I ghiacciai, il cambiamento climatico e l'educazione

 

 
Crescere in città

In questa torrida estate, la più calda di sempre, nella quale per la prima volta abbiamo sperimentato la carenza di acqua, mi sono chiesta diverse volte: cosa deve succedere ancora?

La mia generazione è testimone oculare del cambiamento climatico: tutto quello che avevano previsto gli scienziati lo abbiamo visto avverarsi sotto i nostri occhi increduli ma rassegnati: le estati roventi, gli inverni senza neve,  la desertificazione, la siccità, gli eventi climatici estremi,  lo scioglimento dei ghiacciai  anno dopo anno sono diventati realtà.

Mi sono chiesta “cosa deve succedere ancora?”,  quando il 3 luglio un pezzo del ghiacciaio della Marmolada, a causa delle temperature record, è crollato travolgendo e uccidendo 11 persone e portando sulle prime pagine dei giornali quello che gli scienziati continuano a dire da anni: che i ghiacciai si stanno sciogliendo con conseguenze drammatiche per l'ambiente e per l'uomo. 

Un ricordo

E così ho messo a fuoco un ricordo di 30 anni fa (sì, lo so, è il sintomo ineluttabile dell'età avanzata, devo accettarlo). Nel 1992 mi trovavo in vacanza a Ceresole Reale, in quel luogo da favola che è il Parco Nazionale del Gran Paradiso, e partecipai alla conferenza di un glaciologo sul ritiro dei ghiacciai. Per la prima volta mi raccontarono come si formano i ghiacciai e come si monitorano, e sentii parlare di scioglimento dei ghiacci e di innalzamento dei livelli del mare. Scoprii che i ghiacciai, oltre ad essere un preziosissimo serbatoio di acqua, custodiscono la nostra storia, perché ogni strato racconta un inverno passato. Quel glaciologo lanciò un grido di allarme che purtroppo rimase inascoltato: i ghiacciai si ritirano, il manto nevoso che dovrebbe ricoprirli e proteggerli durante la stagione estiva non resiste alle alte temperature, si scioglie e lascia il ghiaccio vivo scoperto, che fonde inesorabilmente, rompendo un equilibrio naturale di millenni, con effetti devastanti sul nostro pianeta, oltre a problemi di sicurezza per la popolazione.

Un incontro

Ebbene,  mi è venuta voglia di rintracciare quel glaciologo per ringraziarlo del suo lavoro e per avermi aperto la mente 30 anni fa. Ho messo insieme i ricordi familiari, ho fatto un po' di ricerche in rete ed il nome che ricorreva più frequentemente era Valerio Bertoglio  un guardiaparco, guida alpina, glaciologo, sky runner, alpinista che da tempo si occupa con passione dei ghiacciai del massiccio del Gran Paradiso, l'unica vetta che raggiunge i 4000 metri interamente italiana. Ho fatto il tentativo di contattarlo e mi ha risposto, da vero montanaro, con poche parole, ma tante informazioni. 

Una lettura

Le pagine che mi ha mandato, ("I ghiacciai del Gran Paradiso" di Valerio Bertoglio, Stefano Cerise, Piero Borre, Raffaella Miravalle, Martino Nicolino, Alberto Rossotto), frutto di un lavoro trentennale di raccolta dati, osservazioni e misurazioni condotte da lui e dai colleghi, trasudano scienza e passione. 

I dati raccolti, che per i non addetti ai lavori come me sono indubbiamente ostici, costituiscono una miniera di informazioni precisa e organizzata sui 57 ghiacciai del Gran Paradiso e sono accompagnati da foto e brevi descrizioni delle lunghe camminate necessarie per condurre le osservazioni, di piccoli aneddoti e delle difficoltà incontrate quando il terreno, la pendenza, le condizioni climatiche, rendono i rilevamenti complicati. Nessun autore indugia mai su lamentele, accuse, ricerca di colpevoli: l’amor di scienza unito alla dignità e alla compostezza della gente di montagna non lo permettono. Ma l'insieme è accompagnato da un velo di tristezza e commozione,  e io immagino ogni anno l'amarezza dei glaciologi nel segnare quei - 10, - 20, - 50, - 180 metri di arretramento del fronte dei vari ghiacciai, un silenzioso,  lento e rispettoso accompagnamento al grande gigante che soffre e che forse sta morendo.

Quello che resta

Quello che resta sono le immagini dei ghiacciai scattate nei vari anni e messe a confronto, che ne testimoniano il ritiro inesorabile e drammatico. 

Quello che resta è la consapevolezza di aver imboccato una strada senza ritorno e di non aver fatto nulla (o quasi nulla) per fermarci. 

Scienziati e ambientalisti continuano a sbatterci in faccia la dolorosa realtà, ma noi siamo ciechi e sordi. La politica locale, nazionale e mondiale, ha miseramente fallito sotto ogni punto di vista, ha cercato il suo tornaconto elettorale riempiendosi la bocca e inchinandosi al denaro e al mantenimento del potere. Ognuno di noi ora ha una borraccia per l’acqua, ma nei supermercati si vendono sempre di più porzioni monouso di alimenti e cosmetici in cui l’imballaggio costa più del contenuto. Abbiamo ristrutturato tutte le facciate d’Italia, ma non abbiamo investito sulle energie rinnovabili (e ora ci chiedono di abbassare i riscaldamenti).

Quello che resta è la consapevolezza che solo i nostri ragazzi ci potranno salvare, ma occorre istruirli, formarli, educarli, sensibilizzarli: facciamoli confrontare con gli scienziati, portiamoli a vedere i ghiacciai, monitoriamo con loro il territorio, formiamo gli insegnanti, gli educatori e i cittadini, senza retropensieri politici, senza aspettare, senza pensare che tanto non cambierà nulla. 

E noi adulti, a cui è stato dato in eredità questo pianeta e che abbiamo il dovere di consegnare alle future generazioni, abbiamo il coraggio di fare scelte alte! E attiviamoci con chi ha la responsabilità di governarci, opponiamoci se un progetto è palesemente non sostenibile, stiamo svegli, informiamoci, confrontiamoci, osserviamo, denunciamo.

Quello che resta è un ringraziamento accorato a chi svolge il suo lavoro con passione e tiene alta l'attenzione, a chi getta i suoi semi con la speranza che germoglino. Un ringraziamento che è rivolto anche a quel glaciologo di 30 anni fa.

 

Costanza Marri