Anche gli uomini...educano L’apprendimento, si sa, ha bisogno di tempi distesi, per far sì che un bambino possa imparare ad imparare consolidando le proprie scoperte e competenze.
Qui vorrei mettere in rilievo un tempo un po’ speciale, di cui i bambini hanno bisogno e desiderio quando da una certa età in poi scoprono per così dire il gioco simbolico.
Il tempo del gioco, un tempo non misurabile
È un tempo non facilmente misurabile, che talvolta sfugge all’adulto spesso proiettato verso il futuro e quindi orientato a promuovere competenze precoci, cognitive o linguistiche, rischiando pericolose fughe in avanti.
Dal suo canto il bambino è ben più attento e legato al presente e il gioco simbolico, il gioco del “fare finta”, è l’ambito nel quale questo appare in tutta la sua pienezza ed evidenza.
Non mi riferisco qui soltanto alla nascente capacità di creare delle rappresentazioni – pur importantissima - quanto alla possibilità di “giocare” in maniera via via più raffinata con le proprie emozioni e i propri sentimenti, piacevoli e spiacevoli.
Il tempo del gioco e la realtà
Soleva dire Peter Brook, uno dei più grandi registi del ‘900, riferendosi al teatro “questo è un luogo dove tutto è finto ma niente è falso”.
Credo che questo sia vero anche per il gioco simbolico, basti pensare a quante volte i piccoli attraverso i loro giochi ci parlano della cura che hanno ricevuto e che ricevono.
Sempre Brook diceva “qui si ascoltano parole che non si odono altrove”, parole per un adulto che sa ascoltare, che non interrompe il gioco e non si intromette se non gli viene richiesto.
Il tempo del gioco tra presente e passato
Coloro che accompagnano i bambini nel loro percorso di crescita, perciò ascoltano e osservano, non intervengono nel contenuto del gioco ma sulla forma creando cornici grazie ad una organizzazione di spazi, tempi e relazioni che permettano il pieno dispiegarsi dei vissuti infantili.
L’adulto regala in sostanza ai bambini – come diceva Eugene Fink a proposito del gioco - il presente, un tempo profondo, quindi serenità e piacere; contemporaneamente può cogliere con discrezione nuovi aspetti della personalità del piccolo.
E va sottolineato come nel gioco del far finta nasce e si consolida l’intersoggettività perché spesso il bambino non gioca da solo, condividendo con i coetanei non solo spazi e oggetti, ma emozioni e sentimenti.
Credo pertanto che dare spazio all’azione simbolica nelle sue diverse forme rappresenti un contributo prezioso all’educazione emotiva nella prima infanzia.
Giulio Reggio
Consulente pedagogico, formatore, psicomotricista e responsabile editoriale del Blog Lo specchio di Alice
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