La visione educativa: dal cerchio alla piramide




Partecipare per crescere Quarantatré anni di professione educatrice sono stati sufficienti per assistere e partecipare agli innumerevoli cambiamenti. Una trasformazione costante e profonda (organizzativa, politica, valoriale) che mi ha vista protagonista attiva insieme alle mie colleghe. 

Il processo in atto ha inevitabilmente modificato negli anni la “ visione educativa” la quale, subendo uno scossone, ha assunto i connotati dei poteri e degli interessi del momento.

Il mondo e' cambiato e purtroppo le istituzioni, la politica non hanno mantenuto il patto primario di difendere, sostenere, investire nell’educazione.

Hanno prevalso altre ragioni, non sempre nobili, come il voler risparmiare, privatizzare, tagliare risorse importanti. Questo ha determinato un Gap evidente tra la teoria e la prassi, rendendo quest'ultima sempre meno applicabile e coerente. Educare è compito complesso, chi svolge questa professione, dovrà rendersi conto di quanto sia impegnativa, coinvolgente, delicata. In costante divenire e' l'arte dell’educare. Tutte le professionalità che lavorano all'interno di un contesto educativo, dovrebbero impegnarsi in sinergia, per costruire alleanze solide ma capaci di autocritica, non trasformarsi in monoliti dove imperano verità assolute, la collaborazione, il rispetto reciproco, dovrebbero essere i riferimenti irrinunciabili.


Visione educativa: siamo tutti importanti

 

Affinché un ambito educativo possa funzionare e definirsi tale, dal mio punto di vista tra l'altro ampiamente esperito, credo sia fondamentale che ogni figura professionale sia valorizzata, coinvolta, in una circolarità di “intenti pedagogici” chiari e condivisi affinché il progetto educativo e la sua programmazione siano patrimonio di ogni componente, sia esso educatore/ce, maestra/o, ausiliaria/o. Per realizzare un progetto siffatto, la gestione e le responsabilità dovrebbero essere circolari, dove ogni talento e specificità professionale possano essere messe al servizio della comunità educante.

Nella mia lunga esperienza professionale di educatrice e coordinatrice elettiva, posso senz'altro rivendicare la gestione sociale come modello educativo valido e prezioso, dove ogni componente si e' potuto/a sentire parte integrante del progetto educativo, nessuno escluso! 

Il senso di appartenenza alla comunità educante è talmente importante che non può essere sottovalutato, non possono coesistere all'interno di un sistema educativo teorie che richiamano alla responsabilità, partecipazione, formazione permanente, inclusione, flessibilità ed empatia e nello stesso istante, agire in contemporanea comportamenti contrastanti, rigidi, di controllo, a volte anche di vessazione. E' esattamente quello che e' accaduto quando si e' passati dalla gestione sociale alla verticalità organizzativa.


Dal cerchio alla piramide

Il cerchio, idealmente e metaforicamente, ha sempre rappresentato per molte di noi, la visione educativa eletta.

Il cerchio è una linea senza inizio e senza fine, ogni punto/persona che lo compone e' a pari distanza, non c’è un sotto e un sopra, semmai c’è uno stare a fianco.

Ogni “punto/persona “ ha la sua specificità ed unicità, collabora con spirito non competitivo, avendo ben presente quanto siano da privilegiare le istanze del noi, attraverso l'ascolto, l'empatia, il riconoscimento reciproco dei vari talenti e diversità.

La gestione sociale ha saputo tradurre in buone prassi educative tutto questo e avendola vissuta, sono testimone consapevole di quanto fermento valoriale, solidale e partecipativo abbia saputo generare.

Continuo a sostenere che la gestione sociale era la “visione” da proteggere, arricchire, sostenere.

Ovviamente è stato un percorso complesso e non privo di ostacoli e criticità, ma la spinta motivazionale era alta, come il rapporto con il territorio, con le famiglie. Il pensiero pedagogico che si stava

costruendo era nell'ottica della connessione, dello scambio, del “ fare rete”.

La visione educativa e gli interessi politici

L'educazione in quei tempi era in cima agli interessi politici, filosofici e pedagogici. Un humus potente capace di coinvolgere ogni agenzia educativa. I Nidi, sono stati i precursori di un pensiero nuovo, che non prometteva soltanto, ma coniugava le parole con le azioni. La teoria e la prassi erano più vicine.

Tutto questo arco esperienziale ha abbracciato circa trent'anni della nostra professione, consolidando una visione comunitaria, meno burocratizzata, più partecipata,

Tanti i progetti innovativi ideati e realizzati che hanno visto coinvolte molte realtà del territorio, abbiamo saputo costruire delle connessioni intergenerazionali ad esempio il progetto educativo:” da zero a cento anni, esperienze che si incontrano”.

Si trattava di mettere in comunicazione il centro anziani con il nido, iniziativa particolarmente arricchente ed emozionante. La programmazione consisteva nel far partecipare le persone anziane per una giornata alla vita del nido, una volta alla settimana , raccontando storie, giocando con i bambini/e, preparando un dolce con loro ecc.

Stiamo parlando degli anni ottanta/ novanta. Oggi è diventato complicato fino all'inverosimile persino organizzare una gita, tanta e' la burocrazia che ci ha portato a rinunciare a questi momenti così significativi per lo stress scoraggiante che comporta.

  Altre spinte contrarie si stavano materializzando all'orizzonte, con l'idea di cancellare la visione del cerchio e con grande nostro dissenso intellettuale e valoriale, si e' imposta la visione piramidale. Le coordinatrici elettive furono messe in panchina, così come tutta l'esperienza acquisita dei gruppi educativi, i progetti realizzati e le strategie educative efficaci e iniziò una sorta di accanimento istituzionale umiliante, che mirava ad utilizzarci, senza nessuna valorizzazione e riconoscimento, disconoscendo di fatto la nostra professionalità.


La piramide della discordia


La verticalità per sua natura può minare le relazioni, chi si è trovato/a ad assumere un ruolo direttivo, soprattutto in ambito educativo, avrebbe dovuto utilizzare modalità facilitanti e collaborative. 

Purtroppo chi riuscì a superare quel concorso si insediò nei Nidi e nelle Scuole dell’Infanzia con comportamenti discutibili. 

La maggior parte di loro non rispettò il mandato e prevalse uno “ stile” più mirato al controllo e all’esercizio di potere. Ovviamente non sto affatto generalizzando, chi possedeva una preparazione adeguata al ruolo e una sensibilità relazionale spiccata nel gestire i gruppi, l'esperienza fu diversa ed inclusiva. 

Rimane il fatto inequivocabile che questa trasformazione radicale portò con sé molte conflittualità nei gruppi educativi abituati ad una gestione circolare e di responsabilità condivise.

Nonostante l'evidenza di alcuni fatti non si riuscì mai ad affrontare nelle sedi opportune queste criticità, dando la stura ad una accettazione acritica dello Status Quo.

Fu una decisione politica precisa quella di verticalizzare i servizi educativi, in qualche modo ha significato ledere in profondità quella visione più sociale e solidale, ovvero si decise di muovere il passo verso una mentalità più individualista e competitiva.


La poetica dell’educare


Chi ha vissuto il cerchio come visione educativa privilegiata ha potuto sperimentare come l'alleanza di intenti e la reciprocità possano generare bellezza e poesia, al contrario di una organizzazione più rigida e burocratizzata che impedisce di fatto quella fluidità creativa così indispensabile per far fiorire e realizzare progetti, sempre nell'ottica della cura e l'attenzione per le relazioni.

Non credo ci siano più le condizioni politiche e sociali per tornare a quella visione circolare ma auspico si possa sviluppare comunque un pensiero deciso e costante nel valorizzare ogni professionalità e che le nuove figure di coordinatori pedagogici possano collaborare con questo spirito inclusivo e rispettoso.

Abbiamo necessità di migliorare, approfondire, co-creare, restituire profonda dignità ai luoghi dell’educare, ci aspettano anni impegnativi e tutti/e siamo chiamati in causa nel mettere in campo il meglio di noi stessi, perché abbiamo un dovere etico come adulti ed educatrici/ri verso ogni bambino e bambina, affinché la loro crescita psicologica/affettiva/creativa sia sostenuta e caratterizzata dal ben-essere e dalla gioia di vivere.


Anna Maria Mossi Giordano


Ringrazio la mia collega Carla Ruzzini maestra della scuola dell'infanzia, per i confronti sempre appassionati, la condivisione e i suggerimenti preziosi. 

 

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