontare l'argomento "guerra" con i bambini tanto piccoli e se sia opportuno farlo.


C'è la guerra ma l'impressione è che nei nidi e nelle scuole si parli solo di pace. Secondo lei è corretto?
 
Per fortuna si parla di pace e non di guerra! La guerra significa uccidere le persone, uccidere tante più persone, in meno tempo possibile. E questo non è un argomento adatto ai bambini. Si finirebbe solo per creare loro dei traumi. Sarebbe come fargli vedere un film dell'orrore. Per cui faccio i miei complimenti alle educatrici e alla maestre che non parlano di guerra ai bambini. 
 
Molte educatrici e/o maestra ci scrivono che non si sentono preparate ad affrontare la questione. Che suggerimenti può dare a queste professioniste dell'educazione?
 
Facciamo un passo indietro: i bambini di pochi mesi e fino sei ai anni sono "acerbi". Non hanno sviluppato ancora un sistema razionale, come quello di un adulto, a questa età basano la loro conoscenza su un sistema sensoriale e motorio. Hanno un pensiero concreto, magico. Verso i tre anni le cose cambiano e iniziano a sviluppare un senso morale. Che sia chiaro è un senso morale molto elementare, quindi dividono il buono, dal cattivo, il brutto, dal bello, il giusto, dallo sbagliato. Soltanto verso i cinque anni iniziano a comprendere l'irreparabilità della morte. Per cui come potremmo parlare ai bambini di quell'età di guerra? Semplicemente non hanno gli strumenti per capire. Possiamo invece, come già detto, parlare di pace, inventare delle filastrocche, leggere delle poesie, fare elaborati, disegni...

Che differenza c'è tra conflitto e guerra? E come spiegarla ad un bambino?

Sono due cose molto diverse e purtroppo su questo punto si sta facendo molta confusione e si tende a sovrapporre i concetti. Il bambino capisce ed ha esperienza diretta del conflitto. Conosce la logica del "è mio!". Cerca di prendere di strappare quel che "è suo!" Sa per esperienza cosa significa desiderare la stessa cosa che desidera l'altro. Quando c'è un interesse comune, quando c'è una relazione tra due o più soggetti, si litiga. Si litiga con l'amico, con il compagno, con chi si conosce. La guerra invece si fa per distruggere il nemico. Guerra e conflitto non sono sinonimi! Sono due concetti distinti e separati. Non si possono fare sovrapposizioni che avrebbero il solo effetto di colpevolizzare i bambini. I bambini litigano, i bambini non fanno la guerra, loro non vogliono distruggere il compagno o l'amico.   
 
Quindi possiamo dire che imparare a litigare bene aiuta a non fare la guerra?
 
Esatto. Chi sa litigare, chi sa confrontarsi, non fa la guerra. Il violento è chi non è in grado di gestire il conflitto, è il fragile che si nasconde dietro al spavalderia, è chi non regge la contrarietà. Da anni con il Centro psico pedagogico portiamo nei nidi, nelle scuole e in diversi contesti, non solo in Italia, corsi e seminari per diffondere il metodo maieutico per imparare a stare nel conflitto in modo sano e imparare a non colpevolizzare i bambini quando litigano. 

C'è stato il covid e fuori dalle finestre sono comparse scritte "Andrà tutto bene" Ora c'è la guerra e si parla di pace... Non crede ci sia un'eccessiva edulcorazione?
   
Nessuna edulcorazione! I bambini sono bambini, loro vogliono giocare, hanno bisogno di giocare e crescere in un ambiente che gli consenta di fare l'esperienza del gioco.  
 
Eppure i bambini sono in continuo contatto con le informazioni sulla guerra: attraverso i media, la tv, le conversazioni....Ora c'è la guerra, ma anche su altri temi, ad esempio il sesso, abbiamo difficoltà a raccontare...
 
Semplicemente non si dovrebbero esporre i bambini a questo tipo di informazioni,  ma su questo punto non posso che darle ragione. Purtroppo anche i genitori sono lasciati molto soli nel loro ruolo educativo, un ruolo indubbiamente molto complesso. Ma il discorso è molto più ampio. Viviamo in un paese dove la scuola non è gestita da pedagogisti, ma da economisti, che tentano sempre di risparmiare e, tra parentesi, spesso non riescono nemmeno a far quadrare bene i conti... La pedagogia potrebbe potenzialmente fare moltissimo, ma la pedagogia non abita a scuola. A scuola non ci sono pedagogisti se non in Emilia-Romagna nei nidi e nelle scuole d'infanzia, altrove non c'è questa figura professionale. E del resto tutt'oggi non abbiamo  un albo professionale che inquadri la nostra  professione. Il pedagogista difficilmente è interpellato da chi gestisce la scuola, da chi è al governi. Il nostro sapere, la nostra scienza, arreca semplicemente fastidio. Queste domande però non dovrebbe rivolgerle a me, ma a chi gestisce  a chi è al governo. Io posso limitarmi a darle risposte scientifiche che spero comunque possano essere un buono stimolo.   
 
Laura Branca