Janna Carioli racconta la scuola d'infanzia di San Pietro in Casale




Parola a...Oggi torniamo a San Pietro in Casale piccolo centro situato nella pianura tra Bologna e Ferrara, dove a  breve, il 31 dicembre, una sezione di nido, una scuola d'infanzia comunale oltre alla biblioteca dei ragazzi chiuderanno o si trasformeranno.
 
Lo ha deciso il Comune, nell'ambito del "piano di riequilibrio" presentato a fine novembre. E noi di BolognaNidi abbiamo deciso di sostenere i cittadini, che nel frattempo hanno fondato un comitato per contrastare questa decisione. Lo facciamo come siamo in grado di farlo: scrivendo ciò che è stato e raccontando cosa hanno rappresentato fino ad oggi, questi servizi pubblici per la cittadinanza. 

Se la volta scorsa abbiamo ascoltato la voce del già bibliotecario Ferruccio Fava, oggi incontriamo Janna Carioli  giornalista, autrice di programmi televisivi, cartoni animati, canzoni, testi teatrali, libri tutti dedicati ai più piccoli e che è stata maestra proprio nella scuola d'infanzia comunale che presto passerà alla gestione statale. 
 

Ci racconta la prima volta che è entrata in contatto con la scuola di San Pietro in Casale? 

Nel 1973, per me San Pietro in Casale era solo un piccolo paese “della bassa”. Ci andai perché venni chiamata dall’allora assessora Rosanna Lambertini (responsabile dei servizi sociali e delle politiche per l’infanzia), che voleva organizzare dei corsi di formazione in vista dell’imminente apertura della scuola comunale per l’infanzia. All’epoca, mi occupavo, fra le altre cose, di formare gli operatori che lavoravano nei campeggi per ragazzi organizzati dall’ARCI, proponendo loro un bagaglio di giochi, canzoni, filastrocche, attività varie, ma anche (e soprattutto) di dinamiche relazionali fra adulti: come funziona un collettivo, come si fa una programmazione, i meccanismi della comunicazione…
 
E che impressione le ha fatto?

Mi piacque San Pietro in Casale, l’entusiasmo appassionato e concreto dell’assessora che, da ex bracciante, conosceva molto bene le esigenze e la situazione sociale delle tante donne che lavoravano come stagionali nella raccolta della frutta e che avrebbero portato al nido i loro bambini. Mi piacque anche l’équipe psico pedagogica che fin dall’inizio era stata costituita per affiancare la nascita della nuova struttura. In un periodo in cui si diceva normalmente: “scuola materna”, il fatto che per questo nuovo progetto venisse già usato il termine “Scuola per l’infanzia” era anomalo. Presupponeva una visione educativa “zero-sei” che era di là da venire a livello nazionale e che, all’epoca, esisteva solo nella mente di alcuni illuminati pedagogisti impegnati ad aprire un pionieristico sentiero in alcune zone dell’Emilia Romagna. (vedi Reggio Children) Era una filosofia educativa fondata sull’idea che un bambino ha grandi potenzialità di sviluppo, che è soggetto di diritti e che, fino dalla primissima infanzia può apprendere attraverso una molteplicità di linguaggi e che l’ambiente che lo circonda deve creare le possibilità di esplorare questi linguaggi. Anche le premesse organizzative mi convincevano: Una scuola che prevedeva una continuità educativa 0-6 in cui tutti gli adulti avrebbero lavorato assieme, turnandosi nei diversi ruoli: insegnamento, cura dei bambini, pulizia degli spazi, preparazione dei pasti… 

Ci racconta meglio come lavoravate? 

Organizzativamente era il cosiddetto “ruolo unico” che metteva in crisi i sindacati. Questo modello di gestione resse per quindici anni che cominciò a traballare solo agli inizi degli anni ’90. In pratica, gli adulti lavoravano il doppio rispetto al sistema tradizionale e gli unici a guadagnarci erano i bambini che erano seguiti da un gruppo di operatori più largo, tutti consapevoli del percorso educativo e tutti aggiornati dal punto di vista psicopedagogico. Siccome cercavano insegnanti anche fuori dal territorio comunale, feci la mia domanda e fui assunta. Ho lavorato a San Pietro in Casale per 10 anni, intensi, faticosi e bellissimi. Accogliere bambini di tre mesi e poterli seguire nella loro crescita fino ai sei anni è una incredibile opportunità di esplorazione di questa fascia dell’infanzia. Da molti anni ormai, io scrivo libri per ragazzi e faccio trasmissioni televisive per i piccoli. Credo, onestamente, che quella esperienza mi abbia consentito di apprendere codici comunicativi che difficilmente avrei potuto acquisire in altro modo. 



C’è un’esperienza particolare o un progetto che ancora ricorda con particolare affetto?

I faticosissimi turni di cucina che mi hanno insegnato a preparare pasti per 120 persone sono stati un’occasione formidabile! Scherzi a parte, per capire le esperienze che furono possibili, va sottolineato il fatto che all’epoca esistevano meno paletti legislativi. In pratica era una scuola di frontiera. Questa condizione che potrebbe sembrare un handicap, nei fatti, permise una grande libertà di movimento. Per esempio: spostare per 10 giorni la sezione dei più grandicelli al mare/ portare i bambini a un corso di nuoto a Corticella/ portarli a piccoli gruppi in treno a Bologna/ andare alla cooperativa agricola dove lavoravano molte delle mamme e mangiare una volta con loro… L’idea che muoveva le scelte era: la scuola non è solo dei bambini che la frequentano e dei loro genitori, ma è “del paese” e così, anche le feste della scuola, per esempio, diventavano, di fatto feste rivolte a tutti i cittadini di San Pietro in Casale. L’altra cosa che ricordo con grande gioia è la partecipazione attiva di tantissimi genitori, che condivisero e sostennero le scelte con la loro presenza e il loro aiuto concreto. E invece un rapporto che le è rimasto caro da quell’esperienza? Sono rimasta in contatto con molti degli ex bambini ritrovati anche grazie ai social. Nonostante non insegni più è ancora in contatto con diverse scuole. 

Secondo lei qual è il “malanno” peggiore della scuola di oggi? 

Una cosa che avverto con dispiacere è la rottura dell’alleanza fra genitori e insegnanti. Sembra che ci si sia dimenticati che si lavora entrambi per crescere lo stesso bambino. Non c’è confronto su un orizzonte educativo condiviso.

Infine è diventata scrittrice grazie a…? 

Io provengo da una famiglia con pochissimi mezzi e i libri erano considerati un lusso. Il massimo che ci si concedeva era qualche fumetto. (lettura fra l’altro nobilissima). La mia fortuna, fu l’apertura di una biblioteca di quartiere quando avevo 14 anni e la presenza di un bibliotecario in gamba che rispose alla mia fame di libri orientandomi nelle scelte e non negandomi mai un libro in più da portarmi a casa.