Parola a...
Giulia Mitrugno ha una voce gentile e pacata. Lei, giovane donna di 37 anni, consulente di comunicazione ha origini sparse in tutt’Italia: tra il profondo nord e il profondo sud.
E forse anche per queste origini, fatte di distanze e diversità, che da sempre è appassionata di storia, o meglio, è appassionata di storie nella storia. Da alcuni mesi ci sta raccontando, attraverso i podcast “Insieme. I luoghi della cultura popolare”, le storie di alcune case del popolo, case che hanno animato la vita culturale e sociale del nostro paese. Oggi la incontro per parlare di un’avventura davvero speciale, fatta da donne, in cui i protagonisti sono bambine e bambini. Una storia, come ci capita spesso di narrare nel nostro blog, in cui l’educazione (e la cura) diventano politica. Mitrugno, in occasione dell’otto marzo, ci racconta i Treni dei bambini.
Cosa erano i treni dei bambini?
Tra il 1946 e il 1952 sono stati organizzati dei treni che trasportavano i bambini più poveri, circa 70mila, da luoghi particolarmente devastati dalla guerra, da situazioni particolarmente difficili, verso case sicure. Case dove c’era una famiglia ad accoglierli, del cibo, delle cure e la possibilità di frequentare la scuola.
Da dove arrivavano e dove erano diretti questi treni?
In prevalenza dal sud verso il nord, ma non solo, anche dalle città verso le campagne. Molti treni, ad esempio, sono partiti da Cassino una città che è stata completamente distrutta. La situazione era davvero drammatica, c’erano anche molti orfani che vivevano in strada e si arrangiavano come potevano. Questa sorta di “vacanza” consentiva ai piccoli di riprendete una vita stabile e sicura.
Chi avviò il primo treno?
Fu Teresa Noce esponente del Pci e madre costituente. Nel 1945 organizzò il primo treno, che dai quartieri più poveri di Milano, partiva per portare i bimbi in alcune famiglie della campagna emiliana.
Come prosegue questa operazione?
Durante un congresso del Pci si discute di questa esperienza che è immediatamente sposata dall’Unione delle donne Italiane (UDI). Il segretario del Partito, Palmiro Togliatti, pone l’accento sul mezzogiorno che aveva subito le maggiori devastazioni.
I treni dei bambini sono un “prodotto” del Pci?
Si, hanno una forte connotazione politica ma parteciparono all’organizzazione anche tante associazioni oltre a soggetti privati.
Come funzionava per i bambini?
I bambini venivano accolti nelle case delle famiglie che davano disponibilità. Potevano sostare diversi mesi o anche per alcuni anni. Le “visite” potevano anche ripetersi più volte, sempre nella stessa famiglia. Nel tempo si sono creati rapporti duraturi e solidi che si sono consolidati anche dopo l’emergenza. Ciò detto, è innegabile che ci sono state anche tante difficoltà…
Ad esempio quali?
La principale era la difficoltà linguistica. Bambini del sud che parlavano a stento l’italiano, venivano accolti da famiglie del nord che parlavano solo il dialetto. C’era difficoltà a comprendersi anche per le cose più semplici. Ma come sempre, quando c’è la volontà di comunicare, si superano anche queste difficoltà.
I bambini arrivano con i treni, scendevano e poi...
I bambini erano scortati da adulti, spesso donne, che li seguivano nel viaggio. Una volta arrivati a destinazione sostavano in paese alcuni giorni per vigilare che tutto andasse bene. Inizialmente però ci furono parecchie resistenze.
Resistenze di che tipo?
Di tipo culturale, direi. Il fatto che i treni fossero organizzati dai comunisti non rassicurava affatto.
Perché?
Perché la bufala, oggi si direbbe così, che i comunisti mangiavano i bambini, era ben presente nell’immaginario collettivo e c’erano anche prelati che scoraggiavano questa pratica.
Come è stata superata questa paura?
I primi ad affidare i bambini ai treni della felicità furono i militanti comunisti, lo fecero per creare fiducia.
Cosa l’ha colpita maggiormente di questa vicenda?
Da una parte le storie personali. Alcune sono storie divertenti, che ci raccontano un mondo che non c’è più. Dall’altra parte mi ha colpita la capacità organizzativa. Si tratta di un’operazione di gigantesche proporzioni organizzata in un paese semi distrutto.
Oggi sarebbe possibile un’operazione di questo tipo?
I treni della felicità sopravvivono. Questa esperienza non si è esaurita, ha avuto un seguito, ad esempio, con l’accoglienza riservata ai bambini in seguito allo scoppio della centrale nucleare di Černobyl'. Proprio in questi giorni il comune di Bologna, che aveva organizzato un’accoglienza massiccia, sta aprendo di nuovo quel canale di accoglienza per i profughi Ucraini. Con tante differenze lo spirito di solidarietà è rimasto ancora nell’attualità.
Infine questa è l’ultima puntata di Insieme. Ci saranno nuovi podcast?
Si, ci sarà sicuramente una seconda stagione a cui sto lavorando e che prevedo sarà online all’inizio del 2023.
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