Ascolta. Sulle scale della scuola

 


 

Parola a...

L’ ascolto, punto di partenza di qualsiasi azione educativa, inizia sulle scale e nei cortili delle scuole, in quel momento delicato di passaggio verso una dimensione di comunità. Le scale e i cortili che io conosco, come insegnante di sostegno, sono quelli della scuola media, momento altrettanto delicato di passaggio dall’infanzia verso l’adolescenza.

Credo però che, ancora prima che nei cortili e sulle scale delle scuole, la mia esperienza di insegnante sia iniziata sulla corriera verso Monghidoro e San Giorgio di Piano, i primi paesi dove ho insegnato. “In quel tempo speciale che è prima del lavoro, che è dopo la casa”, io sentivo la necessità di partecipare e di essere parte del viaggio e per farlo mi mettevo in ascolto delle storie che appannavano i finestrini e che si rincorrevano di sedile in sedile, così proprio in quei viaggi ho cominciato ad ascoltare le voci dei territori dove avrei insegnato e a prepararmi all’ascolto necessario a scuola.

Come insegnante di sostegno, mi sono trovata fin dalla mia prima esperienza a riconoscere nell’ascolto il primo passo verso la relazione che veicola la fiducia reciproca e traghetta verso l’apprendimento, anche se non sempre ho saputo concedermi il tempo dell’ascolto.

Tu stai lì e osserva, per un po’ devi osservare, capire la classe, conoscere i ragazzi. Guardali”, queste parole con cui mi ha accolse la mia prima collega e che allora mi sembrarono un ordine severo e un po’ mi offesero, sono quelle che da più di quindici anni mi ripeto ogni volta che entro in una nuova classe e che da allora mi permettono di superare l’urgenza del ruolo a favore dell’incontro.

Nel lavoro educativo non solo occorre mettersi in ascolto, ma occorre anche scoprire in che modo ascoltare l’altro, e questa scoperta è un percorso fatto anche di prove ed errori. Dopo vari tentativi falliti di entrare in relazione con uno studente di terza media, una ragazzo alto e sorridente, con la sindrome di down e senza voce, “lo presi per mano e ricominciammo tutto da capo”, a partire da un gesto semplice, il contatto tra le nostre mani, cominciammo a conoscerci e a costruire fiducia oltre la paura reciproca: sua nei confronti della nuova insegnante e mia nei confronti di tutto ciò che non sapevo. Quel gesto iniziale ci permise di aprire un canale di ascolto e di incontro e di “trovare il nostro posto in classe, un banco, una sedia, come tutti gli altri, accanto agli altri, loro con le chiacchiere nascoste male dei tredici anni e lui con il suo verso a intermittenza”.

Nel libro Sulle scale della scuola, racconto l’osservazione e l’ascolto alla base del mio mestiere, e ho scelto di presentarlo a Bologna il 5 dicembre insieme al romanzo di Valentina Perniciaro Ognuno ride a modo suo. Storia di un bambino irriverente e sbilenco, che racconta le vicende di Sirio, figlio dell’autrice, e di chi ha saputo ascoltarne la voce, quando ancora si credeva che Sirio non avrebbe mai parlato.

La diagnosi di Sirio non sembrava lasciare spazio a dubbi: Sirio non avrebbe parlato, camminato, desiderato, riso.

L’incontro tra questi due libri porta alla luce l’importanza mettersi in ascolto degli “sbilenchi”, lavorare perché trovino spazio di crescita non solo individuale ma anche collettiva, cioè allargare gli spazi sociali oltre i pregiudizi, le barriere e i limiti.


 

Ascolto e attenzione dovrebbero essere presupposto anche del lavoro dei dirigenti scolastici, anche di quelli che non entrano nelle classi ogni mattina, ma che con le loro scelte contribuiscono alla creazione di spazi di apprendimento, educazione e crescita, adeguati alle esigenze specifiche del territorio e di studenti e studentesse. Nel libro Sulle scale della scuola, invece, il dirigente scolastico chiamato ad intervenire in uno scrutinio sceglie per la bocciatura di Sayem, anche se “non lo aveva mai neppure visto, Sayem, e non sapeva nemmeno se il suo nome di scrivesse con la y o con la j.”, e assomiglia al primario, del libro Ognuno ride a modo suo, che “non aveva mai fatto un piano di scale” per andare a vedere quel bambino “parcheggiato in un immaginario ed eterno stato vegetativo”.

Le due donne protagoniste dei libri svelano, nei reciproci ruoli di madre e insegnante, e al tempo stesso oltre i ruoli, l’ascolto possibile di quelli che si fa fatica anche solo ad immaginare studenti, ad immaginare soggetti desideranti, quelli che non sanno leggere, che contano con le dita, che non parlano.

Sull’osservazione di tutti questi “sbilenchi” si fonda il mio mestiere di insegnante di sostegno che contribuisce alla realizzazione della loro partecipazione a situazioni sociali e collettive, come la scuola, dove spesso diventano il motore delle relazioni e dell’ascolto reciproco.


Angela Pesce  

 

Angela Pesce è insegnante di sostegno e genitore. Ha pubblicato Sulla scale della scuola di BoockTribe editore.