Parola a...Quasi settimanalmente i media riportano nuovi casi di maltrattamento nei nidi e
nelle scuole. I commenti che accompagnano le cronache dell’orrore sono
spesso spietati, meno numerose sono invece le possibili soluzioni per
prevenire questi fenomeni. Del resto sappiamo molto poco, perché
succede? Ci sono motivi scatenanti ricorrenti? E’ un fenomeno in
aumento? Oggi incontro nuovamente Ilaria Maggi presidente
della Onlus La Via dei Colori che si occupa da diversi anni del tema.
Il quadro che ci restituisce la Maggi è un quadro complesso e allarmante
dove si comprende che occorrerebbero dati statistici e analisi
approfondite del fenomeno.
Le denunce per maltrattamenti sono in aumento?
I dati raccolti dal nostro Osservatorio e
che con tanta fatica stiamo cercando di digitalizzare e raffinare non
pare dicano questo. Sappiamo però che sicuramente i contatti che arrivano alla nostra associazione, ormai attiva da oltre otto anni, sono quasi raddoppiati nell’ultimo anno.
In numeri?
Siamo passati da 2.000 nel 2017 a 3.600 nel 2018.
Cosa denunciano i genitori?
Per la maggior parte si tratta di genitori
che hanno dubbi su eventuali maltrattamenti ancora da accertare ma
sempre di più ci chiamano anche famiglie che hanno fatto una prima
denuncia alle forze dell'ordine e che successivamente si trovano persi
nel non sapere cosa fare.
Bambini di che età?
L’80% delle segnalazioni, ma anche di quelle che poi si trasformano in denunce, riguarda bambini di meno di sei anni.
Le telecamere sono la soluzione?
Le telecamere sono un ausilio indispensabile per le indagini ma non prevengono i maltrattamenti. Più che altro fungono da “testimone”. Documentano un problema che però è già in atto.
Cosa bisognerebbe fare per prevenire?
Servirebbe un protocollo di prevenzione al quale stiamo già lavorando. Ma anche un monitoraggio da applicare a monte delle assunzioni. Sarebbe necessario il lavoro in equipe con
persone specializzate e competenti su un'ampia gamma di variabili che,
da quello che i dati ci riportano, concorrono ad ingenerare
maltrattamenti. Persone competenti quindi non solo sugli aspetti
psicologici e pedagogici ma anche in grado di percepire fin dai primi
segnali i veri malesseri del burn out sulle insegnanti, i segnali sui
bimbi nonché diritti e doveri penali e civili di corpo docente o
ausiliario. Le telecamere possono solo supportare e nulla più: il lavoro da fare è molto ed è urgente.
Siamo di fronte ad un’urgenza?
Siamo
di fronte a una situazione molto complessa che però si conosce poco e
male. Se non partiamo con l'analizzare i dati, attraverso studi
specifici e statistiche, difficilmente arriveremo a una soluzione
percorribile ma soprattutto efficace. Come faccio a proporre soluzioni
se non conosco a fondo il problema? Da quello che mi risulta non esiste neanche un censimento completo di tutte le scuole private e pubbliche a livello nazionale. Quante strutture o realtà parentali, autogestite o altro sono sorte specialmente dopo la legge sui vaccini, di cui noi non abbiamo la benché minima traccia?
E’ più facile che i maltrattamenti avvengano in scuole private?
I dati che abbiamo a disposizione non
ci confermano questa ipotesi. Dobbiamo ricordarci che possiamo valutare
un numero solo se lo mettiamo in relazione con il numero complessivo di
strutture presenti in modo da avere un dato relativo e non assoluto.
Ma nel servizio pubblico ci sono molto più garanzie a tutela della sicurezza, molte più persone che coordinano il loro lavoro…
Uno dei problemi che riteniamo stia alla base è la differenziazione dei regolamenti da regione a regione, spesso anche da comune a comune, e la mancanza di protocolli che regolamentino anche le modalità di supervisione e di gestione delle possibili criticità.
Ma il coordinatore pedagogico, il dirigente, i colleghi. Il sistema…?
I
dati del nostro Osservatorio ci dicono che solo il 3% delle denunce
arriva dalla dirigenza scolastica sebbene nel quasi 100% la dirigenza
venga avvisata dai genitori prima che siano formalizzati atti
giudiziari. Insegnanti, personale ATA, inservienti e dirigenti
nell'ordine delle loro funzioni sono pubblici ufficiali e/o incaricati
di pubblico servizio e come tali sono obbligati alla denuncia.
Nonostante questo e nonostante l'architettura degli ambienti raramente
impedisca di percepire cosa accada nelle stanze adiacenti, rare sono le
denunce che partono dal sistema scolastico. Abbiamo rilevato inoltre che
spesso, quando il genitore si limita ad avvisare la dirigenza senza
fare una denuncia, l'insegnante viene trasferito in un'altra scuola.
Così il problema si sposta in un altra scuola?
Per l’appunto. Abbiamo avuto più di un caso in cui la persona in questione è stata denunciata dopo due o tre trasferimenti. È per questo che sarebbe importante, una volta riconosciuta la colpevolezza, un allontanamento definitivo dai soggetti indifesi.
Perché, oggi non è così?
No,
potenzialmente un insegnante, dopo aver scontato la condanna, potrebbe
tornare a lavorare con i bambini. Succede anche durante le indagini.
Cosa?
Se si apre l’indagine, terminato il periodo di sospensione, potrebbe tornare a lavorare a scuola o al nido.
Domanda retorica: ci sono brave maestre?
Assolutamente! Sono tantissime e svolgono il lavoro più importante: formano il nostro domani. È una professione mai abbastanza valorizzata. Dobbiamo collaudare e avviare un corretto modus operandi che dovrebbe partire dalla selezione del personale. Noi lo usiamo.
Per l’associazione?
Sì, ci sono circa trenta operatori che collaborano con l’associazione a vario titolo.
Su tutte le persone che operano a stretto contatto coi bambini e coi
soggetti indifesi, viene applicato un protocollo di selezione a monte
della collaborazione che non è altro che il primo step del nostro
protocollo di Prevenzione. Procediamo quindi con puntuali controlli
su precedenti e pendenti penali, somministriamo una batteria di test
psico-attitudinali in fase di sperimentazione, colloqui psicologici e
altre verifiche.
A che punto è la legge sui maltrattamenti?
Ferma in Senato (leggi qui). Ha avuto delle modifiche rispetto al primo testo, alcune positive, altre meno.
Cosa pensa della legge in Lombardia? (leggi qui)
Sicuramente
è un inizio ma restiamo dell'idea che alla base di una proposta
risolutiva che possa essere efficace, ci vorrebbe una valutazione
approfondita e olistica del fenomeno.
Infine il dottor Lodolo D’oria denuncia (leggi qui) che in molti casi i processi siano immotivati così come le immagini siano lette nel modo sbagliato.
Ho seguito personalmente moltissimi
processi, ho parlato con i genitori, ho visionato documentazione e con
l'associazione abbiamo avuto modo di verificare, attraverso il
protocollo peritale che seguiamo - e quindi test specifici e oggettivi -
i danni riscontrati nelle persone vittime di maltrattamenti
infrastrutturali anche a distanza di anni. Crediamo fermamente che,
ammesso e non concesso che si possa "leggere male" uno o (spesso) più
schiaffi o un sollevamento da terra per un orecchio (e non solo), se
questi gesti ripetuti e continuativi lasciano un danno permanente nelle
vittime, qualunque sia la motivazione che ha portato una persona a
compierli, questa persona è da punire sulla base del danno che ha
causato. E no,
non credo ci sia una sovrastima del fenomeno, anzi. I dati che abbiamo
raccolto ci dicono l'esatto contrario, come non credo ci sia una
correlazione esclusiva con l'età. Ricordiamoci che in due dei casi più
efferati di questi ultimi 10 anni (mi riferisco al caso Cip Ciop e al caso di Bicocca), le persone coinvolte erano giovani al di sotto dei 41 anni.
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