Parola a... Lucia Vasta. La scorsa settimana abbiamo chiuso la nostra intervista/lezione con delle domande che l'educatore dovrebbe porsi quotidianamente svolgendo il proprio lavoro. Oggi riprendiamo il filo del ragionamento con la dottoressa Vasta con cui proseguiamo per il secondo e ultimo appuntamento dedicato all'educazione alla gentilezza.
Le domande con cui ci eravamo lasciati erano queste: Che tipo di educazione abbiamo ricevuto? Qual è il nostro bambino ideale? Che tipo di bambino «accettiamo»? Che tipo di comportamento nei bambini mal tolleriamo?Che tipo di comportamento troviamo inaccettabile? Che tipo di genitori non «sopportiamo» proprio?
Queste domande rilanciano NON risposte ma generano nuovi mondi da aprire e scoprire. Il nostro corpo parla e agisce e se non si è formati a dialogare prima di tutto con il nostro bambino interno potrebbe accadere che quel tocco delicato e rispettoso si trasformi in un pretesto di tensione e distacco emotivo con chi ci sta vicino e questo sopratutto lavorando con i bambini non possiamo permettercelo.
Per cui cosa significa parlare di gentilezza?
Parlare di gentilezza non significa essere “educati alle buone maniere" ma innanzi tutto la gentilezza si coniuga con la parola sensibilità, termine che i bambini hanno diritto di sperimentare nel loro quotidiano a contatto con l’educatore. Già C. Jung affermava “Un cuore comprensivo è tutto, è un insegnante, e non può essere mai abbastanza stimato. Si guarda indietro apprezzando gli insegnanti brillanti, ma la gratitudine va a coloro che hanno toccato la nostra sensibilità umana. Il programma di studi è materia prima così tanto necessaria, ma il calore è l’elemento vitale per la pianta che cresce e per l’anima del bambino.”
Sono bellissime parole che riprende anche il Dottor Borgna.
Esattamente
nel suo libro “ La dignità ferita” Borgna definisce in più
passaggi il termine gentilezza e scrive: “La
gentilezza d’animo è mediatrice di conoscenza e di speranza, di
attenzione e di rispetto... La gentilezza è fragile, non costa nulla
e, nondimeno, è continuamente trafitta dall’indifferenza e dalla
noncuranza… Le emozioni dicono quello che avviene in noi, nella
nostra anima.
La gentilezza è una disposizione d’animo che
rientra nella tematica della VITA EMOZIONALE, delle passioni
dell’ANIMA, distinguendosi radicalmente dalla vita
razionale(...)
La gentilezza è un fare e un rifare leggera la
Vita, FERITA continuamente dal l’indifferenza, dalla NONCURANZA e
dall’EGOISMO… La Gentilezza è un PONTE perché ci fa uscire dai
confini del proprio IO, della nostra soggettiva vita e ci fa
PARTECIPARE alla soggettività degli ALTRI, creando INVISIBILI
alleanze ...
Aprendo i cuori ad una diversa speranza , e così a una diversa forma di vita… Non c’è cura, cura dell’anima e cura del corpo, che non sia accompaganta dalla gentilezza è comprensione della finitudine dell’uomo UNA VITA CHE NON CONOSCE GENTILEZZA, DIVIENE INCAPACE di CARITÀ e SPERANZA “
Arrivati a questo punto chiedo: come recuperare, dopo la pandemia, l’isolamento che abbiamo vissuto tutti ed in particolare i bambini e come il nido d’infanzia può essere punto di riferimento e aiuto?”
Seminare e costruire gentilezza, grazie al lavoro faticoso e quotidiano degli educatori che non hanno mai smesso di tessere quel filo di continuità tra loro e le famiglie dei bambini, ha voluto dire fare prevenzione ed educazione emotiva creando quel ponte (riprendo i passaggi di Borgna) che ha permesso di uscire dalla chiusura ricreando nuove tessiture e trame narrative.
A che punto siamo?
Siamo all’inizio di quel ponte, è un punto di partenza e non di arrivo. Il viaggio è ancora lungo e non scontato, ma i bambini hanno bisogno di fidarsi ed affidarsi, di sentire che ci sono ancora adulti che credono in loro e non solo come adulti del domani ma bambini di oggi che vivono presenti nel presente. Ecco, riuscire anche noi come adulti competenti a restare presenti senza fuggire in avanti, senza negare ma filtrando la realtà metabolizzando quanto ci arriva... E penso che questo voglia dire fare prevenzione, e prevenzione significa dare voce e forma alle proprie emozioni, significa fare da specchio ai più piccoli, perché uscire dall’isolamento vuole significare tornare nella socialità, scoprire chi c’è accanto a me e rispettarlo nella sua diversità... anche questo è richiesto agli educatori ed educatrici. Non aggiungo altro. Se non che sarebbe bello nutrirci delle parole sopra citate di Borgna perché possano essere vere e profonde parole di apertura al domani come nuovo viaggio di uscita dalla pandemia. Questi passaggi sono la matrice della formazione di chi si occupa di relazione d’aiuto partendo proprio dai più piccoli…
Un ultima domanda: possiamo sperare in una società gentile?
Siamo noi che ne abbiamo la grande Responsabilità, etica e morale, profondamente vera tanto quanto noi adulti possiamo essere in grado di portare avanti questa grande sfida. Parlo di sfida, perché investire in questa professione e nei bambini per quello che sono oggi non a tutti è dato di comprenderlo… Ma la sfida continua e deve continuare nell’investire vere risorse economiche e politiche a partire dalle radici e fondamenta e non dalle pure facciate… Solo così gli adulti del domani non solo ci ringrazieranno ma soprattutto sapranno essere gentili con sé stessi e gli altri perché non si sono sentiti traditi da noi adulti.
Francesco Princigalli