Lettera di una mamma. Quando il nido è una scelta difficile. terza parte: Al nido!

 
due bambine che giocano sul tappeto



Lettera Cronaca Bambina 
Oggi pubblico la terza e ultima parte della lettera di una mamma. Dopo aver letto dei tarli della madre, rispetto a questa scelta, delle paure del padre, oggi ascoltiamo l'esperienza di questi giovani genitori e della loro bambina Clara dentro al nido.
 
L'inserimento 
 
Dell’inserimento me ne sono occupata io. E' stato un passaggio delicato per lei e un periodo emotivamente pesante per me.  Se c’è stato un momento in cui le mie certezze hanno vacillato, sicuramente è stato in quei primi giorni. 
Non dimenticherò mai la scena del mio primo breve allontanamento dall’aula. Mi dissero di salutare Clara e di rassicurarla sul mio ritorno. Feci per avvicinarmi alla porta, ma lei si piazzò davanti piangendo disperata e ripetendo “mamma – mamma – mamma”. Una delle educatrici la prese in braccio per consolarla, io le sorrisi e chiusi la porta. Entrai in macchina e cominciai a piangere. Mi sentivo estremamente in colpa, sarei voluta tornare indietro per riportarla a casa, ma non potevo, non dovevo, l’avrei solo confusa.
 
Il tempo del distacco 

Continuai a ripetermi, per tutto il tempo del distacco, “lei è serena, se io sono serena”. 
La verità è che, in quei minuti in macchina, avvertii per la prima volta di essere sola: non avevo nessuno da chiamare per ricevere conforto e per sentirmi dire che stavo facendo la cosa giusta.
Devo dire che, già dai primi giorni, le Dade intuirono che quella del nido non era stata una scelta condivisa a livello familiare e fin da subito mi diedero sostegno. Venivo quotidianamente rassicurata sulla normalità delle mie difficoltà e sui diversi steps del processo di adattamento di mia figlia. 
 
I progressi  
 
Io ero una neomamma ed era la prima volta che mi trovavo ad avere a che fare con questioni evolutive di una bambina di quell’età: senza una “guida”, molte cose le avrei date per scontate o forse non le avrei neanche notate. 
In uno dei vari feedback di fine giornata, un’educatrice mi raccontò che Clara, dopo una caduta col triciclo, non era andata dalla Dada a farsi consolare, ma si era limitata a cercarla con lo sguardo, rialzandosi immediatamente dopo un suo cenno. 
Mi spiegò che al nido stavano lavorando molto sull’autostima e sul tentativo di farle prendere consapevolezza delle proprie capacità. 
 
La relazione dell'educazione  
 
Mi convinsi presto che la professionalità e l’esperienza delle educatrici potessero esserci di grande, volevo “portare a casa” il più possibile, desideravo riproporre con coerenza alcune modalità di cui riconoscevo l’indubbia efficacia.
L’unico strumento che avevo per parlare “il loro linguaggio” era coinvolgere il mio compagno: volevo che sentisse dalle loro parole, e non più solo dai miei racconti, i cambiamenti di sua figlia.
 
Al nido 
 
Cominciai ad insistere affinché andassimo a prenderla insieme. La sua difficoltà non era tanto riconoscere il nido come luogo di esperienza, ma riconoscerlo come luogo cui potersi “affidare”.  E infatti provai una sensazione di grande disagio di fronte ad una sua provocazione nei confronti di un’educatrice: le disse che negli asilo nido lui avrebbe ritenuto idoneo installare delle telecamere. Sarei voluta sprofondare, perché mi era sembrata una profonda mancanza di rispetto, ancor più che di fiducia. 
La Dada invece sorrise e disse: “Sono d’accordo con Lei, almeno i genitori vedrebbero anche quanti baci e quante carezze diamo ai nostri bimbi”. Quella risposta lo lasciò senza parole ... e quel sorriso dolce ebbe l’effetto di una cannonata sul muro dei suoi pregiudizi. Venire con me ai colloqui, ascoltare le educatrici e avere sempre la sensazione che conoscessero Clara più di noi. 
 
Le parole dell'educazione
 
Ascoltare da loro non parole generiche o "da manuale" ma capire che parlavano esattamente di lei, proprio e solo di lei! 
Si percepiva chiaramente che dietro ogni singola parola c’era un'attenta osservazione dei suoi atteggiamenti nei diversi contesti e nelle specifiche situazioni, ma anche un riguardoso controllo dei propri comportamenti in funzione delle reazioni provocate su Clara. 
Come quando Babbo Natale fu costretto a lasciare il sacco con i regalini in giardino perché alla finestra c'erano bimbi eccitati ed emozionati, ma anche alcuni che avevano mostrato disagio (tra cui Clara). 
Oppure ancora come a Carnevale, quando, alle Dade della mensa che si erano travestite, fu suggerito di spogliarsi e di adagiare i vestiti per terra, in modo da consentire ai bimbi che si erano spaventati di avvicinarsi e toccarli. "Ci sono alcuni bambini che si lanciano con entusiasmo e curiosità - ci dicevano - Clara invece è tra quelli che, davanti al cambiamento o alla novità, han bisogno di prendersi il loro tempo per capire se è tutto sotto controllo, prima di fare un passo in avanti". Ascoltando le sue educatrici, abbiamo imparato anche noi a conoscerla meglio e a non forzarla, proprio come facevano loro.
Quell'amore e quel rispetto che trapelavano dalle loro parole venivano riflessi ogni giorno nei racconti di Clara e nei timidi abbracci spontanei al collo della Dada che ce la consegnava dopo la pappa. Il suo benessere diventava via via così evidente che dopo un po' smisi di puntare un faro su ogni cosa bella che notavo... Non
c'era più bisogno di dire "avete visto? Avevo ragione!"... Faceva tutto lei al posto mio!
 
L'apprendimento 
 
La prova del nove arrivò nel corso del secondo e ultimo anno, quando passammo al tempo pieno. A livello relazionale, le competenze che stava sviluppando, in quella piccola collettività, erano così evidenti nella quotidianità, che bastava osservarla per prenderne consapevolezza! 
Nell’interazione con i coetanei, al parco ma anche nel contesto familiare, si avvertiva la differenza con i bambini accuditi dai nonni, abituati a vivere in un ambiente protettivo a contatto con adulti pronti ad accontentarli in ogni loro richiesta. 
Clara stava imparando che uno stesso giocattolo poteva essere desiderato anche da altri bambini, stava imparando ad aspettare il suo turno, a mediare nei conflitti e a scegliere di rinunciare, gestendone la frustrazione. Al nido stava acquisendo quelle prime forme di  autoregolazione sociale fondamentali per la vita!
Per non parlare dei progressi linguistici che osservavamo ogni giorno, stimolati non solo dalle attività vere e proprie proposte dalle educatrici, ma dall’intensa vita sociale che il nido offriva. 
Durante l’estate che seguì il primo anno di nido, anche il mio compagno non poté fare a meno di notare l’enorme differenza fra le competenze linguistiche acquisite da Clara e quelle della cuginetta della stessa età che, secondo le tradizioni familiari di giù, era stata solo con la nonna, in una dimensione esclusivamente domestica.
Il nido ha convinto tutti anche i parenti più scettici perché adesso, con la secondogenita, non sento più dire: “Ma davvero hai intenzione di mandarla al nido?!?”, ma solo ... “Speriamo che la prendano al nido!”
Simona  

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