Pensieri e parole sulla cura






Crescere in città Quando penso alla parola “cura” declinata nella scuola, la prima immagine che mi viene in mente è il libro di fine anno con le foto e i “lavoretti” che le dade del nido consegnavano ad ogni famiglia: per anni i miei figli hanno sfogliato da soli o in compagnia le pagine in cartoncino con le foto incollate, le decorazioni, le didascalie colorate e i nastri per rilegare. Era il loro scrigno dei ricordi, ritagliato e incollato pazientemente dalle educatrici, che tutti gli anni mi dicevano “non sappiamo se riusciremo a farlo anche l’anno prossimo”. 

La cura è quella scritta che leggevo tutte le mattine nell’orologio a muro: Al nido il tempo scorre a piccoli passi”; io entravo trafelata, toglievo la giacca al figlio con un occhio all’orologio e il pensiero all’ufficio, e ringraziavo in cuor mio le dade che avrebbero rispettato i ritmi dei bambini, il loro diritto ai tempi lenti della cura, dell’attenzione, delle piccole grandi scoperte di ogni giorno.

La cura è quell’attenzione al benessere dei bambini che ho trovato in tanti (ma non in tutti, mi duole ammetterlo) educatori ed insegnanti, è quella frase che mi ha detto il mio maggiore, parlando della sua scuola elementare: “Non riesco a dirti esattamente cosa facevamo ogni giorno, ma mi è rimasta una sensazione positiva che mi accompagna


Quanto vale la cura?

La cura è l’attenzione al dettaglio, è il valore di fare le cose bene e belle, è la passione, l’impegno, la dedizione (“la sensazione positiva”), ma - ahimè- è difficilmente misurabile e quantificabile (“Non riesco a dirti esattamente….”). E’ quindi molto facile che non venga valorizzata. In un mondo governato dall’economia, la cura è spesso considerata un’inutile perdita di tempo: non conta la qualità, ma la quantità, la velocità, l’efficienza, l’abbattimento dei costi. E la cura non è facilmente monetizzabile.

O meglio, la cura è monetizzabile quando viene pagata a caro prezzo. Torniamo alla scuola: se pago rette salate ogni mese, pretendo la cura degli spazi, dei tempi, dell’insegnamento, ecc. Se vado nella scuola pubblica, la cura è un di più lasciato ai singoli insegnanti: è gratis, mica puoi pretendere.


La cura per pochi

La questione diventa ancora più evidente se pensiamo alla cura in senso medico. Mi è capitato ultimamente di stare per diverse ore in un ospedale pubblico e ho potuto osservare la differenza tra le visite del mattino, pubbliche, e le visite del pomeriggio, in libera professione. Stessa struttura, stessi medici: al mattino mamme con il velo stoppate dall’infermiera che con fare sbrigativo invita a pagare alla macchinetta e poi fare l’accettazione e poi aspettare un tempo indefinito. Al pomeriggio primari che chiacchierano amabilmente e accolgono negli ambulatori genitori ben vestiti con figli al seguito.

Un altro esempio? Il cibo. L'alimento sano, biologico, km zero, integrale, slow food e naturale ha un costo tale che è diventato per pochi, per ricchi, per radical chic.

La cura dell’agricoltore o dell’allevatore valgono soltanto se sono pagate dal mercato, non sono un valore intrinseco, tanto è vero che il mercato ha di fatto stritolato il tessuto dei piccoli agricoltori: la loro cura non vale nulla, vale solo il prezzo al chilo, sempre più insostenibile.

La cura è diventata qualcosa di privato, pagato a caro prezzo e preteso da chi se lo può permettere.


La cura come ideale

Io, da inguaribile idealista, credo che la cura sia un valore in sé, sia un vero e proprio bene comune di cui tutti noi abbiamo bisogno. Io credo che la cura vada coltivata e insegnata nelle scuole. Io credo che un mondo che non cura le cose non si prende cura nemmeno delle persone.

E un mondo che non cura le persone o ne cura solo alcune non è il mondo che voglio lasciare in eredità ai miei figli.



Costanza Marri*

*Da piccola si è innamorata della scuola avendo frequentato le scuole d'infanzia comunali a Modena. Da giovane ha fatto formazione negli scout come animatrice. Oggi è madre di Davide, Paolo e Anna. Per anni ha fatto parte del comitato genitori dei nidi di Bologna. Ha partecipato alla fondazione del comitato cittadino 06.