La fatica delle madri in carcere: parola ad Alba Piolanti





Parola a... Oggi incontriamo la scrittrice e saggista delle memorie femminili Alba Piolanti. È attiva volontaria dell’associazione Unione donne in Italia a cui è associata da anni. "Mi sono iscritta una volta che sono andata in pensione- racconta- mi è venuto quasi naturale impegnarmi con Udi, tutte le donne della mia famiglia hanno avuto legami con Udi” Lei però ama anche definirsi “Una vecchia prof delle superiori”. Insegnante all’Istituto Keynes di Castel Maggiore per tanti anni, quando "la scuola non era “Buona” ma “Per tutti e tutte”.

 

Da tempo Piolanti attraverso Udi porta sostegno alle donne del carcere Dozza di Bologna. Uno dei progetti culturali che ha condotto, con altre donne, ha prodotto anche un documentario dal titolo “Detenute fuori dall’ombra”. Ho deciso di incontrarla in questi giorni in cui la proposta di legge “Mai più madri in carcere” è stata ritirata dopo un iter legislativo lungo e molto faticoso. Con Piolanti però non voglio entrare nei dettagli legislativi, voglio invece capire che le fatiche quotidiane che affrontano le madri e i loro bambini in carcere.

Che fatiche vivono le madri in carcere?

Molte come ovvio. Ricordo con precisione la prima volta che ho visto un bambino in struttura. Era nel girello e andava su e giù per un corridoio dietro le sbarre. Era piccolo forse non aveva nemmeno un anno. E’ un’immagine che mi ha ferita profondamente anche se…

Anche se?

Anche se le altre donne detenute mi dicevano che il “bambino era di tutte”, che lui cresceva in una famiglia allargata. Quel bambino in particolare era “privilegiato” aveva una cella tutta per se’ e la mamma. 

Ma le celle non dovrebbero essere singole?

Dovrebbero secondo normativa ma essendo le carceri sovraffollate sono condivise con almeno un’altra persona. 

Fino a che età i bambini sono in carcere con le madri?

Fino ai tre anni. Se c’è la possibilità le madri e i bambini risiedono in case protette, quindi in luoghi sempre protetti sicuri ma più familiari.

E dopo i tre anni cosa succede ai bambini?

Se non hanno un padre che può occuparsene, o dei parenti stretti, vanno in affido ai servizi sociali.

Quando vivono “dentro” quali sono le fatiche più comuni?

Diciamo che anche in carcere, come fuori, dipende dalla situazione di partenza. Mi spiego: se le madri hanno parenti vicini anche se il tempo del colloquio è limitato, un’ora a visita, possono comunque condividere le fatiche dell’essere madre, possono aver consiglio, aiuto, conforto. Altrimenti in caso ad esempio di detenute senza familiari la solitudine paradossalmente diventa terribile.

Perché paradossalmente?

Perché è assurdo vivere costrette in una comunità ma sentirsi sola. Essere sempre con le altre, anche la notte quando magari il bambino piange e la madre non sa come consolarlo, come calmarlo, come farlo tacere… E magari il giorno dopo deve sentire critiche o rimproveri da chi non è riuscita a dormire. Una solitudine tra molte. Anche ora, che la sezione si è dotata di una zona nido, che accoglie madri con bimbi, questi sono pur sempre soli e rinchiusi.

Altre fatiche?

In carcere si deve far richiesta per ogni cosa “straordinaria”. Diciamo fuori dalla spesa comune. Quindi per creme per arrossamenti, pappe speciali …si deve fare richiesta scritta, la famosa “domandina” che deve attraversare tutta una serie di passaggi e il tempo passa… In sintesi non sono luoghi a misura di bambino. Il carcere di Bologna ad esempio, come gli altri della nostra regione, è un carcere maschile, pensato e realizzato per gli uomini, che ha una sezione dedicata alle donne detenute (il 5% della popolazione detenuta) che cambiano sempre anche in numero.

In che senso cambiano in numero?

Le detenute sono spesso trasferite da una città all’altra. E questo è un altro problema ancor più sentito per le madri detenute.

Perché?

Perché i figli crescono e capita spesso che la famiglia risieda in una città e la detenuta in un’altra. Così alle difficoltà emotive di cucire o ricucire rapporti si frappongono anche km di distanza.

Infine?

Infine sono tante le cose che si potrebbero raccontare, però io vorrei sottolineare un’altra questione che riguarda le donne in carcere. La pena e la mancanza di stanze dell’affetto, possono anche sottrarre alle detenute la possibilità definitiva di avere una gravidanza. Magari entri a 25, 30 anni con una pena di 15, 20 anni e quando esci non sei più nelle condizioni di avere figli. E’ un tema completamente accantonato, mai detto nemmeno ad alta voce. Il carcere è considerato ancora a tutti gli effetti punitivo e non rieducativo. 

 

Laura Branca