Non ho figli...




Partecipare per crescere

Arrivo subito al punto: sono una educatrice (ora in pensione) senza figli! Non desidero chiarirne i motivi, non ha poi molta importanza, se sia stata una scelta o una impossibilità. Tutto quello che ho vissuto prescinde da questo. 

I pregiudizi 

La nostra cultura è ancora pregna di pregiudizio nei confronti di una donna senza figli. Vieni percepita come "mancante" incompleta, inadeguata. 

Si sprecano i tanti: "tu non puoi capire perché non hai figli, oppure  beata te che sei libera, tu non hai problemi, sapessi le responsabilità!"
Ricordo fra tutte una frase pronunciata da un pedagogista, anche lei senza prole, che disse: "certo, non avere figli è come essere degli alberi secchi, senza frutti e foglie."  


Un episodio di molti anni fa, ma non era medioevo...  

Rimasi interdetta, quasi incapace di proferire parola. In realtà ingoiai il rospo, che si annido' preciso tra lo stomaco e l'anima,  una lama tagliente a ricordarmi che non avrei avuto vita facile. Era già iniziato il mio cammino nella diversità: "io,  una donna,  per giunta educatrice e senza figli!" Una rappresentante "stonata" all'interno di una comunità educativa capitanata perlopiù da donne educatrici mamme a confronto con altre mamme. Ho sempre pensato che l'esperienza della maternità sia unica, un percorso intenso, emozionante, senza dubbio, ma non per questo diventare madre dovrebbe  elevarci ad un rango superiore. 

Essere madre

Diventare genitore è una delle tante esperienze della vita, chi non l'ha attraversata magari ha esperito su altri fronti, esplorando altri linguaggi, altre conoscenze. Ogni vissuto è degno di attenzione e rispetto, esistono mille modi per creare e generare.
Procreare non può incensare una persona  dandole di diritto maggiore dignità e riconoscimento. 

Non maternità come scelta...

Poniamo avessi scelto di non avere figli, gli sguardi e spesso le parole sarebbero state  giudicanti, interrogative, la cultura dominante non concepisce un pensiero di questo tipo, non lo tollera, in qualche modo tende a farti sentire in colpa,  perché la vita viene declinata in obiettivi da raggiungere come se fossero trofei da esibire... 

E così ognuno si sente in diritto di giudicare l'altro sulla base della sua personale scala valoriale, poche sono le persone capaci di accogliere senza pregiudizio, con autentica apertura verso una narrazione diversa,  degna di essere non solo ascoltata ma accolta nella sua specificità e valore aggiunto.  

Non maternità, non scelta

L'altra ipotesi che voglio mettere in luce è quella di non aver avuto figli,  come tantissime donne, ad esempio  per una impossibilità, una malattia, in questo caso l'atteggiamento diventa vestito di compassione, gli sguardi si accendono di comprensione melensa, a tratti stucchevole, in quel "poverina" mi dispiace, indosserai per sempre le stigmate della sfigata alla quale è toccata la malasorte. Fermo restando il dolore che si attraversa nell'affrontare una malattia che ti costringe (ad esempio) a sottoporti ad una isterectomia, l'atteggiamento sociale così descritto è come se ci infligesse la seconda lama, quella di cui non hai bisogno, perché ancora una volta il meta linguaggio è che non potrai avere una vita soddisfacente, perché non potrai mai accedere secondo il pensiero corrente a quella felicità unica  che avresti vissuto nel diventare madre. Ora, non sto certo affermando che la maternità non sia una esperienza arricchente, un percorso pieno di meraviglia, di scoperte quotidiane e spesso di  felicità. 

L'equazione della maternità 

Quello che voglio cercare di dire è qualcosa di diverso, dentro questa equazione madre=realizzazione sociale, si racchiude il simbolo di una cultura dominante dove si annida una discriminazione profonda che facilmente si nasconde dietro a tante maschere di circostanza. Dalla mia diretta esperienza, nonostante io fossi un'educatrice senza figli, comprendevo  le difficoltà organizzative ed emotive  delle mamme o il loro  desiderio di prendersi degli spazi personali, mi sono allenata costantemente tra prove ed errori a sospendere il giudizio, non fosse altro perché conoscevo direttamente quanto fosse ingiusto emettere sentenze facili sulla vita altrui. Al contrario molte colleghe loro stesse genitrici non mostravano empatia! Molteplici le volte che ho dovuto discutere sulla questione dei ritardi, trovavo veramente disdicevole l'atteggiamento da "questurino" di alcune educatrici, pronte a sferrare l'attacco, a redarguire per cinque minuti di ritardo. Non l'ho mai capito, se non in quell'esercizio di potere che ragiona a compartimento stagno. Ogni volta mi chiedevo come fosse possibile che proprio queste "educatrici mamme" non comprendessero le ragioni plausibili di un ritardo, di chi viveva la stessa identica esperienza. 

Anche lì accadde qualcosa di spiacevole, in una formazione stavamo affrontando questo discorso dei ritardi a scuola che per molte educatrici era qualcosa di inaccettabile. In quella sede cercavo di esporre la mia opinione in merito facendo presente che per me ed il gruppo con il quale lavoravo (fortunatamente) non era mai stato un problema, anzi cercavamo  di accogliere le  altre esigenze. 

Anche in questo caso fui aggredita verbalmente: "tu parli così perché non hai figli..." Le loro equazioni semplificate in buona sostanza furono  queste " non hai figli= non hai problemi= non puoi capire= sei una buonista=sei lontana dalla realtà.

Tutto fu svilito, ridotto a quel " distintivo " di genitrice che non potevo esibire, vantare. Quella volta il rospo non l'ho ingoiato dopo aver fatto presente quanto fosse stato sgradevole e maleducato da parte loro affrontare un tema così delicato con quella aggressività e supponenza, decisi di andarmene. La volta successiva riprendemmo il discorso  e ricevetti delle scuse formali e dopo la discussione diventò più interessante, qualche tabù iniziava ad essere affrontato. 
 

La complessità della realtà

Siamo ancora molto lontani da una cultura del rispetto, al contrario ognuno difende la propria, come verità assoluta. Invece di ragionare in termini di complessità, il campo viene ristretto, amputato nei passaggi importanti, come se la vita  fosse in bianco o nero e non di mille sfumature cromatiche che fa comodo non  vedere e considerare. 
Così accade che ci sentiamo obbligati a schierarci continuamente, perché vogliamo ottenere tutto e subito, imponendo di fatto un pensiero unico. 

La complessità sparisce, sostituita dalla bulimia consumistica del raggiungimento di ogni desiderio, un desiderio spesso svuotato e diventa "trofeo" da esibire.  

Si cerca in realtà uno status sociale che dia la garanzia di avere una identità  apprezzata e riconosciuta, diventare madri a volte fa parte (senza generalizzare) di questo ragionamento.  

L'evoluzione del desiderio immediato

Tante le domande ancora senza risposta, tanti i cambiamenti apparentemente evolutivi  che sento al contrario,  pieni di insidie profonde.
L'unica "evoluzione" che avverto è quella del soddisfacimento immediato,  dare tempo e darsi tempo non è contemplato, è tutto su un piano di "questo si e questo no", non vogliamo considerare l'errore, il probabile fallimento, la diversità, i cambiamenti.  

Siamo dentro una continua dicotomia schizofrenica.
Una corsa frenetica che  impedisce di fatto di incontrare la vera bellezza, il divenire che muta, sorprende, incanta, nel suo processo naturale, che non è fatto di forzature continue ma segue l'andamento lento ed imprevedibile di ogni esperienza che merita respiro, rispetto ed elaborazione. 

Un marchio

La vita si è dipanata così per me e per tante altre donne che non hanno avuto figli.
Non avere  figli, ancora è un marchio distintivo, che evoca una indagine, una ricerca del perché, una possibile assoluzione dal " peccato" commesso, una conquista affatto scontata, per rimediare l'assenza di prole, di una identità plausibile, interessante, alternativa. Non è sufficiente essere ciò che si è, "non essere  madre" ti espone comunque la si voglia mettere ad una lente di ingrandimento, in poche parole ti devi "guadagnare" il tuo posto nel mondo! Non è un argomento sufficientemente affrontato, dichiarato, tanti i non detti, quasi un timore reverenziale verso un approfondimento che potrebbe scoperchiare tanti altarini ormai traballanti!
Una cosa è certa, il mio bilancio personale rimane positivo, in questi attraversamenti tra salite e discese, non rinnego nulla, tutto ha contribuito a farmi crescere come umano essere femminile, tante le restituzioni di stima e affetto ricevute e donate. Amo stare in questo viaggio, dove molto possiamo migliorare, migliorandoci! Non esistono scorciatoie, solo entrando nella foresta puoi scoprire il buio e la luce.
Non ho figli, un dato di fatto che mi ha insegnato una cosa fondamentale: in quella particella di negazione, ho capito che  nessuno può essere posseduto. L'amore si estende fin dove vogliamo farlo arrivare. 


Anna Maria Mossi Giordano