Le fatiche di un formatore

disegno Giulio Reggio

Anche gli uomini...educano Credo che la delicatezza del ruolo di formatore e supervisore richieda di interrogarsi sulla fatica che talvolta percepiamo durante il nostro percorso di lavoro, cercando di capirne le ragioni e coglierne le diverse sfumature; in essa si intrecciano la dimensione emotiva e quella cognitiva.


Che cosa mi affatica?

Mi soffermo su alcuni aspetti sui quali ho riflettuto a lungo nel corso del tempo.

Talvolta mi riesce difficile confrontarmi con idee e pratiche educative che entrano in conflitto con il mio sistema di valori, quando per esempio emergono pregiudizi che riguardano alcune tipologie familiari oppure osservando aspetti della relazione con il bambino assai poco rispettose della sua persona.

Non sono i soli contenuti a colpirmi, ma le modalità con le quali queste idee e queste pratiche vengono espresse e motivate.

In questi casi, prima di esporre con chiarezza il mio pensiero e il mio sentire, pongo una domanda ai miei interlocutori: quali esperienze, quali pensieri ti hanno portato ad assumere questa postura educativa?

Non posso accettare alcune posizioni, ma in tal modo cerco almeno di capire e, con maggiore difficoltà, comprendere la posizione dell’altro, far nascere dei dubbi.

Si rischia altrimenti che venga meno da parte del professionista la disponibilità all’ascolto e alla sospensione del giudizio, la coerenza tra il detto e l’agito, la capacità di operare distinzioni senza cadere in generalizzazioni sterili e fuorvianti.

La seconda fatica

Un altro elemento di criticità riguarda il caso in cui mi rendo conto che il mandato dell’ente committente rispetto al contenuto del percorso formativo – per esempio, lavorare sulla progettazione educativa - risulta distante dai bisogni / desideri del gruppo di lavoro, che mostra talora indifferenza verso la proposta formativa ma non sempre rende esplicito questo pensiero, limitandosi a far emergere appena possibile il tema che gli sta a cuore (ad esempio: la relazione con le famiglie).

In un primo momento ho la sensazione che qualsiasi scelta io faccia risulti inadeguata e soprattutto che il lavoro risulti inefficace.

Provo allora a esplicitare le difficoltà che emergono, le motivazioni del gruppo, il valore e l’ineludibilità del mandato, cercando per quanto possibile di individuare possibili connessioni tra tematiche diverse (ad esempio all’interno della progettazione quale spazio dare alla relazione con le famiglie?).

In sede di restituzione condivido con l’ente committente quanto emerso nella formazione.

La consapevolezza delle emozioni, dei sentimenti e la coscienza dei propri limiti mi hanno aiutato nel sostenere alcuni passaggi difficili del mio lavoro.

In particolare mi è stata di grande utilità l’essere attento agli stati del corpo che possono essere preziosi segnali dei nostri vissuti, come le posture, il battito cardiaco, il tono muscolare, la qualità del gesto.

Per concludere

La fatica è ineludibile, ma permette di comprendere meglio la complessità del mondo dei servizi, i propri limiti e le risorse cui possiamo attingere.

Documentare la formazione e la supervisione – con attenzione anche ai vissuti emotivi - è a mio parere una strategia efficace perché, mediante la scrittura, alcuni aspetti si fanno più chiari e possono nascere confronti tra le diverse esperienze, che vengono ad inscriversi in un orizzonte temporale di ampio respiro; è un lavoro che permette la condivisione con altri colleghe/i, di cui personalmente continuo a sentire la mancanza.

Certamente per tutto ciò c’è bisogno di un tempo disteso e non sempre è facile trovarlo, ma possiamo provarci.


Giulio Reggio*


*Consulente pedagogico, formatore, psicomotricista e responsabile editoriale del Blog Lo specchio di Alice