L’eterno dilemma delle mamme che lavorano


Crescere in città  

Caroline, non ti piacerebbe avere un lavoro?”, chiese Shirley.

Oh, questo è un desiderio che mi prende almeno cinquanta volte al giorno! Spesso mi domando cosa mai sia venuta a fare al mondo. Io vorrei qualcosa che mi assorbisse interamente, che mi tenesse occupati il cervello e le mani, che mi prendesse i pensieri".

Il lavoro, da solo, può rendere felici?”

No, ma può darci una varietà di preoccupazioni che ci preservano dal rischio di essere preda di un’unica tortura tirannica. Inoltre il lavoro, se riesce bene, può dare delle soddisfazioni, mentre una vita vuota, solitaria, senza scopo… soddisfazioni non ne dà certamente”

Però dicono che un lavoro faticoso, o anche una professione colta, privano la donna di una parte della sua femminilità, la rendono dura, mascolina.”

(“Shirley” di Charlotte Bronte, trad. Fedora Dei)

Questo dialogo tra le due ragazze di primo Ottocento immaginate dalla penna potente di Charlotte Bronte introduce il tema di questo mese di maggio, che inizia con la Festa del Lavoro e dopo una settimana festeggia le mamme: la maternità e il lavoro.

È un tema a cui sono particolarmente sensibile, so già che mi infervorerò troppo scrivendo e che sarò molto poco obiettiva.. Il nostro direttore e il lettore mi scuseranno.

Caroline desidera un lavoro vero, che, come gli uomini, la realizzi e che vada oltre i lavori di cucina e ricamo riservati alle donne: un lavoro che tenga occupati il cervello e le mani, che prenda i pensieri.

Oggi, almeno nella nostra parte del mondo, le donne hanno pari diritto di studiare e lavorare, tuttavia in tema di occupazione femminile restano tante contraddizioni e nodi da sciogliere e la vera parità di genere è ancora lontana.

E quando la donna che lavora è una mamma?

La maternità segna una cesura nella vita di ogni donna, anche nel lavoro. C’è un prima e c’è un dopo. Nel mio prima c’erano orari flessibili, trasferte di lavoro, tempi dilatati, grandi aspettative, ferie fuori stagione. Nel mio dopo ci sono orari a incastro con nidi e scuole, un part-time all’80%, tante malattie dei bambini il lunedì mattina, tante battute acide del mio ex capo, tanti rospi ingoiati, e ferie in agosto perché scuole e centri estivi sono chiusi.

Nella mia vita di mamma lavoratrice mi sono spesso sentita dilaniata tra lavoro e famiglia e ho tanti sensi di colpa. Non mi sento né una buona mamma né una buona lavoratrice, perché se finisco di scrivere la mail prima di uscire dall’ufficio, sono l’ultima mamma che arriva a prendere a scuola la figlia, e rischio le occhiatacce della maestra e il rimprovero tagliente della figlia; se  invece abbandono la riunione “perché devo prendere mia figlia a scuola”, perdo dettagli importanti che inevitabilmente si ripercuotono sul mio lavoro, o devo contare sulla disponibilità dei colleghi che dovranno fare una parte del lavoro che era stato affidato a me.

Potrei continuare: mi sono sentita in colpa per aver affidato i bambini malati alla nonna o alla baby sitter ed essere andata in ufficio, ma ho avuto rimorsi anche per aver rinunciato alla trasferta di lavoro per portare i figli a scuola.

Riprendendo le parole di Shirley: ho sentito tante volte che il lavoro mi privava di una parte della mia femminilità (l’essere mamma), ma, rovesciano il concetto, spesso ho pensato anche che la maternità mi privava di una parte della mia femminilità, ovvero il mio lavoro.

Nè mamma nè lavoratrice, ma entrambe le cose

La verità è che io non mi sento né solo mamma né solo lavoratrice: ho sempre avuto l’ambizione e forse la presunzione di essere entrambe le cose (e anche altro). L’esperienza divina, meravigliosa e totalizzante di diventare mamma non ha eliminato l’aspirazione a far bene il mio lavoro e realizzarmi professionalmente. Il mio cuore è certamente nella famiglia, ma il mio cervello e le mie mani (per citare Caroline) hanno bisogno anche di altro. Mi spingo oltre: io credo che sia il lavoro sia i figli possano beneficiare di una mamma che sappia fare entrambe le cose in maniera serena ed equilibrata (no, non sono io, mamma Costanza serena ed equilibrata purtroppo non è di mia conoscenza). 

Ci sono fior fiore di libri ormai (cito il mio preferito “La maternitàè un master che rende più forti uomini e donne” di Andrea Vitullo e Riccarda Zezza) che evidenziano le grandi capacità che una mamma può offrire sul luogo di lavoro: la flessibilità, l’organizzazione, la responsabilità, la resilienza, l’essere multitasking, la capacità di mediazione, l’autorevolezza…. sono tutte skills che si imparano gestendo le agende famigliari, preparando la cena con il pupo in braccio mentre il fratello ripete la lezione di storia, sedando conflitti e litigi, accogliendo le diversità dei figli, passando notti insonni senza mai recuperare il sonno perduto, ecc. E d’altra parte la mamma ben vestita e magari con un filo di trucco che cerca soddisfazione anche negli impegni lavorativi può essere un valido esempio per i figli che crescono  e cercano il loro posto nel mondo (no, nemmeno mamma Costanza ben vestita e truccata fa parte della mia cerchia di conoscenze).

Nel mio mondo ideale lavoro e famiglia si completano e si controllano: fanno in modo che ognuno abbia il giusto spazio, che il lavoro non diventi una schiavitù o, ancor peggio, un’evasione dai doveri famigliari, ma, allo stesso modo, impediscono che la mamma sia schiacciata dal lavoro di cura dentro le mura di casa. La mamma che lavora, poi, oltre a garantire solidità e indipendenza economica, "costringe” i papà a fare la loro parte, e crea un sano equilibrio nella coppia, dove non ci sono quelli “che sono stati a casa tutto il giorno” e quelli che “sono stanchi perché hanno lavorato tutto il giorno”. (che poi io ai pochi che ancora hanno un dubbio vorrei spiegare che accudire un bambino tutto il giorno stanca almeno tanto quanto lavorare fuori casa tutto il giorno. A me stanca di più).

Se c’è un lato positivo che raccolgo dal Covid è l’averci fatto entrare nelle case dei colleghi, tutti noi abbiamo visto su Zoom o sentito per telefono i figli dei colleghi, che si sono così rivelati più umani; e anche i grandi giornalisti e politici hanno fatto “figuracce” e sono stati interrotti dai figli durante la diretta. Perché tutti siamo impastati di lavoro e famiglia.

Qual è il finale?

Purtroppo il finale non c’è, o almeno io non ci sono ancora arrivata. Ci sono giorni in cui mi sembra che tutto si ricomponga e giorni in cui la bilancia pende prepotentemente da una parte. Giorni in cui invidio le mamme che si possono permettere di non lavorare e giorni in cui vado al lavoro  pensando “finalmente mi riposo”. Giorni in cui vorrei incatenarmi sotto il Ministero delle pari opportunità e giorni in cui concludo che l’equilibrio va trovato da sé, affrontando la quotidianità e operando piccole scelte ogni giorno.

Credo, in fin dei conti, come mamma e come donna, che faccia parte del mio ruolo avereuna varietà di preoccupazioni”, e che proprio questa varietà mi preservidal rischio di essere preda di un’unica tortura tirannica”, e dunque mi renda libera e molto, molto umana

Costanza Marri