Non abbiate paura di parlare della morte ai bambini.


  


Per essere felici non ci vuole quasi nulla. Nulla, tuttavia, che non sia     già dentro di noi”.

Ferite d’oro. Così vengono chiamate in Giappone. Il kintsukuroi è l'antica arte giapponese del riparare le ceramiche frantumate. Quando un oggetto di valore si rompe, in Giappone, i maestri artigiani del kintsukuroi ne raccolgono i frammenti e li saldano, riempiendo le crepe sottili con pasta d'oro. È un’antica tecnica che mostra e non nasconde le fratture. Le esibisce come un pregio: cicatrici dorate, segno orgoglioso di rinascita. Non nascondono le fratture, ma le esaltano, poiché considerano che un vaso riparato mostri tanto la fragilità quanto la forza di resistere. In questo sta la vera bellezza. L’incontro con questa pratica tradizionale giapponese, la filosofia zen e la psicologia occidentale produce un modo nuovo di guardare gli oggetti che ci circondano, così come noi stessi, rispettandone la fragilità, le cicatrici, i segni del tempo. Siamo ciò che siamo perché siamo stati ciò che siamo stati, afferma Tomás Navarro.

Anche per le persone è così. Chi ha sofferto è prezioso, la fragilità può trasformarsi in forza. La tecnica che salda i pezzi, negli esseri umani, si chiama amore.


 La storia di Alessia e piccole donne

Questa è la storia di Alessia, una bambina di soli sei anni che, in una giornata di inizio ottobre, si separò per sempre da sua sorella Fulvia.

Alessia era la terza di quattro sorelle. Era una bambina molto creativa e piena di fantasia. Le piaceva tanto quando la sua mamma le leggeva il romanzo di Louisa May Alcott Piccole donne.

Le piaceva ascoltare quel romanzo perché le sembrava che raccontasse la storia della sua vita e quella delle sue sorelle.


                

Anche nel romanzo “Piccole donne” le sorelle erano quattro. Meg, la maggiore, era la più mite e responsabile; Jo, ribelle e creativa, aveva il dono della scrittura; Beth, dolce e delicata, suonava il pianoforte con grande talento; Amy, frizzante e vanitosa, era la piccola di casa e sognava di diventare un’artista.

Alessia amava identificarsi in Jo, la vera protagonista di “Piccole Donne”, che era un maschiaccio, e amava la letteratura e le piaceva scrivere; dotata di un forte spirito d’indipendenza aveva un carattere impulsivo e ribelle che la faceva finire spesso nei guai.

Nel seguito del romanzo “Le Piccole Donne Crescono”, le sorelle crescono, ma Beth si ammala di scarlattina e anche se guarisce, non recupererà mai più la sua salute. Infatti muore.

Anche Alessia e le sue tre sorelle crescono e, come nel romanzo, anche una delle sorelle di Alessia muore. Era un giorno di inizio ottobre quando Fulvia, la primogenita, che Alessia identificava in Beth, si ammala e muore all'età di quattordici anni. Fulvia, come Beth era una ragazzina dal carattere mite e tranquillo, e, come Beth, suonava il pianoforte.

La vita di Alessia subì una trasformazione profonda e, seppur la sua vita cambiò profondamente, grazie all'amore dei genitori, riuscì ad affrontare in modo equilibrato quel lutto dolorosissimo e improvviso.

Scopriamo, insieme, cosa accade nella vita di un bambino quando deve separarsi da persone tanto care e importanti. Quello che accadde ce lo racconta Alessia, oramai grande. Il racconto però dà voce ai racconti di Alessia, la bambina di sei anni.

Non abbiate paura di parlare della morte ai bambini. I bambini hanno una capacità di elaborare il lutto di gran lunga superiore agli adulti. Fidatevi di loro. 

La cosa importante è che gli adulti siano delle persone ferme e rassicuranti.

Era il 1982, avevo quasi sette anni e tu avrai quindici anni per sempre. Eravamo in quattro come il romanzo “piccole donne” e, come quel romanzo, una di loro è andata via. Tra noi quattro, sei andava via prima tu Fulvia. Era il nove ottobre del 1982, ricordo quel giorno come se fosse ieri. Papà venne a prendermi prima a scuola. Ero felice perché era venuto papà ed era venuto a prendermi prima. Non sapevo ancora il motivo. Non sapevo che non ti avrei rivista più. Quando tornai a casa, mamma fu molto forte. Mi chiamò nella nostra stanza e mi portò vicino alla finestra, ricordo ancora le tendine ricamate di quell'attimo che sigillò per sempre il cambiamento delle nostre vite. Mamma mi spiegò che non saresti più tornata a casa. Mi disse che eri morta e mi spiegò che la morte è una parte della vita, una parte dolorosa, ma è una parte della vita. Ci penso sempre a quel momento, mamma fu veramente molto forte. Si, mamma è stata veramente la più forte di tutti, anche più forte di papà! Ricordo che, una sera, papà si rinchiuse nella loro camera da letto, abbassò tutte le tapparelle e piangeva, io ero con lui e gli asciugavo le lacrime. Mamma entrò come una furia, alzò tutte le tapparelle e gli disse che doveva reagire perché avevano altre tre figlie e dovevano essere forti per noi. Siamo andati avanti. Abbiamo reinventato la nostra vita senza di te. All'inizio, quando apparecchiavamo la tavola, a volte, sbagliavamo perché mettevamo sempre sei posti invece di cinque. Allora io pensai di fare una cosa. Per sentirti più vicina ogni volta che vedevo una farfalla bianca pensavo che fossi venuta tu a trovarmi e a salutarmi. Mamma e papà trovarono una loro dimensione. Papà che, come te Fulvia, suonava il pianoforte, decise, con l’aiuto di mamma, di costituire un’associazione l’A.Gi.Ca. (Associazione Giovani Cantori) e creò un coro polifonico perché a te piaceva anche tanto cantare. 

 

 

Dal dolore alla crescita spirituale

 

La prima tappa per la crescita spirituale del nostro gruppo fu la partecipazione alla celebrazione della Santa messa nella Basilica inferiore di S. Francesco ad Assisi nel 1985; ci sono state poi, esperienze di gemellaggio con altre corali come la rassegna musicale a Ravello e Santa Maria la Nova di Napoli dove, con grande dedizione, papà riuscì ad insegnare a tutti noi, cantori amatoriali, il Requiem di Wolfgang Amadeus Mozart

Un altro momento di forte suggestione e di grande spiritualità fu l’incontro nel 1990 al Duomo di Napoli con Papa Giovanni Paolo II, Karol Wojtyla, per una funzione privata.

Successivamente, grazie all’incontro con il padre missionario camilliano Padre Barca, il coro di papà sviluppò una particolare attenzione e sensibilità verso la comunità africana del Benin. 

Lì, in un’Africa martoriata dalle più svariate sofferenze, dalla povertà alla malattia, alla guerra, al grande problema dell’AIDS, è iniziato un lavoro benefico a favore dei bambini africani. Sai Fulvia, questa fu una vera benedizione per il dolore di mamma e papà. Papà riuscì a sbloccarsi e in un’intervista che dichiarò: “devo dire che la presenza di padre Fulvio, nella storia del nostro gruppo, ha segnato un importante momento. Con lui è nata l’’idea di organizzare dei concerti presso ospedali come il premio “Marcello Candia” nell’aula Magna del II° Policlinico di Napoli.

 

 

 

Dalla meritevole testimonianza di quei grandi uomini, e grandi medici, si delineò il nostro progetto: quello di dare un fondamento “missionario” al nostro coro: nacque così il gemellaggio con il Benin, e il nostro slogan “A.GI.CA. for Benin. Papà, in un’altra intervista scrisse “Padre Barca mi fece innamorare del suoi bambini…”; quei bambini, come amava definirli, «color cioccolato» e «dagli occhi di Sole».

 



I fondi raccolti durante i nostri concerti vennero utilizzati per l’acquisto di attrezzature ospedaliere, tra cui un’incubatrice, per l’ospedale in Benin. In occasione di altri concerti, il ricavato venne utilizzato, poi, per la realizzazione dello scavo di un pozzo di acqua potabile. Il pozzo venne intitolato “Un pozzo per la vita”.

 


Dopo qualche anno, la vita ha voluto farci un regalo... la famosa fragilità che può trasformarsi in forza grazie all'amore, quell'amore di cui parla la tecnica del kintsukuroi che riempie le crepe sottili con pasta d'oro. La vita, dicevo, ha voluto farci un dono, una nuova vita, un'altra sorella che noi abbiamo voluto chiamare Letizia.

Eravamo di nuovo in quattro.

Quando mamma e papà festeggiarono i loro venticinque anni di matrimonio, li vollero festeggiare con tutti i ragazzi del coro. Il coro, Fulvia ,rappresentava la tua presenza.

Vedi Fulvia, la tua morte non è stata solo un evento doloroso. La tua morte ha dato anche tanta vita e gioia. Mamma e papà sono stati per noi un esempio di generosità. Ci hanno insegnato che da un momento, un evento negativo si può riemergere ed è possibile trasformarlo in un momento o in un evento positivo. Anche quando papà, prematuramente ci ha lasciate, noi siamo andate avanti. Anche Laura, la nostra seconda sorella, è diventata una musicista. Sai, ha continuato l’opera di papà. Con i contributi dei nuovi concerti, sono stati inviati dei fondi alle popolazioni colpite dallo tsunami di Sumatra del 26 dicembre 2004; sono stati finanziati alcuni progetti dell’ANT, (Associazione Nazionale Tumori) che ha come finalità: l’assistenza e lo studio dei pazienti affetti da tumore, prestando, inoltre, sostegno alle famiglie degli assistiti. Si Fulvia, morti di tumore, proprio la tua stessa malattia e poi è stata aperta una scuola in Africa per bambini con problemi psicomotori. Sai Fulvia, per me “l’A.GI.CA. può essere paragonata, metaforicamente, ad una grande quercia. In essa c’è stato tanto amore, linfa vitale che permette ai rami (cantori) di volgere verso i valori più alti della vita e le foglie (voci) che vibrano nella incessante e ferma volontà di trasmettere a chi, a volte, lo dimentica che la musica è un mezzo imbattibile per ricevere e dare del bene”. Io sono cresciuta, sai Fulvia, e da quel dolore immenso è nata anche la mia tesi di Laurea. Quello che abbiamo realizzato come famiglia è confermato dai circa 150 cantori intervistati per questo mio elaborato di tesi che hanno fatto parte dell’Associazione in un arco temporale che va dal 1983 al 2009.


Dal dolere alla solidarietà

Dai dati raccolti, Fulvia, sono emersi due aspetti importanti sia per la nascita dell’Associazione A.GI.CA. e sia per la crescita dei membri che di essa ne hanno fatto parte: la solidarietà ed il volontariato. 

In una società in cui è forte l’individualismo, c’è però una grande parte di essa che ha il desiderio e la necessità di fare comunità attraverso il volontariato. I cantori, oltre ad evidenziare la passione per la musica, hanno sottolineato che il motivo per il quale hanno deciso di far parte della corale è stato anche l’importanza dell’impegno sociale, il carisma di papà, l’opportunità di conoscere nuove persone, l’arricchimento che veniva loro offerto dagli incontri di preghiera tenuti periodicamente da padri francescani e da gesuiti. 

Il nostro impegno come famiglia, un impegno effettuato attraverso un linguaggio diverso, quello della musica, è stato capace, grazie al dolore della tua scomparsa, di creare un insieme di voci in grado di suscitare emozioni, raggiungendo obiettivi nobili, umanitari. Attraverso l’A.GI.CA., attraverso la tua assenza Fulvia, molti hanno attinto forza per contrastare, combattere e colmare alcune delle problematiche adolescenziali come: timidezza, momenti di apatia, mancanza di ideali, mancanza di punti di riferimento. 

 

La figura del Maestro

Fondamentale è risultata per loro la figura del “maestro”, il nostro papà. Papà è stato un leader che è riuscito a trasmettere valori profondi: senso dell’impegno, l’amore per il prossimo, il coraggio di non arrendersi davanti alle difficoltà proprio come hanno fatto lui e la mamma. L’unione e l’amore della nostra Famiglia, un amore, a detta di tanti, non escludente ma esclusivo ed inclusivo, un sentimento talmente grande da permettere, a tutti coloro che ne venivano a contatto, di sentirsi parte di essa è stato il collante per tutto. Ogni volta che entrava un nuovo membro, prima di conoscere la nostra storia, credeva che mamma e papà avessero solo quattro figlie e che noi fossimo solo quattro sorelle. No non eravamo quattro sorelle. No, siamo cinque sorelle perché tu sarai sempre la nostra prima sorella e... ancora oggi, se vedo una farfalla bianca penso a te e penso che tu sia venuta a salutarmi e a sbirciare cosa combino. Ciao mia dolce Fulvia.

Da quel fondo oscuro, doloroso, arriva una luce nuova. La possibilità di amare ancora, l’amore che salda e che resta. 

Come raccontare la morta ai bambini  

La piccola Alessia ha voluto, con il suo racconto, rassicuraci sul fatto che, talvolta, il tema della morte non sempre traumatizza un bambino. E' sicuramente un evento doloroso, ma questo non vuol dire necessariamente che si trasformi in un trauma.

Purtroppo non possiamo evitare, anche ai bambini, di sperimentare il dolore per la perdita di qualcuno. Possiamo e dobbiamo, invece, evitare di tradire la loro fiducia. 

Maria Montessori sosteneva che “non bisogna ingannare i bambini perché ripongono fiducia totale in noi. Ogni travisamento della realtà, anche se innocuo, rischia di rovinare il terreno su cui si costruisce una salda relazione tra loro e noi genitori.”

Evitare di parlarne, di ascoltare ciò che un bambino ha da dirci o addirittura bloccarlo se tenta di farlo, alimenta a dismisura le sue paure, lo fa sentire “sbagliato” per quello che prova e gli passa il messaggio che “è così spaventosa e terrificante che non se ne può parlare”, “se ne parlo la mamma si rattrista e si spaventa. Deve essere proprio terribile. È meglio che tenga per me questi pensieri”.

Attenzione, però! Essere schietti e sinceri con i bambini non significa ricorrere a spiegazioni troppo dure “La morte è la fine di ogni cosa” o a giri di parole che tentano di edulcorare il discorso. I bambini ne rimarrebbero impauriti, confusi. Bisogna invece fare ricorso a parole e immagini rassicuranti, comprensibili, facilmente assimilabili e offerte attraverso simboli a loro accessibili. Per esempio, il ciclo di vita delle piante e dei fiori o l’andamento delle stagioni possono aiutarci a spiegare ai bambini concetti legati alla transitorietà e alla temporaneità. E non stanchiamoci di ascoltarli, anche quando continuano a porci ossessivamente le stesse domande. In fondo, è un modo per sentirsi rassicurati. I bambini sono in grado di gestire la realtà molto meglio di quanto immaginiamo. L’importante è presentargliela amorevolmente, cercando di vedere le cose dal loro punto di vista, dandogli la possibilità di fare domande, esprimere emozioni e aiutandoli, giorno dopo giorno, a prendersi cura del loro dolore, cercando qualcosa che vada bene a loro. Non dobbiamo mai dimenticare che i bambini sono “piccoli scienziati” e sono naturalmente portati a cercare di comprendere quanto accade intorno a loro ponendo domande in modo molto spontaneo, animati da curiosità e interesse ma chiare ai loro quesiti, evitando risposte evasive e ambigue, utilizzando termini come “morte/morto” piuttosto che “decesso/deceduto” o “dipartita/dipartito” o “è mancato” e spiegando che tale condizione è definitiva, anche se il bambino non sarà ancora in grado di afferrare profondamente questo concetto.1

In generale, la cosa importante è cercare di usare sempre delle parole chiare, nello specifico, usare la parola “morte” in frasi come ad esempio “è morta la nonna” o “è morto lo zio”. Evitando al contrario di usare solo formule come “è andata in cielo” o “è diventata una stella”: questo perché il bambino, soprattutto se piccolo, può essere confuso da formule di questo tipo di cui non comprende pienamente il significato. È importante anche tenere presente che dare ai bambini la notizia della morte di un nonno o comunque di una persona cara è qualcosa che non si esaurisce con la sola comunicazione di quanto accaduto, ma è piuttosto un’esperienza che durerà per giorni, anche nelle settimane successive. È facile infatti che il bambino torni più volte sull’argomento e faccia tante domande, soprattutto se è in età prescolare. Per questo con più piccoli, fino ai 6 o 7 anni, può essere utile anche affidarsi a un libro: esistono libri per bambini pensati proprio per aiutare i piccoli ad elaborare il lutto e i genitori a trovare le parole giuste con cui affrontare l’argomento».2


Alessia Traversa

Pedagogista e insegnante

 

1“Mamma, anche tu morirai?”. Come affrontare il tema della morte con i tuoi figli. Daniela Scandurra, pedagogista montessoriana https://danielascandurra.com/mamma-anche-tu-morirai-come-affrontare-il-tema-della-morte-con-i-tuoi-figli/

2 “Come spiegare a un bambino che i nonni non ci sono più”, Francesca Castaldi.