Quando eravamo bambine


 

Anna Maria Mossi


Partecipare per crescere Gli anni ci portano a dimenticare, i ricordi si affievoliscono, una nube avvolge ciò che siamo state.

Affiorano alla mente gli interventi degli adulti che il più delle volte hanno ostacolato quella energia vitale e creativa che avevamo da piccole.  

Provo a scavare nei ricordi e mi rivedo: "una bambina estremamente sensibile, curiosa del mondo, timida con un mio mondo interiore".  Osservavo il dipanare degli accadimenti e mi ritrovavo a leggere la realtà in maniera diversa dal pensiero comune, già da piccola percepivo le ingiustizie o quelle violenze comunicative sottili, mi ribellavo interiormente a come la società e il pensiero dominante intendeva tracciare la "sua" rotta per noi femmine

Nonostante volessi esplorare, sperimentare, avvertivo già nitidamente i primi diktat di genere, ovvero ciò che mi era permesso fare e ciò che era meglio  non facessi. 

Vengo da una generazione che ha dovuto lottare molto per rivendicare il diritto ad una esistenza libera di esprimersi nella piena autonomia personale e sociale. 

Mi chiedo come sarebbe stato se avessi avuto fin da subito una educazione alla serendipita', se tutti i bambini e le bambine fossero stati educati come persone pensanti, al di là del genere, mi chiedo se avessi avuto  fin da subito il sostegno autentico a realizzare i miei talenti, se gli adulti (maestri e genitori) ci  avessero lasciate fiorire e fluire, oggi che persona sarei, che persone saremmo?  Difficile saperlo.  


La solitudine 

In quei tempi si cresceva perlopiù in solitudine, il mondo degli adulti era diviso da quello dei bambini prima e degli adolescenti poi. Due compartimenti stagni, noi da una parte con i nostri sogni, fantasie, bisogni e loro, gli adulti, dall'altra parte della barricata. Poche regole chiare e non contrattabili.  

L'importante erano i bisogni primari, darci da mangiare, mandarci a scuola, il resto dovevi cavartela da sola. 

Narrata così sembra una realtà cruda e forse lo era.  

Non saprei dirlo, penso che la mia generazione sia cresciuta più in fretta, forte la spinta all'autonomia, alla ribellione. 

Non è stata una generazione iper protetta, accudita, non eravamo seguiti passo dopo passo, pochi i confronti in famiglia. Il nostro mondo era fuori, la strada, la politica, l'amicizia, le esperienze. 

Davanti ad un problema il più delle volte dovevi affrontarlo da sola o tuttalpiù c'era la " rete alternativa" alla famiglia, una comunità variegata di persone capace di sostenerti ed aiutarti.  


Segreti e bugie 

Per noi adolescenti era normale tenere segreti, non raccontare le nostre inquietudini e se necessario ricorrere  anche a delle bugie.  Troppo distanti i nostri mondi valoriali e ideali dai nostri genitori e poi loro non chiedevano, non instauravano con noi rapporti amichevoli, non entravano nelle nostre vite, c'era una distanza e 

il  paradosso vuole che questo gap generazionale ebbe un effetto dirompente sul nostro desiderio di autonomia e libertà.  

A vent'anni molti di noi, soprattutto le donne sognava di andarsene di casa, tant'è che questo desiderio per alcune divenne realtà.  

Io stessa me ne andai di casa poco più che ventenne e non per convolare a nozze! 

In quei tempi la mia scelta di libertà ed autonomia era considerata insolita e bizzarra o apertamente giudicata non opportuna. 

Parliamo degli anni settanta/ottanta e le ragazze della mia età perlopiù uscivano da casa per sposarsi non per andare a vivere da sole.

Pagai prezzi salati per le mie scelte di indipendenza in termini di esclusione sociale e familiare. 

Ci vollero tanti anni e infiniti percorsi personali per affrontare il peso psicologico dell'essere " messa all'angolo" dai pregiudizi e dalla mentalità di quel periodo.


Crescere in fretta 

Vivere da sola o convivere con un'amica così presto, mi obbligò a confrontarmi con il mondo reale, con la responsabilità di una casa, del lavoro, pagare le bollette, prendermi cura di me stessa, scegliere di volta in volta cosa fosse giusto o sbagliato. 

Non fu tutto roseo, tante le paure che mi attraversarono, l'insicurezza, il dolore per la perdita prematura di mio padre. 

In poche parole imparai in fretta cosa significasse stare nel mezzo di una tempesta, per lo  tzunami emotivo che mi toccò in sorte, ma provai con tutte le mie forze a tenere fuori la testa per non affogare e soccombere.


La rinascita

Lento il cammino della rinascita, sicuramente aver iniziato presto a svolgere la professione di educatrice e parallelamente coltivare la passione per la musica e il canto mi diede quella base sicura, quel nutrimento relazionale capace di riparare tante ferite.  

Il nido ha rappresentato moltissimo per me, un luogo amato, abitato da molteplici personalità, uno stimolo continuo, una palestra costante e dinamica a frequentare le tante parti delle nostre anime, una visione pedagogica da percorrere e realizzare. 

Non saprei dire cosa sia rimasto di quel tempo lì, tanto è cambiato, in profondità. 

Qualcosa terrei di quei tempi, non per nostalgia ma piuttosto per l'entusiasmo che ci attraversava, oggi si respira un'aria più spenta a tratti rassegnata e forse è questo che fa male.

La rassegnazione è un seme nefasto, porta solo grigiore ad ogni esistenza, gli impedisce di espandersi, di ribellarsi allo status quo.

Questo è il mio auspicio: un risveglio, un colpo di coda, una falcata, un ululato, un battere i pugni sul tavolo, un dire no se necessario, non accontentarsi delle strade segnate, provare a vivere pienamente anche se può comportare un distacco o sofferenza. 

La vita è fatta di scelte, incontri, casualità e possibilità ma rimane sempre e a qualsiasi età una "quota parte" di sogno e magia nella quale credere e direzionarci ...a volte accade ciò che ritenevamo impensabile, non è un miracolo è soltanto quella visione che ci siamo permessi di percorrere, abbracciare e amare.


Anna Maria Mossi Giordano già educatrice nei nidi pubblici di Roma

 

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